L’associazione GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane applaude la decisione della Giunta Regionale della Calabria e del suo Presidente, Roberto Occhiuto, che ha approvato il Piano del Parco Nazionale del Pollino senza concedere deroghe alla potenza della centrale del Mercure, grande impianto che produce energia elettrica bruciando biomasse forestali.
Il Piano del Parco prevede la presenza di centrali a biomasse fino alla potenza di massima di circa 2,7 MWe, escludendo quindi la megacentrale che ha una potenza circa 15 volte superiore.
“Il Pollino, perciò, non ospiterà più megacentrali a biomasse, pericolose per la salute dei cittadini e per l’ambiente, ma anche per lo sviluppo turistico ed economico dell’area protetta più grande d’Italia, che è anche tutelata dall’UE in quanto ZPS, nonché patrimonio UNESCO, e che dunque non può inseguire una impossibile e perniciosa pseudo-industrializzazione, utile soltanto alla proprietà della centrale e dannosa, sotto ogni aspetto per le popolazioni residenti che tante volte ed in maniera partecipatissima si sono mobilitate contro la centrale”, dice Ferdinando Laghi, consigliere regionale e membro delle associazioni ISDE e GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane-, che combatte contro la centrale da oltre 20 anni, a difesa delle foreste italiane e della salute dei cittadini calabresi e lucani.
La megacentrale collocata nel Parco Nazionale del Pollino brucia circa 350.000 tonnellate di legno vergine all’anno (frutto del taglio di centinaia di migliaia di alberi) per produrre energia elettrica: una modalità di produzione di energia – in una regione che produce circa tre volte l’energia di cui necessita e a cui la centrale del Mercure contribuisce per appena lo 0,0002 % — che l’Italia deve abbandonare per tre importanti ragioni.
In primis, bruciare biomasse forestali accelera il riscaldamento globale: le energie da biomasse legnose sono più climalteranti persino delle energie fossili poiché, a parità di energia prodotta, emettono il 150% di CO2 rispetto al carbone e il 300% rispetto al gas naturale (da “Letter From Scientists To The EU Parliament Regarding Forest Biomass” del gennaio 2018), mentre il riassorbimento di equivalenti quantità di CO2 da parte di nuovi alberi richiederà molti decenni: un tempo che non abbiamo a disposizione. Il taglio di un numero così elevato di alberi va ad aggravare il riscaldamento globale di cui una delle concause principali è proprio la deforestazione. Per rimuovere la CO2 accumulata abbiamo bisogno di grandi alberi e delle foreste vergini, che la assorbono oltre 50 volte in più rispetto ai nuovi alberi e alle piantagioni.
Secondo, la combustione di biomasse forestali presenta un grave rischio per la salute dei cittadini, in particolare in una zona come la Valle del Mercure, dove i fumi di combustione ristagnano a lungo a causa del fenomeno dell’inversione termica. La combustione di tutte le biomasse legnose, secondo i dati ufficiali dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) e di ISPRA, per la sola emissione in atmosfera di PM2,5, causa in Italia circa 20.000 morti premature ogni anno, senza contare le patologie dovute alle emissioni di inquinanti emessi nella combustione del legno (arsenico, mercurio, diossina, furani, IPA…). L’Italia detiene il triste record in Europa per morti premature derivanti dalla cattiva qualità dell’aria.
Terzo, l’utilizzo delle biomasse legnose come fonte di energia minaccia le foreste. Il patrimonio boschivo italiano èormai sfruttato intensivamente e oltre i limiti di rigenerazione dello stesso. Un disastro ecologico che compromette gravemente gli ecosistemi forestali, privando le specie animali e vegetali del loro habitat, e che ha effetti anche sulla popolazione, in quanto la conservazione del patrimonio forestale è essenziale per la stabilità del suolo e la regimazione delle acque.
La produzione di energia da combustione di biomasse legnose non può quindi essere considerata energia pulita, non dovrebbe poter usufruire di generosi incentivi economici, e andrebbe abbandonata al più presto per la salute del pianeta, dei cittadini e per la nostra sicurezza sanitaria e sociale. GUFI è per un utilizzo razionale e sostenibile del legno, ottenuto da selvicoltura ecologica e in boschi destinati all’uopo, e per qualsiasi prodotto in cui il carbonio in esso contenuto resti allo stato solido.
Foto: Di Demincob – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31953639
Il gasdotto Sulmona-Foligno, parte del progetto del gasdotto Linea Adriatica, provocherà il taglio di almeno cinque milioni di alberi. La stima del numero di alberi è conservativa, in quanto non tiene conto di tutti quelli che saranno abbattuti per l’apertura delle piste forestali necessarie ai lavori. Il percorso passa attraverso molte aree protette, tra cui diversi Parchi Nazionali e Regionali, che verranno devastati dai lavori.
Il gasdotto passerà inoltre su aree ad alto rischio sismico, e incredibilmente sul tracciato non è stato fatto alcuno studio in tal senso. Si prevede di fare una valutazione sismica “in corso d’opera”: una vera follia a danno di territori che a causa dei terremoti hanno già pagato un prezzo altissimo.
