San Rossore, l’unità del tutto e la mente dell’astronauta

San Rossore, l’unità del tutto e la mente dell’astronauta

Una colata di cemento minaccia ancora l’area contigua al Parco di San Rossore, all’interno della quale il Governo aveva previsto la costruzione di una cittadella militare. Un progetto che è ora in forse ma non è ancora stato del tutto cancellato, nonostante le forti proteste dei cittadini e delle associazioni che hanno fatto una grande manifestazione il 2 giugno, festa di quella Repubblica la cui Costituzione prescrive la difesa dell’ambiente e della biodiversità come bene comune.

Nonostante gli spiragli aperti circa l’abbandono dell’idea di realizzare l’opera all’interno del Parco Regionale, in un’area di grande pregio naturalistico e agricolo, ricco di fauna, resta alta la preoccupazione sulla realizzazione dell’opera in sé stessa, anche se il progetto dovesse essere spostato appena oltre i confini protetti. Si tratterebbe in ogni caso di consumo di suolo, disturbo per la biodiversità degli agro-ecosistemi e di nuovo smacco al territorio naturale, ora tutelato dalla Costituzione e alla luce della nuova Strategia europea sulla biodiversità per il 2030, che prevede l’estensione al 30% della superficie terrestre e marina protetta.

Si evidenzia poi il pessimo utilizzo dei fondi del PNRR (che finanzia la discussa opera militare), che destina briciole alla conservazione della biodiversità e ulteriori importanti fondi alla Difesa, che pure nel bilancio ordinario dello Stato conta già su ingenti risorse. Il Green Deal, solennemente annunciato e fortemente promosso, non può essere una simulazione ma deve rappresentare ovunque, in Toscana e in ogni parte del mondo, un cambiamento concreto.

Non solleviamo certo obiezioni sulla necessità della difesa della Patria, discutendone democraticamente i modi, ma c’è da dire che l’idea di “difesa” che anima questa scelta è inaccettabile perché riduttiva, limitata e parziale. Anche noi GUFI ci riteniamo, per nostre competenze, “addetti alla difesa”, ma non la recintiamo all’interno del perimetro contingente e militare: difendiamo i boschi, le foreste, il patrimonio comune da cui dipende la vita di tutte le generazioni che verranno e per questo difeso dall’art. 9 della Costituzione che peraltro è stato oggetto di estensione recente tra i princìpi fondamentali e irrinunciabili, agli ecosistemi ed alla biodiversità.      

Il caso è emblematico della miopia dell’essere umano, che non riesce a pensare in termini globali e a vedere la Terra per quello che è: un unico grande ecosistema di cui tutti facciamo parte e da cui dipende la sopravvivenza di ognuno di noi. Le ragioni dell’ambiente vengono costantemente messe in secondo piano di fronte alle esigenze umane, come se un ambiente sano non rientrasse tra queste esigenze.

Il 2022, con il ritorno della guerra in Europa, ci sta dimostrando più che mai quanto sia forte questo antropocentrismo e quanto le divisioni tra noi umani riescano sempre a essere più forti degli appelli all’unità dei popoli nel fronteggiare le minacce del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità.

Nel 2019 i temi ambientali erano (finalmente) sulle prime pagine di tutti i giornali, anche per merito delle proteste di organizzazioni come i Fridays for Future ed Extinction Rebellion. Se ancora eravamo ben lungi dal prendere misure adeguate per arginare la catastrofe in corso, si cominciavano a vedere maggiori segnali di consapevolezza nell’opinione pubblica e sui media e qualche timido provvedimento politico a livello internazionale. Tutte cose che, seppur ancora insufficienti, potevano far sperare in un cambio di direzione dell’umanità.

Tutto questo è stato spazzato via negli ultimi due anni: la pandemia prima e la guerra poi hanno monopolizzato la nostra attenzione e il tema dell’ambiente è tornato a essere, di nuovo, l’ultima delle nostre preoccupazioni. Mentre la nostra casa brucia, siamo troppo occupati a ucciderci tra noi per fermarci anche solo il tempo necessario a spegnere l’incendio. Chiunque esca vincitore si troverà comunque con una casa in cenere, ma sembriamo non curarcene.

Questa poca lungimiranza è uno dei grandi difetti dell’essere umano, che con tutta la sua intelligenza non riesce a pensare oltre all’immediato e a ragionare sul lungo periodo.

Ma ciò che è più grave è che sembriamo vedere solo quello che ci divide e non quello che ci unisce. Non riusciamo ad acquisire la consapevolezza di essere un’unica specie. La nazionalità, l’etnia, il genere, l’orientamento sessuale, la religione, le opinioni politiche: sono infiniti i modi che ci siamo inventati per dividerci (e discriminarci, e spararci) tra di noi, per non vedere che siamo tutti, innanzitutto, terrestri. Sentirci terrestri ci obbligherebbe a ricordarci che sono tali anche piante e animali non umani, e a rinunciare ai nostri atteggiamenti predatori nei loro confronti. Ci obbligherebbe a specchiarci in ogni altro essere vivente e rinunciare alla violenza e alla prevaricazione. Ci obbligherebbe a considerare un’area naturale protetta più importante di una base militare.

Le pandemie causate dal degrado ambientale, le guerre e il riscaldamento globale hanno la stessa matrice, nascono dalla stessa fallacia logica: non riconoscere l’unità del tutto, il nostro essere non solo connessi, ma dipendenti da tutto il resto.

Ma è davvero impossibile per l’essere umano ragionare diversamente?

È interessante notare come la consapevolezza dell’unità del tutto sia invece estremamente presente nei (pochissimi) esseri umani che hanno goduto di una visione d’insieme che la maggior parte di noi non sperimenterà mai, cioè gli astronauti. Molti di loro, al ritorno sulla Terra, hanno dichiarato che guardarla da lontano, così piccola e fragile nell’universo, ha completamente cambiato la loro prospettiva: un fenomeno chiamato “overview effect”.

“Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini.
(Jurij Gagarin, osservando la terra dall’astronave Soyouz)”

Guardare il mondo dalla Cupola è indescrivibile. Si ha il senso di fragilità del pianeta Terra, con la sua atmosfera sottilissima, e dell’incredibile bellezza di questo gioiello sospeso nel velluto nero dello spazio.
(Luca Parmitano, astronauta italiano)

Nello spazio sviluppi una coscienza globale immediata, un sentimento verso le persone, un’intensa insoddisfazione verso la situazione del mondo e una compulsione a fare qualcosa per questo. Da qui fuori sulla Luna, i politici internazionali sembrano così insignificanti. Tu vorresti prendere uno di loro per la nuca, trascinarlo fuori a un quarto di milioni di miglia dalla Terra e dirgli “Guarda questo!”.
(Edgar Mitchell, astronauta statunitense dell’Apollo 14)

La maggior parte di noi non andrà mai nello spazio, ma dobbiamo imparare dalle parole di chi ci è stato, e acquisire quella visione d’insieme che è l’unica cosa che può fermare ogni tragedia, dalle guerre al riscaldamento globale.

Estendiamo, quindi, il concetto di “difesa” anche alla natura e le nostre azioni di conseguenza: chiediamo al Governo un ripensamento che porti a ridimensionare il progetto (francamente appesantito da cose che nulla hanno a che fare con le esigenze militari), a rivederne la localizzazione e la ratio.  Lavoriamo per una difesa integrata, e lasciamoci influenzare dall’ overview effect.

NO A UNA NUOVA STRADA INUTILE NEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO

NO A UNA NUOVA STRADA INUTILE NEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO

IL NO DECISO DI TUTTE LE ASSOCIAZIONI ALLA DEVASTAZIONE AMBIENTALE DELL’APPENNINO ABRUZZESE ED ALLO SPRECO DI RISORSE PUBBLICHE CHE LA NUOVA STRADA, ROCCARASO-SCANNO-ORTONA DEI MARSI, CAUSEREBBE

La Stazione Ornitologica Abruzzese (SOA) dopo aver appreso dai mezzi di comunicazione del progetto e  dopo averne acquisito la proposta preliminare presentata in occasioni pubbliche dalla DMC Alto Sangro  (l’agenzia regionale di promozione turistica ) e dall’ UNCEM Abruzzo(Unione Nazionale Comuni  Comunità Enti Montani) ha prodotto un documento inviato nei giorni scorsi ai Comuni interessati ed  all’Ente PNALM da cui emergono aspetti a dir poco sconcertanti sia in termini economico-finanziari e di  corretta definizione in merito alla compatibilità con i principi del Recovery Fund , sia di reale utilità in  alternativa alla viabilità esistente che in riferimento agli impatti ambientali a dir poco devastanti e del  tutto sottovalutati. 

Il percorso della nuova strada a due corsie partirebbe dall’ Altopiano delle 5 Miglia per penetrare dentro  la Montagna Spaccata all’interno della splendida Foresta Demaniale di Chiarano Sparvera per inerpicarsi  fino al suo crinale e con una galleria di oltre 2,4 Km passare dalla intatta Bocca di Chiarano alla  sottostante Valle di Jovana. Tra l’altro il tracciato passerebbe dalla Montagna Spaccata che  attualmente è una forra strettissima dove a mala pena sale una mulattiera, il che richiederebbe la  distruzione completa del piccolo canyon, una “perla” dell’Appennino abruzzese. 

Dalla valle di Jovana la strada proseguirebbe a mezza costa sul versante orografico destro della stessa,  dove ora esiste una sola casa abitata, per scendere sempre sullo stesso versante in un territorio con  boschi e senza alcuna strada o fabbricato fino a Scanno. A valle dell’abitato attraverso un’ altra galleria  seguirebbe sulla sponda orografica sinistra del Lago omonimo per raggiungere Villalago, quindi, poco a monte dell’ abitato un’ altra galleria e viadotti per oltre 4 km porterebbero a San Sebastiano dei Marsi  per raggiungere infine Ortona dei Marsi ed un nuovo svincolo autostradale a Carrito . 

Le associazioni scriventi fanno notare che si andrebbe cosi a sfregiare una parte consistente del  paesaggio montano abruzzese ancora integro che comprende Siti di Interesse Comunitari ( SIC e ZSC ),  Zone di Protezione Speciali (ZPS), aree contigue ai Parchi nazionali e Riserve naturali regionali. 

Tutte le specie animali dell’Appennino abruzzese, molte delle quali protette dalla Direttiva HABITAT  della UE ne sarebbero gravemente impattate esponendo la nostra regione ad una più che sicura  procedura di infrazione comunitaria. L’areale dell’Orso marsicano verrebbe letteralmente stravolto  vanificando tutte le azioni portate avanti da Ministero, Regione , aree protette ed associazioni negli  ultimi 15 anni andando a devastare proprio quel corridoio di connessione che tutti fino ad oggi hanno  definito vitale per garantire l’ampliamento dell’areale della specie e lo scambio di individui tra un parco  nazionale e l’altro. Giova ricordare che qui è nata Amarena, la “famosa” femmina balzata agli onori  della cronaca nazionale la scorsa estate. L’orsa è nata, si è riprodotta ed alleva i suoi 4 orsacchiotti tra  Villalago e San Sebastiano dei Marsi proprio dove passerebbe la nuova strada. 