Eppure i metanodotti già presenti nel nostro paese possono trasportare 100 miliardi di metri cubi all’anno, risultando quindi già sovradimensionati rispetto al bisogno nazionale. Il gasdotto, infatti, dovrebbe proseguire fino a Minerbio, nel bolognese, e da qui portare il gas in Europa Centrale, servendo quindi altri paesi europei e non l’Italia, che però pagherebbe gli elevati costi economici e ambientali. Non a caso Eni e Agigas hanno definito il progetto “anacronistico”.
In un momento storico in cui è chiara la necessità di combattere il riscaldamento climatico, e si parla continuamente di abbandono delle fonti fossili e di piantare alberi per assorbire CO2 dall’atmosfera, il Governo Italiano progetta di devastare centinaia di km di aree protette per un nuovo gasdotto. Alla luce di queste politiche, i pochi spiccioli dati alle amministrazioni locali per qualche alberatura urbana in più appaiono per ciò che sono: uno specchio per le allodole, per distrarre da politiche che abbattono milioni di alberi che abbiamo già e che non hanno bisogno di essere piantati, e che fanno parte di ecosistemi complessi da cui dipende la sopravvivenza di moltissime altre specie animali e vegetali. Sulle promesse di ridurre le emissioni, poi, stendiamo un velo pietoso.
È questa la transizione ecologica con cui è stato sostituito il Ministero dell’Ambiente? Dove sono le rinnovabili? Dov’è il risparmio energetico? Gli italiani, durante l’inverno, tengono in casa una temperatura media di circa 22 gradi: ben al di sopra dei 20 gradi massimi consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il nostro patrimonio edilizio è vecchio ed energeticamente poco efficiente. C’è molto lavoro da fare, a partire dal consumo energetico di ogni singolo cittadino, ma nuovi metanodotti che distruggeranno parte dei nostri territori naturali più pregiati non sono parte della soluzione. Sono parte del problema.
La Direttiva europea sulle energie rinnovabili non protegge il clima, le foreste e la salute umana
La Forest Defenders Alliance, gruppo di associazioni che proteggono le foreste di cui fa parte l’italiana GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, esprime forte delusione per quanto emerso nelle bozze della Direttiva sulle Energie Rinnovabili (RED). Nonostante la forte opposizione di oltre 100 associazioni, di molti scienziati e di oltre 250mila cittadini, la Commissione Europea continua a promuovere la combustione del legno delle nostre foreste per produrre energia.
Parte del pacchetto “Fit for 55”, la revisione della direttiva dovrebbe contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei di riduzione del 55% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030.
La combustione di biomasse forestali è fortemente controversa perché emette più CO2 per unità di energia rispetto ai combustibili fossili, e gli stessi scienziati della Commissione Europea hanno riconosciuto che le foreste ricrescono troppo lentamente per compensare le emissioni causate dalla combustione del loro legno nel lasso di tempo che l’Europa si è data per il contenimento delle emissioni.
La scienza ha da tempo lanciato l’allarme: l’intensificarsi dei tagli boschivi per la produzione di biomasse a uso energetico sta danneggiando gravemente le nostre foreste, e gli scienziati chiedono di cambiare lo status delle biomasse forestali all’interno della direttiva europea, smettendo di considerarle una fonte rinnovabile.
Le associazioni temono che la nuova direttiva non riduca la pressione e lo sfruttamento intensivo delle foreste, come invece sarebbe indispensabile fare per permettere il ripristino degli ecosistemi e la mitigazione del cambiamento climatico, e che la prolungata dipendenza dalla combustione di legno non consentirà all’UE di ridurre le emissioni climalteranti.
Le modifiche della nuova direttiva rispetto a quella precedente sono:
Gli stati membri della UE non potranno più dare incentivi per l’utilizzo a scopo energetico di legname di qualità, ceppaie e radici. Ma, secondo quanto dichiarato dalla stessa Commissione Europea, questi materiali costituiscono solo una piccola parte delle biomasse forestali utilizzate per la produzione di energia
A partire dal 2027, gli stati membri non potranno più dare incentivi a impianti a biomasse forestali che producano esclusivamente energia elettrica, a eccezione delle centrali che si trovano in regioni particolarmente dipendenti dai combustibili fossili, o che utilizzino sistemi di cattura e stoccaggio della CO2. Il provvedimento però consente di continuare a bruciare biomasse forestali all’interno di vecchie centrali a carbone, in particolare nei paesi europei fortemente dipendenti dal carbone.
La Commissione Europea adotterò un atto delegato sull’applicazione del principio a cascata delle biomasse, e su come ridurre l’utilizzo di legname di qualità per la produzione di energia. Si tratta di un passo nella giusta direzione, che riconosce l’importanza di dare priorità agli utilizzi nobili del legno rispetto alla combustione per produzione di energia, ma si tratta solo di un piccolo passo, in quanto circa metà del legno prodotto in europa viene bruciato a scopi energetici, e le modifiche alla direttiva non fanno nulla per affrontare questo problema
Cambiano i criteri di sostenibilità della direttiva RED, che nella revisione chiedono che gli interventi di taglio tengano in considerazione il mantenimento la qualità del suolo e la biodiversità, evitando il prelievo di ceppaie e radici, salvaguardando le foreste primarie, evitando la conversione da foresta a piantagione di alberi, minimizzando i tagli a raso estensivi e incoraggiando il rilascio di legno morto sul sito di taglio. Queste direttive, però, riguardano solo una piccola parte del legno bruciato per scopi energetici, in quanto le foreste primarie costituiscono solo il 3% delle foreste europee, mentre le ceppaie e le radici già adesso raramente vengono utilizzate per la produzione di energia.
La nuova direttiva impone criteri di sostenibilità alle centrali al di sopra di 5MW, soglia che prima era fissata a 20MW. Purtroppo, questi criteri di sostenibilità non affrontano il problema centrale, ovvero che la raccolta e combustione del legno per produrre energia aumenta le emissioni e compromette le foreste. Mentre la strategia europea per la biodiversità chiede di ridurre lo sfruttamento delle foreste, nessuna delle modifiche proposte alla RED va nella direzione di una riduzione della raccolta del legno. Al pari della versione precedente della direttiva, il nuovo documento persiste nel sostenere che la combustione di biomasse forestali riduce le emissioni in confronto all’utilizzo dei combustibili fossili, ignorando quanto affermato dagli stessi scienziati della Commissione Europea.
L’aumento della quota di energia rinnovabile a scapito delle foreste è un errore di proporzioni globali. Quando la UE sostiene di ridurre l’utilizzo di combustibili fossili e le emissioni, ma brucia sempre più foreste, l’unico risultato è l’aumento delle emissioni e il deterioramento delle foreste europee.
È tragico che la Commissione Europea non abbia colto l’opportunità di fare una riforma significativa della sua politica sulle biomasse. Il rifiuto dei politici europei di riconoscere i fatti scientifici sull’utilizzo delle biomasse forestali è paragonabile al negazionismo sul cambiamento climatico.
La Commissione ha compreso che gli incentivi alla combustione di legname di qualità vanno ridotti. Ora la stessa logica deve essere applicata a tutta la biomassa forestale, in quanto la combustione di tutte le qualità di legno aumenta le emissioni su lassi di tempo rilevanti per quanto riguarda la lotta al cambiamento climatico. L’industria delle bioenergie sta facendo enormi guadagni a spese dei contribuenti europei, che pagano inconsapevolmente per il taglio e la combustione degli alberi e la distruzione delle ultime aree verdi. Significativa in questo senso è la lettera inviata pochi giorni fa dalle associazioni italiane del settore delle bioenergie ai ministri Patuanelli e Cingolani, che, criticando la Strategia Forestale Europea, sostiene che la filiera legno-energia sia sostenibile e contribuisca alla lotta contro il cambiamento climatico e chiedendo un maggiore spazio (e, presumibilmente, maggiori incentivi) per le bioenergie. È completamente da respingere la richiesta delle associazioni del settore delle bionergie di considerare la gestione forestale una questione di pertinenza nazionale. Il riscaldamento climatico e la perdita di habitat e biodiversità sono fenomeni globali e che impongono di ragionare a livello globale.
Qualunque tipo di legno venga bruciato, lo sfruttamento intensivo delle foreste per la produzione di energia danneggia gli ecosistemi forestali e la loro biodiversità. La revisione della direttiva RED vieta i tagli nelle foreste primarie, ma dato che queste ultime costituiscono solo il 3% del patrimonio forestale europeo, la direttiva lascia senza protezione il restante 97%.
In un momento di crisi climatica e rapida estinzione delle specie, non è più possibile tollerare altri passi falsi nella gestione delle foreste e nella produzione di energia. La rapida estinzione di moltissime specie, molte non ancora adeguatamente studiate, è letale per l’umanità al pari del cambiamento climatico. Se non ci concentriamo da subito sulle energie realmente rinnovabili come il sole e il vento, ma continuiamo a distruggere foreste, perderemo per sempre un numero inaccettabile di habitat e specie, e con loro tutti i benefici ecosistemici che questi offrono all’umanità.
Le foreste sono molto di più che alleate contro la crisi climatica. La loro presenza è fondamentale per la nostra salute: le foreste mantengono pure l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo. La triste realtà è che finora le politiche europee hanno incoraggiato la combustione del legno delle nostre foreste e accelerato il deterioramento del patrimonio forestale europeo. Per rimediare ai danni fatti è necessaria una riduzione dello sfruttamento delle foreste per la produzione di legname, ma la revisione della direttiva RED non porterà a questo.
Le foreste non sono rinnovabili, sono ecosistemi che possono essere ripristinati ma non ricreati. Si possono piantare alberi, ma non si possono ricreare foreste. Abbiamo bisogno di bruciare meno legna e di meno monoculture forestali.
Un modo efficace per ridurre la conversione delle foreste in monoculture è rimuovere gli incentivi che stanno trainando la domanda di legname per le centrali a biomasse forestali. Invece, la Commissione Europea sceglie di supportare sia l’offsetting che l’energia dalla combustione di biomasse forestali.
“Fit For 55” non protegge a sufficienza le foreste e non contrasta in modo adeguato il cambiamento climatico. Abbiamo un bisogno disperato di politiche oneste che includano tutte le emissioni nelle nostre statistiche. Chiediamo ai membri del Parlamento Europeo di essere all’altezza della situazione quando toccherà a loro votare.