Ma a cosa servirebbe poi questa strada ? Ha senso in un momento di recessione economica grave  prevedere di spendere 750 MILIONI DI EURO ( ma quali saranno i costi reali ?) per accorciare un  percorso di soli 20 Km che tra l’altro taglierebbe fuori tutto l’Alto Sangro meta di un turismo  escursionistico naturalista da anni in crescita costante ? Roccaraso e Rivisondoli hanno bisogno di una  strada simile quando sono gia servite comodamente ? Lo stato di generale abbandono della viabilita  dell’Abruzzo interno non giustificherebbe invece interventi di miglioramento e manutenzione ormai  irrimandabili piuttosto che una nuova strada “nel nulla” che non serve a nessuno se non alle ditte che se  ne aggiudicheranno la costruzione ? I servizi disastrati dei Comuni della montagna abruzzese (ospedali,  ambulatori, servizi di trasporto pubblico, Farmacie, RSA etc etc..) non meriterebbero questi fondi  invece di aggiungere altro asfalto ad un territorio già piagato dal dissesto idrogeologico ? 

In alternativa a questo progetto insostenibile per la natura e per le popolazioni residenti, le associazioni  invitano la Regione Abruzzo, UNCEM Abruzzo, DMC Alto Sangro e i Comuni interessati a chiedere al  Presidente del Consiglio ed al Governo i fondi per la messa in sicurezza delle strade esistenti. In vista del  centenario del PNALM (2023), bisogna adeguare l’intera rete stradale con aree per la sosta temporanea  dei turisti nei punti panoramici indicati dall’Ente Parco, dotate dei necessari servizi di informazione al  turista e di promozione di tutta l’area e dei suoi prodotti tipici. Sarebbe bene anche affidare la suddetta  rete viaria all’ANAS, evitando cosi altri casi come quello del ponte sul Giovenco sulla SP 17 che attende  ancora il completamento dalla sua riapertura nell’Aprile del 2019 ( dopo che la sua chiusura impose un  anno d’isolamento ai borghi della valle del Giovenco !! ). In conclusione al neo Ministro alle  Infrastrutture e Trasporti Enrico Giovannini ricordiamo che dei 32 miliardi che il Recovery Plan assegna a  infrastrutture e traporti, la metà dovrà essere investita in mobilità sostenibile ed alla luce di quanto  sopra, gli chiediamo di inserire nel suo programma immediato la messa in sicurezza di tutte le strade del  PNALM, comprese le aree attrezzate per i turisti e il recupero e rilancio del treno più alto  dell’Appennino, L’Aquila – Sulmona – Pescocostanzo – Castel di Sangro, per la mobilità dolce all’interno  del sistema dei parchi naturali abruzzesi (Pnalm, Majella, Sirente-Velino, Gran Sasso e Monti della Laga). 

Per le motivazioni di cui sopra le associazioni scriventi fanno appello a tutti i comuni coinvolti alla  Regione, all’ Ente PNALM ed alle Riserve interessate dall’opera affinché prendano le distanze dal 

progetto in argomento ed adottino atti formali di dissenso in merito allo stesso, tali da impedirne il  finanziamento e la, seppur parziale, realizzazione. 

Per info 3355388206 

Firmano il comunicato : 

1. ITALIA NOSTRA Abruzzo 

2. MOUNTAIN WILDERNESS Abruzzo 

3. WWF Abruzzo 

4. LIPU Abruzzo 

5. ITALIA NOSTRA Abruzzo 

6. CAI Abruzzo 

7. STAZIONE ORNITOLOGICA ABRUZZESE 

8. PRO NATURA Abruzzo 

9. SALVIAMO L’ORSO 

10. APPENNINO ECOSISTEMA  

11. Rewilding Apennine 

12. Associazione MONTAGNA GRANDE – Valle del Giovenco 

13. ORSO and Friends 

14. TOURING CLUB ITALIANO Abruzzo 

15. DALLA PARTE DELL’ORSO – Pettorano sul Gizio 

16. FARE VERDE Abruzzo 

17. Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello” 

18. I GUFI 

19. SALVIAMO IL PAESAGGIO 

20. Federtrek – Escursionismo e Ambiente 21. Associazione Italiana Wilderness

L’annullamento del Piano antincendio delle Pinete Grossetane

L’annullamento del Piano antincendio delle Pinete Grossetane

CONSIDERAZIONI SUL RECENTE ANNULLAMENTO DA PARTE DEL CONSIGLIO DI STATO DEL PIANO DI PREVENZIONE ANTINCENDIO BOSCHIVO DELLE PINETE LITORANEE DI GROSSETO E CASTIGLIONE DELLA PESCAIA

GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane

Di recente il Presidente della Repubblica con Decreto del 1° ottobre 2020 ha accolto il Ricorso avverso l’approvazione, avvenuta con delibera della giunta regionale toscana n. 355 del 18.03.2019, del piano specifico di prevenzione AIB per il comprensorio territoriale delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia, da parte della Regione Toscana, nei limiti e con le prescrizioni indicate nelle motivazioni riportate nel parere espresso al riguardo dal Consiglio di Stato nell’adunanza del 24 giugno 2020.

Il piano, oltre ad essere carente dell’analisi storica, per ciò che concerne le cause che avevano scatenato gli incendi nell’area, nei fatti prevedeva esclusivamente come attività di prevenzione dagli incendi boschivi il taglio del 70% pini e dell’80% del sottobosco su circa il 15% della superficie della pineta protetta in pochi anni, oltre all’applicazione del fuoco prescritto. Ricordiamo che l’area protetta oggetto di tanto interesse è costituita da una striscia di bosco ampia poche centinaia di metri, totalmente accessibile, compresa fra il mare e una strada statale, in gran parte pianeggiante e attraversata da numerose piste, con i vigili del fuoco e i tutti i presìdi di lotta agli incendi boschivi presenti in loco.     