Le biomasse forestali pongono inoltre gravi problemi di inquinamento dell’aria e costituiscono una minaccia alla salute umana. La combustione di legna produce grandi quantità di polveri sottili, che secondo le stime uccidono circa 400mila europei ogni anno. La combustione di legno emette anche carbonio, azoto, metalli pesanti, mercurio e furani. Questo tema è stato completamente ignorato nella proposta di modifica della direttiva RED.
È quindi vitale che l’Europa riduca rapidamente la sua dipendenza dalle foreste per produrre combustibile, rimuovendo le biomasse forestali dalle energie rinnovabili. Le associazioni si appellano al Consiglio Europeo e al Parlamento Europeo affinché fermino lo sfruttamento intensivo delle foreste a scopi energetici e si assicurino che i target di energia pulita vengano raggiunti tramite tecnologie realmente pulite e a basse emissioni.
Sono passati diversi mesi dalla presentazione della seconda bozza del PNRR da parte del governo Conte al parlamento in data 15 gennaio, un documento che era già connotato da un grave squilibrio nella ripartizione interna tra i quattro capitoli della Missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”. Il primo M2C1 era finanziato con 69,8 Miliardi sul totale di 196, ma di cui solo il 10% pari a 7 Miliardi erano destinati alla “sostenibilità ambientale” in agricoltura ed alla attuazione di politiche di “economia circolare”. Dei 7 Miliardi veniva destinata all’“Economia circolare” una quota di appena 4,5 Miliardi – pari al 6,44% del budget – di fatto finanziando soltanto il “recupero di energia”, fase che non fa più parte dell’economia circolare che prevede le sole fasi di prevenzione-riutilizzo-riciclaggio. In particolare si prevedeva di utilizzare per il progetto impropriamente titolato “economia circolare” la quasi totalità dei fondi (3,7 dei 4,5 Miliardi) destinati a sostenere esclusivamente la produzione di combustibili come il “BIO-METANO”, derivato dalla depurazione del BIOGAS prodotto a sua volta da scarti agricoli e dalla frazione organica dei rifiuti urbani, senza considerare che l’articolo 3 punto 15 bis, l’articolo 11 comma 2 e l’articolo 11 bis comma 5 della direttiva 851/2018/CE, della direttiva 851/2018/CE, recepita dal parlamento con il D. Lgs. 116/2020, hanno introdotto il “recupero di materia” ed escluso del tutto dagli obiettivi di riciclaggio dell’economia circolare questo tipo di recupero di energia. Con l’insediamento del governo Draghi pensavamo che tali evidenti squilibri fossero superati e che nel comparto “Rivoluzione verde e transizione ecologica” venisse supportata la vera “economia circolare” basata sul “recupero di materia” attraverso il riutilizzo di beni, il compostaggio aerobico dell’organico ed il riciclaggio delle frazioni inorganiche per quanto riguarda la valorizzazione dei rifiuti differenziati. Per quanto riguarda il comparto energia ci saremmo aspettati una visione di medio – lungo termine con un chiaro rifiuto del ricorso all’idrogeno “grigio” o “blu”, quindi da metano o bio-metano, che non sono a emissioni zero. Dobbiamo constatare invece che anche nella bozza del PNRR del governo Draghi le scelte principali vengono confermate attribuendo alla “Rivoluzione verde e transizione ecologica” la cifra ancora troppo bassa di 4,5 Miliardi, attribuendola quasi interamente alla produzione di bio-metano (con 1,5 Miliardi per la riconversione a “bio-metano” del 70% degli ottocento vecchi impianti di biogas e 2,2 Miliardi per la costruzione di nuovi impianti per la produzione di “bio-metano”). In pratica la scelta strategica del governo Draghi si basa sull’assunto che l’economia circolare è rappresentata dal passaggio dai combustibili fossili al biometano derivato dal biogas ed a questo passaggio assegna ingenti risorse, affermando che “Il bio-metano è strategico per la decarbonizzazione e l’economia circolare, massimizzando l’energia di recupero da scarti biologici agricoli e agroindustriali” per “sostituire i combustibili fossili con il biogas” ! A proposito di “bio”-metano, ricordiamo anche che esso risulta indistinguibile nella sua struttura chimica da quello di origine fossile, e che questo gas deve essere combusto per essere utilizzato. Diversi recenti studi mostrano altresì come i mezzi pesanti alimentati a metano emettano più CO2 e particolato di quelli alimentati a diesel o a benzina. E’ noto che le combustioni in generale non possono rappresentare un’alternativa alla decarbonizzazione ad “emissioni zero” né tantomeno uno strumento di contrasto ai cambiamenti climatici. Occorre considerare altresì che un impianto di biogas da 1 Megawatt necessita di circa 400 ettari di terreno per coltivare mais e sorgo come “materia prima”, per cui OGGI i 1.600 impianti attuali in gran parte nel Nord Italia “occupano” oltre 640.000 ettari sottratti alle coltivazioni per l’alimentazione umana e zootecnica, sebbene il PNRR del governo Draghi ne citi “soltanto” 560 da riconvertire. Tra le note criticità dovute alla gestione di impianti che producono biogas, specialmente nel Nord Italia, vi è un severo danno ambientale dovuto alla pessima qualità del “digestato” prodotto, contenente composti azotati e metalli pesanti che vengono quindi sparsi sui campi contaminando coltivazioni, terreni e corsi d’acqua. Tutto ciò è accompagnato dalla falsa narrazione secondo cui il Bio-metano potrebbe addirittura “sostituire i combustibili fossili”, nell’utilizzo per autotrazione. Diversi recenti studi mostrano come i mezzi pesanti alimentati a metano emettano più CO2 e altro particolato tossico rispetto a diesel e benzina. Nel paper redatto a settembre 2019 dalla “European Federation for Transport and Environment AISBL” viene riportato che il GNL (Gas naturale liquefatto / metano al 99%) e lo stesso Bio-metano utilizzato per autotrazione non sarebbero affatto sostenibili, anzi produrrebbero un inquinamento atmosferico da NOx e da particolato PM2,5 e PM10 5 volte superiore ai motori Diesel modello 2013.
Dai dati ufficiali del GSE – il Gestore Servizi Energetici, si apprende inoltre che il finanziamento annuo a fondo perduto per la quota di elettricità prodotta da “Fonti Energetiche Sostenibili” e da fonti “assimilate” (come inceneritori – centrali a biomasse – impianti a biogas/biometano) è pari a circa 12 miliardi di euro, di cui per il solo biogas circa 1,5 miliardi di euro, a fronte di una produzione di energia da biogas nel periodo 2015-2020 pari solo allo 0.04% del totale.
L’interpretazione dell’“Economia circolare” che emerge dalla bozza di PNRR del governo Draghi rischia dunque di ritardare la transizione ecologica e di mettere seriamente a rischio la possibilità per l’Italia di accedere ai fondi del NextGenerationUE, la cui erogazione dovrà rimanere coerente ai principi stabiliti e a quanto previsto nelle direttive europee sull’economia circolare. Citiamo pertanto la comunicazione del 12 febbraio 2021 della Commissione Europea secondo cui “il regolamento che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF, Recovery and Resilience Facility) stabilisce che nessuna misura inserita in un piano per la ripresa e la resilienza (RRP, Recovery and Resilience Plan) debba arrecare danno agli obiettivi ambientali ai sensi dell’articolo 17 del regolamento Tassonomia. Ai sensi del regolamento RRF, la valutazione degli RRP deve garantire che ogni singola misura (ossia ciascuna riforma e ciascun investimento) inclusa nel piano sia conforme al principio “non arrecare un danno significativo” (DNSH, “do no significant harm”)” Invitiamo quindi tutte le forze politiche della maggioranza e dell’opposizione parlamentare a riflettere attentamente sulla gravità di queste previsioni illegittime, anche se ancora in fase di definizione, ed invitiamo tutte le associazioni “ambientaliste”, i comitati, i medici, i giovani e tutti i cittadini a cui preme la tutela della salute pubblica e dell’ambiente a sottoscrivere il presente comunicato per avviare un dibattito pubblico sulle azioni che condizioneranno il futuro di tutti, per contrastare scelte che non sono sostenute da prove scientifiche né per quanto attiene ai benefici ambientali né tantomeno per la salute. L’attuale situazione richiede il massimo rigore e la massima adesione alle evidenze per scongiurare non solo una sostanziale inefficacia delle misure adottate, ma, cosa davvero grave, un ulteriore peggioramento delle condizioni ambientali, climatiche e di salute. Per info e adesioni : leggerifiutizero@gmail.com oppure postmaster@pec.leggerifiutizero.org I co-promotori del presente comunicato si impegnano a coordinare ed a darne ampia diffusione:
Massimo Piras per il Movimento Legge Rifiuti Zero per l’economia circolare,
Roberto Romizi per ISDE Italia medici per l’ambiente,
Angelo Consoli per il Centro Europeo Terza Rivoluzione Industriale – CETRI-TIRES,
Giovanni Damiani per il Gruppo Unitario per le Foreste Italiane – G.U.F.I.