Secondo la prima sezione del Consiglio di Stato: “Il ricorso deve giudicarsi fondato e merita accoglimento con conseguente annullamento della delibera …nella parte in cui considera erroneamente come paesaggisticamente irrilevanti – e perciò sottratti alla preventiva autorizzazione paesaggistica- tutti gli interventi previsti nel piano, omettendo una adeguata analisi e valutazione dell’impatto paesaggistico di tali interventi,  nonché nella parte in cui si fonda su una valutazione di incidenza sui siti della rete natura 2000 interessati dalle misure rivelatasi carente nell’istruttoria e nelle motivazioni, oltre che corredata da mere raccomandazioni di buona esecuzione degli interventi prive della consistenza di prescrizioni integrative.”

Il parere espresso dal Consiglio di Stato ha scatenato una serie di reazioni negative in certo ambiente forestale, compreso alcune piccole frange del mondo accademico toscano e nazionale, che erroneamente ritenevano di detenere una competenza esclusiva sui boschi, e che ora sono preoccupate per le “rilevanti” ripercussioni che l’annullamento delle procedure bocciate comporterà sulla gestione futura del settore.

Resta il fatto che il Consiglio di Stato ha semplicemente rilevato quanto riportato dal codice dei beni culturali e del paesaggio; cioè che: all’interno delle aree forestali tutelate attraverso uno specifico provvedimento, ai sensi dell’art. 136 del D.lgs. 42 dell’aprile 2004, gli interventi selvicolturali devono essere sottoposti anche ad una valutazione di tipo paesaggistico. 

Ma la parte più indigesta per chi non accetta tale rilievo del Consiglio, verosimilmente è costituita dai riferimenti riportati nel parere, al recente Testo Unico Forestale (D.lgs. 34/2018) a cui la stessa Regione Toscana e le organizzazioni di categoria avevano fattivamente contribuito alla elaborazione, che riprende e fa proprio l’articolo citato del codice dei beni culturali e del paesaggio. Evidentemente in quel frangente i rappresentanti delle Regioni e delle organizzazioni di categoria del mondo forestale erano distratti. 

Infatti, il Testo Unico Forestale, ai commi 12 e 13 dell’art. 7, recita testualmente: “con i piani paesaggistici regionali, ovvero con specifici accordi di collaborazione stipulati fra le regioni e i competenti organi territoriali del MIBACT, ai sensi del art. 15 della L. 241/1990, vengono concordati gli interventi previsti ed autorizzati dalla normativa in materia riguardanti le pratiche selvicolturali ….antincendio e di conservazione, da eseguirsi nei boschi tutelati ai sensi dell’art. 136 del D.lgs. 42/2004 e ritenuti paesaggisticamente compatibili con i valori espressi nel provvedimento di vincolo… gli interventi vengono definiti nel rispetto di linee guida nazionali di individuazione  e di gestione forestale  delle aree ritenute meritevoli di tutela, da adottarsi con decreto del ministro politiche agricole di concerto con MIBACT, MATTM e d’intesa con la conferenza stato regioni”. 

Questa associazione, che ha contribuito in maniera fattiva alla presentazione del ricorso avverso il Piano in questione, attraverso la produzione delle relazioni e perizie tecniche allegate e partecipando alla stesura degli atti, manifesta piena soddisfazione per l’esito favorevole del lavoro svolto, per le implicazioni e gli sviluppi che le argomentazioni e le decisioni assunte dal Consiglio di Stato potranno avere sulla possibilità di intraprendere fattive azioni di contrasto ad una serie di attività e interventi “predatori”. Interventi che vengono perpetrati, in questi ultimi anni, sui boschi, in maniera diffusa, trincerandosi dietro l’applicazione formale e pedissequa di regole e norme regionali, tesa a favorire i tagli e la mera produzione di legna da ardere, piuttosto che la salvaguardia e il miglioramento dell’efficienza dei molteplici servizi offerti dal patrimonio forestale, in particolare di quello pubblico, e più in generale del territorio e dei beni comuni.

A questo riguardo riteniamo che sia importante evidenziare anche l’altro aspetto messo a nudo dal parere del Consiglio di Stato, paradigmatico della situazione in cui viene a nostro avviso mal gestito il territorio, nello specifico in Toscana, ma anche in altre parti in Italia (sempre le parole del Consiglio): “dall’inadeguatezza istruttoria e motivazionale della valutazione d’incidenza svolta dalla Regione Toscana … che si risolve in  un riscontro piuttosto formalistico di corrispondenza degli interventi… ad alcune voci tipologiche desunte dalla modulistica di settore, senza un’adeguata valutazione d’insieme –con conseguente difetto di motivazione- della reale dimensione degli impatti del piano.”

Questo modo di gestire, svilendo le procedure di valutazione di incidenza ambientale da parte della stessa Regione, per poter realizzare a piacimento interventi tanto pesanti nelle aree protette, costituisce un ulteriore vulnus, che mortifica l’importanza dello strumento normativo, rendendolo di fatto irrilevante. 

Sempre secondo il Consiglio: “Anche le prescrizioni .. avrebbero meritato maggiore attenzione, e comunque migliore motivazione, perché lungi dal costituire “specifiche prescrizioni” come affermato nella memoria difensiva regionale, non sembrano avere alcun contenuto prescrittivo autonomo rispetto a quelle che sono le comuni buone regole tecniche minimali già implicite negli interventi antincendio boschivo presi in considerazione. Si tratta, quindi, di mere raccomandazioni generiche di eseguire a regola d’arte i lavori che non aggiungono e tolgono alcunché a quanto già previsto nel piano. Anche sotto questo aspetto è necessario che correntemente alla regola generale, sia fornita una migliore motivazione della scelta fatta.”

Vogliamo concludere con due ulteriori considerazioni, che a nostro avviso costituiscono l’elemento politico più mortificante di questa vicenda. 

La prima, stigmatizzata dalla stessa Consulta: “l’enucleazione svolta nei precedenti paragrafi dei rilevati vizi di carenza istruttoria e motivazionale, .. fa emergere un ulteriore profilo, …. concernente la mancata partecipazione al percorso elaborativo delle associazioni di tutela ambientale, le quali avevano più volte chiesto di essere ascoltate e di poter contribuire al procedimento.