Stefano Deliperi per il Gruppo di Intervento Giuridico – GrIG
Gianni Cavinato per l’ Associazione Consumatori Utenti – ACU
Maurizio Pallante per il movimento Sostenibilità Equità Solidarietà – SEquS
Aderiscono al presente appello le prime associazioni, comitati territoriali e singoli attivisti: • Associazione ambientalista VAS Onlus • Associazione Rifiuti Zero Piemonte • Associazione Zero Waste Sardegna • Associazione Impatto Ecosostenibile Zero Waste Campania • Associazione Zero Waste Lazio
• Associazione Osservatorio Molisano Legalità • Dott. Massimo Blonda – biologo ricercatore IRSA-CNR Bari • Associazione Aria pulita Spilimbergo (PN) – Friuli-Venezia Giulia • Associazione Ambiente Futuro Lombardia • Friday For Future – gruppo di Roma • Arch. Paolo Gelsomini – attivista comitato DeLiberiamo Roma • Coordinamento Provinciale Comitati Ambiente e Salute – Reggio Emilia • Carlo Lugli – D.E.S. Modena (Distretto di Economia Solidale delle Provincia di Modena) • Vanda Morbilli – attivista comitato DeLiberiamo Roma • Paolo Venezia – attivista Roma • Associazione Mamme Salute Ambiente ODV – Venafro ISERNIA • Marco Conte – portavoce comitato DeLiberiamo Roma • Associazione DiversaMente di Vallefoglia PU – Marche • Marcello Paolozza – attivista comitato DeLiberiamo Roma • Movimento Azione Civile – Molise • Prof.ssa Daniela Poli – Dipartimento di Architettura Università degli studi di Firenze • Studio legale Saltalamacchia – Napoli • Comitato No Biodigestore Saliceti – La Spezia • Forum provinciale per i Beni Comuni Pesaro-Urbino • Forum Rifiuti Zero Veneto • Centro per le Comunità solari – Bologna • Rete Emergenza Climatica e Ambientale – EmiliaRomagna • Friday For Future – Ferrara • WWF – Rimini • Associazione La Lupus in Fabula – Pesaro Urbino • Associazione Viviamo Vitinia Onlus – Roma • Comitato Stanga – Padova • Associazione Arianova – Pederobba Treviso • Dott.ssa Vitalia Murgia – Università di Pavia • Associazione Ambiente Basso Molise – Guglionesi CB • Cooperativa mutuo soccorso Generazioni Future – Roma • Associazione cittadina “Solidarietà e Partecipazione” – Castrovillari – CS • Associazione Ambientalista “il riccio” – Castrovillari CS • Società Italiana Protezione Beni Culturali – sezione Molise • Comitato No Megadiscarica Villacidro – Medio Campidano VS • Assemblea permanente Villacidro – Medio Campidano VS • Italia Nostra Sardegna • Unione Sindacale di Base – USB Sardegna • Comitato Vogliamo Pane non Oil – Bologna
Presidente del Consiglio dei Ministri – Prof. Mario Draghi
Ministro della Salute – On. Roberto Speranza
Ministro della Transizione ecologica – Prof. Roberto Cingolani
Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali – On. Stefano Patuanelli ministro@politicheagricole.it
Ministro dello Sviluppo Economico – On. Giancarlo Giorgetti
Produzione di energia da biomassa legnosa e salvaguardia del patrimonio forestale internazionale.
Egr. Presidente del Consiglio dei Ministri,
in occasione della Giornata Mondiale delle Foreste indetta dalle Nazioni Unite il 21 marzo di ogni anno, vogliamo richiamare l’attenzione delle istituzioni sulla effettiva tutela del nostro patrimonio forestale oggi sottoposto ad un crescente sfruttamento per la produzione di biomassa a fini energetici.
Ciò si somma alle minacce che storicamente ne compromettono l’estensione e soprattutto la qualità, come gli incendi, i cambiamenti climatici e il sovra-sfruttamento.
Negli ultimi anni, il crescente fabbisogno energetico della nostra società ha avviato l’utilizzo dei nostri boschi e di foreste in altre parti del Pianeta per produrre biocombustibile per le centrali a biomassa. Un recente articolo pubblicato sulla rivista “Nature” riporta un incremento del 49% della superficie forestale europea sottoposta a taglio e un incremento delle perdita di biomassa del 69% in tutta Europa, nel periodo 2016-2018 rispetto al quinquennio precedente. Il Wood Resource Balance (WRB) dell’Unione Europea (2018) mostra un incremento in Italia da 12 mila a 43 mila metricubi tra il 2009 e il 2015, tra i primi cinque Stati dell’EU28. L’ultimo rapporto annuale del EU Joint Research Centre (2021) riporta che ‘il divario tra gli usi e le fonti dichiarate di biomassa legnosa possono essere in gran parte attribuito al settore energetico e consistono principalmente in rimozioni sottostimate“. In altre parole, la gran parte di legno non contabilizzato a livello europeo può essere attribuita principalmente al consumo di energia!
A questo si aggiunge che l’Italia è tra i maggiori importatori di “pellet”, per circa l’85% dei consumi, generando prelievi forestali e impatti sugli ecosistemi forestali fuori dal nostro Paese.
Questa tendenza è favorita dalle politiche, sia a livello europeo, sia nazionale, di deduzioni fiscali e di incentivi economici che hanno alimentato l’incremento dell’uso di questo combustibile per riscaldamento e produzione energetica, promuovendolo come “ecologico” e rinnovabile, sebbene sussistano varie criticità in merito.
La produzione di energia è centrale nello sviluppo delle nostre società e per la qualità della vita dell’uomo, tuttavia è ormai improcrastinabile avviare una decisa conversione dei sistemi di produzione, abbandonando le fonti fossili e sviluppando le fonti rinnovabili e sostenibili. Nonostante lo sviluppo di fonti rinnovabili negli ultimi anni, purtroppo i livelli crescenti dei consumi energetici ci dicono che la produzione di energia da fonti rinnovabili è stata finora in aggiunta e non sostitutiva rispetto quella da fonti fossili.
In questo processo di transizione occorre prestare la dovuta attenzione e cautela agli impatti che la produzione di energia da fonti rinnovabili può determinare. Vogliamo infatti sottolineare che rinnovabile non vuol dire di per sé sostenibile, se viene trascurata la mitigazione e la compensazione delle minacce per la biodiversità e il paesaggio. Nel caso dell’uso delle biomasse forestali occorre anche considerare che non è una produzione neutra e che complessivamente, per ogni chilowattora di calore o elettricità prodotta, è probabile che l’uso del legno inizialmente aggiunga in atmosfera da due a tre volte più carbonio rispetto ai combustibili fossili.
Con questa lettera, Green Impact e Gruppo Unitario per le Foreste Italiane (GUFI) – le due organizzazioni italiane che aderiscono alla Forest Defenders Alliance, un’alleanza che riunisce oltre 100 Organizzazioni Non Governative in 27 Paesi del Mondo (https://forestdefenders.eu/) – desiderano esprimere la crescente preoccupazione sull’inclusione delle biomasse forestali tra le fonti rinnovabili e sostenibili. Tale inclusione sta dando una forte spinta all’utilizzo dei nostri boschi e delle foreste di molte altri parti del Pianeta, compromettendo ecosistemi forestali di elevato valore naturalistico e i benefici che questi producono in termini di servizi ecosistemici.
L‘impiego delle biomasse legnose a scopo energetico è tutt’altro che neutrale rispetto alle emissioni di anidride carbonica in atmosfera e contrasta con il perseguimento degli obiettivi di limitazione del riscaldamento globale, secondo gli accordi assunti a Parigi nel 2015, ben al di sotto dei 2ºC con i sforzi per limitarlo a 1,5ºC. La presunta neutralità è smentita dalle emissioni necessarie per l’apertura dei cantieri e delle piste forestali, per i tagli, per la movimentazione con mezzi meccanici, per i trasporti in centrale, per la frantumazione o riduzione in pellet. Va altresì considerata la quota di carbonio immobilizzata nei boschi nella lettiera, nell’humus e nel biota vivente dei suoli e la componente non esalata in atmosfera che nel sottosuolo si combina con l’acqua dando origine a bicarbonati solubili che stabilizzano il pH degli ecosistemi acquatici rendendoli idonei ad ospitare notevole biodiversità e resilienza. Si aggiunga a questo che mentre le emissioni in atmosfera derivanti dalla combustione sono immediate, l’assorbimento richiede molto tempo per la perdita di funzioni degli ecosistemi disboscati e per i lunghi tempi di crescita di nuove piante.
Inoltre, la produzione di biomassa legnosa da conferire come combustibile nelle centrali a biomassa sta spingendo nel nostro Paese alla conversione a ceduo con turni brevi determinando il serio rischio di compromettere il capitale naturale a medio e lungo termine. Basta citare un dato: nel nostro Paese le utilizzazioni forestali negli ultimi 15 anni sono aumentate di circa il 70%.
Ad evidenziare l’importanza di questo tema, a febbraio scorso oltre 500 scienziati, anche italiani, hanno inviato una lettera a cinque leader politici mondiali (la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen; il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michael; il Presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden; il Primo Ministro del Giappone, Yoshihide Suga e il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in) per chiedere di arrestare l’utilizzo di biomassa legnosa di origine forestale per produrre energia su grande scala.
Vogliamo in modo analitico e sintetico soffermarci sui punti chiave per cui riteniamo che la produzione di energia dalla combustione della biomassa forestale rappresenta un elemento di forte criticità:
la conversione dei sistemi di produzione energetica con l’abbandono dei combustibili fossili come petrolio, carbone e gas naturale è imposta dalla necessità di ridurre l’immissione in atmosfera di gas clima-alteranti, mentre l’uso delle biomasse forestali produce anidride carbonica e allo stesso tempo compromette le funzioni degli ecosistemi forestali di assorbirla e di produrre ossigeno. Contrariamente all’opinione diffusa, la combustione del legno non è climaticamente neutra e contribuisce in modo significativo all’effetto serra.
✓ La combustione del materiale legnoso, in ambito domestico e in grande quantità negli impianti industriali di produzione energetica, produce particolato sotto forma di polveri sottili PM 2,5 e PM 10, oggi riconosciute all’origine di molte patologie umane e causa di morte nell’ordine di decine di migliaia di persone all’anno. In molti contesti la tecnologia idonea a eliminare o almeno ridurre le emissioni non è adottata.
✓ Sebbene negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un aumento in termini di superficie dei nostri boschi a causa dell’abbandono delle aree marginali agricole collinari e montane, lo stesso non si può dire per la loro qualità, come testimoniano i bassi livelli di biodiversità nei boschi di neo-formazione e anche dal volume medio della biomassa legnosa italiana, meno della metà degli altri Paesi europei (circa 150 mc/ha, contro quella di altri Paesi europei di 350 mc/ha).
✓ La produzione di biomassa legnosa per le centrali a biomassa impone modelli di gestione a ceduo con cicli brevi che compromettono la qualità dei boschi e i servizi ecosistemici forniti. La gestione a ceduo per la produzione di biomassa a scopo energetico arreca un danno, reale e potenziale, all’intera filiera del legno con perdita delle specie pregiate (es. le specie del Genere Acer e alcune del Genere Quercus) utilizzate nell’industria del mobile, del parquet, della cantieristica, della piccola manifatturiera (es. strumenti musicali) e l’artigianato. La gestione del patrimonio boschivo deve invece essere guidata da principi ecologici che garantiscano il rinnovamento, l’aumento della qualità forestale, i livelli di biodiversità in modo compatibile con la produzione di massa legnosa.