Se è vero che non si rinvengono nel panorama legislativo nazionale specifiche previsioni che impongano tale partecipazione… è altrettanto vero che non è conforme a criteri generali di buona amministrazione non prendere in considerazione i possibili contributi di portatori d’interesse (pubblico!) quali le associazioni ambientaliste che abbiano chiesto di essere sentite o che abbiano prodotto memorie e documenti.”

L’altra considerazione è costituita dalla posizione assunta dal Ministero dell’Ambiente in questa vicenda, la massima autorità nazionale del settore, quella che dovrebbe tutelare i Siti Natura 2000, la fauna e gli habitat protetti; nonché garantire la corretta applicazione delle procedure di valutazione ambientale adottate dalle Regioni. Il Ministero dell’Ambiente “con la relazione prot. n. 15089 del 2 marzo 2020 … ha dato conto delle difese regionali ed ha concluso per il rigetto del ricorso e della domanda cautelare”, schierandosi così (incomprensibilmente) dalla parte della Regione Toscana, giustificando i tagli abnormi e il piano speciale AIB alla stregua di un qualsiasi intervento di prevenzione dagli incendi boschivi e la scorretta gestione delle procedure di valutazione dell’impatto ambientale da parte della regione stessa.Che dire, parafrasando Brecht, per fortuna che “c’è un giudice a ..Roma”.

POSITION PAPER SUL FUOCO DELIBERATO (O “PRESCRITTO”) IN FUNZIONE DI LOTTA AGLI INCENDI BOSCHIVI.

POSITION PAPER SUL FUOCO DELIBERATO (O “PRESCRITTO”) IN FUNZIONE DI LOTTA AGLI INCENDI BOSCHIVI.

Gli incendi in natura vengono innescati soprattutto dai fulmini e in questo caso sono assai poco frequenti a ripetersi negli stessi areali. Quelli il cui innesco è operato dall’azione dei vulcani invece tendono a riverificarsi nelle medesime zone. Ne deriva che per la stragrande maggior parte del territorio la frequenza degli incendi per un determinato areale è una cosa assai indeterminata e comunque tendenzialmente molto bassa.

In natura gli incendi sono un’eccezione alle regole che in natura caratterizzano gli ecosistemi. Vanno interpretati come #incidenti piuttosto rari, comunque estranei alle dinamiche della vita le cui basi biochimiche ed ecologico-ambientali si svolgono tipicamente su intervalli di temperature molto bassi. Con la nascita delle scienze ecologiche soprattutto dopo il 1940, si scopre anche che il fuoco può essere uno dei fattori ecologici naturali che esercita una pressione selettiva su una moltitudine di specie all’interno degli ecosistemi e che può favorirne altre, come ad esempio le conifere che hanno strobili cementati dalla resina. In Italia ne è un esempio il Pinus halepensis Mill. 1768 i cui strobili con il calore possono aprirsi e diffondere abbondantemente i semi rinnovellando il bosco ove sono state eliminate altre specie, siano esse pregiate e caratteristiche dei luoghi che magari, invasive. Esistono anche i casi dei semi dormienti che possono essere attivati dall’aumento della temperatura. Anche la corazza altamente termoisolante delle querce da sughero (Quercus suber, Linnaeus 1758) rappresenta una strategia evolutiva-adattativa formidabile per fronteggiare l’incendio, ma se andiamo a ben vedere le fiamme sono comunque sempre occasionali anomalie catastrofiche e non la regola comune. In definitiva anche per specie suddette parliamo di resistenza, di strategie evolutive di sopravvivenza e non certo di normale “ordinaria” autoecologia. Si consideri inoltre che gli incendi causati dai fulmini il più delle volte sono mitigati in quanto associati alle piogge temporalesche, a differenza di quelli causati dall’azione dell’uomo che usualmente si producono in periodi siccitosi persistenti. Quelli ad opera degli umani sono innescati da disattenzione, da incidenti per perdita di controllo, da interessi economici o per motivi offensivi quali ad esempio la vendetta: rarissimi (praticamente non esistono) sono invece i piromani, soggetti malati di patologia psichiatrica che provano piacere para-sessuale esaltante ad appiccare e osservare le fiamme. La totalità degli incendi dolosi è quindi opera delinquenziale di incendiari.

L’uomo ha imparato a sfruttare gli incendi fin dall’antichità quale mezzo per controllare ed impedire distruttivamente la naturale successione delle comunità vegetali spontanee tipiche locali e per realizzare e mantenere un paraclimax artificiale favorevole alle proprie esigenze. La tecnica del fuoco “deliberato” è stata così applicata in svariate parti del mondo sempre a fini utilitaristici per liberare dalla vegetazione arborea ed arbustiva da terreni da adibire all’agricoltura o al pascolo, per provocare, con la pratica dell’addebbiatura, la caduta sul suolo dei nutrienti contenuti nella biomassa e resi minerali nelle ceneri, per favorire battute di caccia e, un po dovunque, per motivi militari.

A partire dalla metà del secolo scorso il fuoco prescritto e controllato è stato impiegato deliberatamente anche negli ecosistemi di prateria per eliminare la necromassa vegetale o comunque le specie erbacee ed arbustive particolarmente infiammabili; negli ecosistemi forestali è stato impiegato per creare preventivamente fasce di discontinuità sia orizzontali che verticali per contribuire al confinamento di potenziali incendi devastanti, risparmiandosi di eseguire nel sottobosco rimozioni manuali o con mezzi meccanici delle biomasse più facilmente infiammabili.

Tale tecnica è quindi assunta da suoi attuali sostenitori come alternativa alle operazioni di manutenzione forestale che si rendesero necessarie, quali potature, diradamenti, pascolo e i suoi sostenitori, per risparmiare sui lavori. Gli stessi non mancano di evidenziare che essa consente di evitare il ricorso all’impiego di diserbanti di sintesi chimica.

Una caratteristica che distingue il fuoco prescritto dalle altre pratiche tradizionali e improvvisate ancorchè in qualche modo controllate, è comunque quella della programmazione: perché questa tecnica possa entrare nei propositi di gestione sarebbe indispensabile l’adozione di una serie di prescrizioni programmatiche fondate su basi previsionali riferibili, inevitabilmente, a molteplici fattori: impatto paesaggistico (generalmente preso in poca considerazione), umidità del suolo e del soprassuolo, calendario d’intervento, frequenza, condizioni del vento, geometria della fiamma, condizioni di sicurezza, effetti probabili sulle componenti biotiche interessate: associazioni vegetali (indi flora e vegetazione), substrato batterico, micorrizico, popolamento degli invertebrati del suolo. L’impatto sul suolo vitale è probabilmente il più delicato e difficile da trattare con qualche completezza.

La pratica del fuoco prescritto è molto controversa in quanto se non ancora può dirsi adeguatamente studiata per i diversi ambienti interessati, lo è ancor meno in Italia ove è stata applicata in pochissime occasioni e per i limiti delle nostre conoscenze.

La crisi ecologica attuale e in particolare del clima e della biodiversità e l’accresciuta sensibilità per i temi ambientali in larghe fasce della popolazione, il progredire delle conoscenze scientifiche e, ancora di più, della consapevolezza di quello che non ancora si conosce sulla funzionalità degli ecosistemi, unitamente al dettato di numerose leggi, Direttive e convenzioni internazionali (per tutte si pensi alle leggi che disciplinano le Aree naturali protette e quelle sulla biodiversità e in particolare la Direttiva 92/43/CEE “Habitat”), impongono di dover abbandonare una concezione esclusivamente utilitaristica, economicistica e riduzionistica nelle azioni umane e di abbracciare una visione che tenga conto della complessità dell’ecologia degli ambienti, in tutte le sue forme, soprattutto per azioni come quelle in argomento che comportano alti fattori di rischio molto severi e una intrinseca carica di distruttività.

Se prendiamo a riferimento il complesso dei princìpi messi a punto dall’Unione Europea e che costituiscono anche la base della normativa vigente in materia ambientale e dei quadri d’azione dell’Unione la tecnica del “fuoco prescritto” non può essere ritenuta minimamente ammissibile.

Contrasta infatti con:

– il principio di precauzione introdotto col Trattato dell’UE, secondo il quale gli stati, al fine di proteggere l’ambiente, devono largamente adottare una serie di misure preventive ancor prima che abbia inizio un processo di degrado ambientale;

– di prevenzione (ar.191 del Trattato di Lisbona) che ha l’obiettivo di evitare i danni ambientali azzerando ogni rischio, con il dovere di predisporre tutte le misure dirette ad evitare alterazioni ambientali;

– di integrazione, introdotto con il trattato di Amsterdam (e che sta diventando un principio fondamentale di tutta l’azione comunitaria in materia di ambiente) che prevede che tutte le discipline riguardanti qualsiasi ambito della vita umana devono essere integrate da una valutazione d’impatto ambientale della disciplina stessa (il che implica che le valutazioni devono tener conto degli aspetti ecologici, economici ed ambientali);

– di correzione alla fonte (art. 191 TFEU ex art. 174 CE) che prevede l’immediata rimozione della causa che ha portato (o può portare) all’inquinamento o al degrado secondo la logica che correggere alla radice fa assumere alla correzione maggiore efficacia.

– Il principo di sicurezza affermato oramai da anni, ancor prima dell’evoluzione della costruzione dell’U.E., ed è trasversalmente presente nella complessa legislazione vigente anche in Italia nelle attività sociali.

Se esaminiamo assieme agli aspetti utilitaristici i princìpi sopra citati, dobbiamo trarre la prima conclusione che il “fuoco prescritto” dovrebbe essere programmato con un effettivo, severo approccio olistico, integrato, e basarsi su una solida base conoscitiva dell’ambiente naturale ed umano coinvolto. Il suo impiego dovrebbe essere valutato anche mettendo a confronto le varie opzioni alternative, inclusa l’opzione zero, così come è in uso da anni nelle procedure di Valutazione dell’Impatto Ambientale (V.I.A.) e di Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.), facendo ricorso anche a vari modelli di analisi previsionali.

Oggi, per certo, non disponiamo di una base conoscitiva adeguata per poter programmare operazioni caratterizzate da così grande potenziale distruttivo. Non è possibile, pertanto, prevedere l’impatto effettivo, immediato e nel tempo, nei confronti della biodiversità e delle reti ecologiche caratterizzate da estrema complessità e in gran parte sconosciute. Le nostre conoscenze infatti sono indirizzate per solito alla vegetazione in soprassuolo (ma onestamente non tutta l’autoecologia, specie per specie e pochissimo alle relazioni fra loro e il mondo chimico-fisico, con quello animale e con il regno dei funghi micorrizici); sappiamo ancora pochissimo sulla vita nel suolo, che pure è alla base della fertilità, e sappiamo quasi nulla sulle reti mirabili dei miceli le cui ife sono il tessuto connettivo e di “comunicazione” delle foreste e delle praterie. Fino a qualche anno fa nessuno avrebbe immaginato che un micelio di Armillaria può essere esteso per diversi chilometri o che possa esistere un micelio esteso 10 chilometriquadri. Abbiamo ancora significative carenze conoscitive sul ruolo degli insetti negli ecosistemi forestali. Anche l’impatto sulla fauna superiore è imprevedibile: anfibi, rettili dotati di scarsa mobilità e comunemente nascosti col fuoco sono spacciati, e la stessa mammalofauna, seppur mobile, può trovarsi circondata dalle fiamme e perire.

Negli Stati Uniti, Australia e Sud Africa l’impiego di questa tecnica è stato accompagnato, progressivamente, da studi multidisciplinari, per quanto possibile, sugli aspetti ecologici (flora, vegetazione, fauna, suolo, falde, acque, ecosistemi, paesaggio) protocollari, utilitaristici e legali. Tuttavia gli autori non dichiarano, francamente, di aver raggiunto gli elevati livelli di conoscenza che la questione richiederebbe proprio perché si va ad agire su sistemi complessi e con metodi distruttivi che possono sfuggire al controllo.

Anche in Europa (Francia, Portogallo e Spagna in particolare) ove esperienze di fuoco prescritto sono state avviate verso la fine del 1970 e primi del 1980, sono state condotte ricerche sugli effetti ambientali connessi. Sono stati indagati, in particolare, gli aspetti della prevenzione degli incendi, la formazione del personale addetto, la gestione delle risorse silvo-pastorali e in alcuni casi la conservazione di habitat prioritari ai sensi della Direttiva Habitat. Questi studi appaiono tuttavia inquadrati troppo riduttivamente a finalità utilitaristiche e con l’attenzione rivolta al contenimento dei costi d’intervento rispetto ad altre tecniche alternative (manuali, meccaniche, e con agenti chimici) piuttosto che all’approfondimento dei fattori di rischio associati alla distruzione degli habitat e della qualità del suolo. Si è registrato, ad esempio, come atteso, l’esito di un incremento di nutrienti azotati e fosfatici nel terreno ma anche che questo “beneficio” tende a scomparire presto perché le molecole utili alle piante a causa della loro elevata solubilità sono molto facilmente dilavate alla prima pioggia. Inoltre buona parte dell’azoto, importante macronutriente, con le combustione si disperde nell’aria con i fumi.

Il carbonio delle biomasse vegetali poi, col fuoco va tutto in atmosfera come CO2 a contribuire, con immediatezza, alla crisi climatica. Questa è la prova più lampante della anti-ecologicità del prescritto: esso sottrae carbonio che era immobilizzato al suolo, comparto in cui è prezioso e fattore principe di fertilità, habitat e cibo per numerosi esseri viventi e lo immette nell’atmosfera sottoforma di anidride carbonica ove la concentrazione di questo gas è già in inaccettabile eccesso avendo superato i limiti di tolleranza dell’ecosistema globale e innescato la crisi climatica. Nella complessità del paesaggio ecologico italiano, inoltre, non appaiono considerati affatto o adeguatamente i temi legati ai corridoi ecologici e alle connessioni ecologiche la cui salvaguardia è invece uno dei fattori essenziali per la conservazione della biodiversità.

Altrettanto poco considerati sono gli aspetti genetici intraspecifici legati alla conservazione della diversità biologica: mentre sappiamo distinguere specie e riconoscere endemismi su basi morfologiche (anche se le ibridazioni e le incertezze rendono spesso questa operazione difficile e tale da richiedere il ricorso a specialisti o all’analisi genetica) poco o nulla sappiamo generalmente della diversità genetica esistenti all’interno delle specie – fenotipicamente apparenti identiche- sulle quali andiamo ad agire con il fuoco. Si deve porre, quindi, anche il problema della salvaguardia degli ecotipi locali, per la salvaguardane la biodiversità genotipica. Ricordiamo che gli ecotipi locali delle specie indigene, presenti in sito da generazioni, se non da tempi immemorabili, hanno caratteristiche genetiche che hanno superato il vaglio della selezione naturale: in quanto sopravvissute, risultano essere le più adatte, le più vigorose e resistenti alle avversità rispetto a individui della stessa specie ma evolutisi in luoghi e condizioni assolutamente diversi o, peggio, di allevamento vivaistico-commerciale.

Andrebbero considerati come non secondari i numerosissimi “servizi ecosistemici” che gli ambienti boschivi e/o forestali svolgono a favore del benessere umano, del clima, del ciclo delle acque, nella purificazione dell’aria: cose difficilissime da valutare e la cui quantificazione richiederebbe tempi lunghi e grandi sforzi di ricerca.

In Italia il fuoco prescritto ha mostrato di essere in grado di migliorare la produzione foraggera in incolti produttivi, di migliorare la gestione di terre destinate al pascolo (cosa del resto già nota per l’azione dei fuochi pastorali storici), e con modalità complesse, di poter arginare gli incendi boschivi ma a prezzi ecologici e spesso idrogeologici generalmente molto pesanti e con danni spesso irreversibili. Basta guardare a riguardo le montagne appenniniche liberate dai boschi in epoche passate e che ,soggette a dilavamento ed erosione metereologica superficiale, mostrano oramai da secoli lo scheletro roccioso con aspetto paesaggistico desolante ed asetto ecologicamente povero e banale.

Inoltre vanno considerate, se operiamo un confronto tra le possibili alternative per la prevenzione degli incendi boschivi, le peculiarità del nostro Paese: elevata densità di popolazione, territorio accidentato con prevalenti versanti scoscesi, presenza di case e di piccoli insediamenti abitativi sparsi, l’eccessivo frazionamento fondiario, l’interfaccia estesa e il contatto diretto fra i perimetri dei suoli ad uso agricolo-forestale e insediativo, la presenza pressochè capillare di infrastrutture quali strade, ferrovie, acquedotti, elettrodotti, gasdotti, cavidotti, impianti di depurazione, impianti energetici diffusi anche di piccolissime dimensioni, discariche, depuratori e beni storico-artistici diffusi, dagli eremi di montagna alle chiese pastorali passando per dimore storiche e castelli.

Non riteniamo secondarie, inoltre, le questioni legate alla qualità delle acque sotterranee i cui impatti possono essere valutati con monitoraggi protratti per tempi lunghissimi e solo con analisi sito-specifiche per via delle diversità orografiche, geologiche , idrogeologiche che fanno parlare di fragilità del nostro Paese, accentuata dalle modificazioni climatiche in corso e dalla modificazione del regime e della intensità delle precipitazioni.

Non possono neppure essere messi in secondo piano gli aspetti paesaggistico-percettivi e paesaggistico-funzionali che, oltre agli aspetti pur importanti legati alla bellezza, hanno riflessi sulla vivibilità, sull’economia turistica sostenibile –anche potenziale- e che sono comunque generalmente tutelati tra i princìpi istituzionali dettati dall’art. 9 della Costituzione.

L’Italia non è la brughiera a Calluna vulgaris di molte aree geografiche d’Europa ove si è regolamentato l’uso rurale del fuoco né ha le grandi praterie estese come quelle del continente americano. Ha tanta diversità ambientale, ecologica e culturale per cui non è adatta a una patica tanto pericolosa e distruttiva che presenta il rischio che possa sfuggire al controllo.

Un cittadino anziano in un convegno, appreso dell’esistenza del fuoco prescritto, ha riassunto efficacemente così la propria condivisibile opinione: <..è come se per timore che possa venirmi la carie…, mi facessi estrarre i denti”.

Un po tutti gli studi finora effettuati hanno evidenziato aspetti critici nel nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda la carenza di adeguate conoscenze di base sull’ambiente nonché sugli aspetti teorici, operativi e sperimentali, e il conflitto con normative vigenti. Alcune Regioni hanno aggiornato così la propria normativa, o dettato prescrizioni di massima o adottato Piani Regionali di Previsione, Prevenzione e Lotta agli Incendi Boschivi ai sensi della L. 353/2000, prevedendo la possibilità di autorizzare sperimentazioni o applicazioni di fuoco prescritto anche nei Parchi Nazionali, Riserve Statali e Regionali. In nome dell’emergenza e della lotta agli incendi, si è preteso persino di operare disboscamenti in zone a tutela paesaggistica ed idrogeologica senza il parere delle Soprintendenze. E’ il caso della Riserva Naturale Litorale Romano ove tagli, non ostante le denunce, il sequestro di un cantiere, interrogazioni parlamentari a camera e senato, continuano. E’ anche il caso del Piano AIB della Regione Toscana per la Pineta litoranea del Tombolo, nel grossetano. Su ricorso al capo dello Stato (prima firmataria Mariarita Signorini all’epoca Presidente di Italia Nostra, di cui oggi è consigliere nazionale, e attualmente del direttivo G.U.F.I.) il Consiglio di Stato ha emesso una sentenza dettagliatissima di 56 pagine, sugellata come decreto del Presidente della Repubblica, che ha smontato e annullato il Piano AIB e, tra l’altro, ha ribadito che il parere delle Soprintendenze, ove si agisce in zone vincolate, è obbligatorio e ineludibile. Contro l’obbligo di richiedere il parere delle Soprintendenze si è creato un piccolo ma chiassoso e lobbystico movimento appoggiato da alcuni accademici che pretenderebbe di avere mano libera per i tagli dei boschi e che il governo legiferasse per evitare i pareri attualmente richiesti. Di converso 100 associazioni hanno firmato un documento a sostegno della necessità che i vincoli paesaggistico e idrogeologco, ove vigenti, vengano mantenuti e rispettati.

Se fossero condotti minimamente tutti gli studi multidisciplinari che si rendono necessari per l’applicazione del fuoco deliberato, se si rispettassero estesamente le norme esistenti, non ci sarebbe partita per il “Fuoco prescritto” rispetto alle possibili alternative praticabili nei vari habitat.

Gli incendi si possono e si devono prevenire;

  • con la sorveglianza e l’avvistamento precoce
  • con l’intervento immediato, a terra, nello spegnimento, con squadre qualificate, ben attrezzate e addestrate, governate da un Direttore delle Operazioni di Spegnimento (D.O.S.);
  • Con provvedimenti amministrativi,legando possibilmente gli stipendi e salari all’entità delle aree salvate preventivamente tramite incentivazioni e premi , mentre possono essere irrogate penalizzazioni in proporzione alle aree incendiate;
  • con la messa in primo piano anche gli interventi selvicolturali di miglioramento boschivo.
  • con l’addestramento e la conoscenza delle tecniche per controllare i materiali infiammabili in modo da armonizzare e migliorare le tecniche di selvicoltura preventiva rispetto agli incendi.
  • attraverso il pascolo controllato (scelta da preferire) dal momento che oltre al risultato per la prevenzione degli incendi assicura anche un vantaggio economico ed è una pratica che se controllata e pianificata adeguatamente appare molto sostenibile. L’allevamento delle capre anche in zone impervie, organizzato con la dotazione di una mungitrice mobile e un centro di confezionamento di latte fresco, latte a lunga conservazione e di trasformazione lattiero-casearia, è una risorsa economica ed occupazionale di assoluto rispetto che andrebbe incentivata e raccomandata. Ciò, soprattutto, nelle aree in cui è in atto l’espansione dei boschi quale esito all’abbandono di terreni un tempo oggetto di pratiche agricole e che il TUFF espone ai tagli;
  • con la rimozione parziale, in fasce strategiche, della vegetazione infiammabile con procedure meccaniche e manuali. (la potatura e la pulizia manuale è da preferire sempre)

e se proprio non bastassero le misure di prevenzione e d’intervento immediato, con il ricorso a mezzi aerei, che peraltro non possono operare di notte, e su cui si è fatto in Italia troppo affidamento questi devono essere di ausilio (e non sostitutivi) degli interventi a terra!

Ovviamente è necessario predisporre mappe di punti strategici di approvvigionamento dell’acqua, realizzati anche artificialmente ove non presenti in natura.

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