✓ I boschi devono essere considerati non come un’insieme di alberi, ma come un complesso ecosistema composto da migliaia di specie vegetali e di decompositorie (complessi ecosistemi composti da migliaia e migliaia di organismi autotrofi ed eterotrofi) e quindi la loro gestione non può essere affrontata ponendosi come obiettivo la produzione di materiale legnoso e al contempo trascurando le specie viventi e le funzioni ecologiche.
✓ Gli ecosistemi forestali forniscono numerosissimi servizi ecosistemici alla biodiversità e alla specie umana, dai servizi di supporto come la formazione del suolo, la fotosintesi, il riciclo dei nutrienti ai servizi di approvvigionamento (cibo, acqua, legno, fibre, ect), a quelli di regolazione come la stabilizzazione del clima, l’assesto idrogeologico, la barriera alla diffusione di malattie, il riciclo dei rifiuti, la purificazione dell’aria e la qualità e quantità dell’acqua nei bacini idrografici. Per la nostra specie si aggiungono i servizi culturali con i valori estetici, ricreativi, culturali, scientifici e spirituali. Per questo la gestione degli ecosistemi deve tenere in considerazione tutte queste funzioni.
GREEN IMPACT Start-up non profit che promuove pratiche trasformative ecologiche ed economiche. Il nostro principale obiettivo è conservare e ripristinare l’equilibrio del pianeta, dando impulso all’innovazione della cultura e dei saperi, così da migliorare il benessere degli animali, domestici e selvatici. Nel portare avanti la nostra missione di tutela dell’ambiente, degli animali e dei loro habitat, privilegiamo soluzioni che abbiano un impatto socio-economico multidisciplinare, facendo leva sull’innovazione e sugli sviluppi tecnici, scientifici e normativi. Grazie alla nostra rete di esperti, offriamo soluzioni tecniche e normative in grado di determinare reali cambiamenti. Mettiamo a disposizione della comunità internazionale dei soggetti interessati tutte le nostre soluzioni a fine di permettere un’ accelerazione di azione collettiva verso il cambiamento. Contatti stampa Green Impact Fabrizio Bulgarini |338 2198878 | f.bulgarini@tiscali.it www.greenimpact.it/it www.greenimpact.it/it/green-economy-per-il-cambiamento
GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane L’obiettivo primario del GUFI è quello di assicurare la conservazione del patrimonio forestale nazionale affinché possa essere lasciata in eredità alle generazioni che verranno. Perché la tutela della biodiversità e del paesaggio naturale dei boschi italiani e dei benefici ecosistemici che questi assicurano all’uomo sia assicurata è necessario che almeno il 50% della copertura forestale del Paese sia lasciata alla libera evoluzione. Ciò è possibile senza entrare in conflitto con le esigenze economiche di tipo produttivo. Per il GUFI l’idea del futuro forestale dell’Italia è quella di un Paese in cui i boschi possano tornare ad occupare gran parte dello spazio che è stato sottratto loro dall’uomo ripopolando le aree attualmente marginali e improduttive e andando a costituire ampie cinture verdi intorno alle città. Inoltre, i boschi destinati alla produzione devono essere gestiti al fine di produrre materiali legnosi e non destinati a usi ad alto valore aggiunto. Contatti stampa GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane Valentina Venturi | 340 3386920 | press@gufitalia.it www.gufitalia.it
(già Direttore dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente e Autorità di sicurezza nucleare e radioprotezione)
Premessa
Il presente documento ha finalità di discussione e confronto. E’ rivolto al pubblico, in particolare al mondo dell’Associazionismo, e vuole contribuire a fornire un quadro per la comprensione dell’importanza epocale del percorso avviato per l’individuazione del sito per la costruzione del Deposito Unico Nazionale per i rifiuti radioattivi italiani. Intende stimolare una partecipazione responsabile e cosciente. Pertanto contiene le informazioni essenziali su questo tema, scritte in maniera il più possibile piana e chiara, e -soprattutto- formula proposte. Non affronta problemi più vasti legati alla materia nucleare, quali l’assetto istituzionale italiano, la sproporzione economica e tecnologica tra nord e sud del Paese, il carico di insediamenti tecnologici e il loro impatto regionale nelle varie situazioni, il tema delle alternative energetiche rinnovabili ed effettivamente sostenibili che sono urgenti e necessarie per fronteggiare la crisi climatica, sociale, occupazionale ecc.. E’ volutamente monotematico perché possa essere utile oggi, rispetto all’iter in corso, per il posizionamento del Deposito. Aver recintato l’argomento finalizzato a un preciso -importantissimo passaggio di un iter che in questi mesi costituiscono un appuntamento d’importanza storica, non significa cedere ad una valutazione riduzionista, ma al contrario, si vuole contribuire ad inquadrare le scelte attuali , tecniche e politiche, nella loro complessità.
Il programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi
In quanto programma è stato sottoposto a procedura di V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica) conclusa con decreto VAS n. 340 del 10 novembre 2018. Il documento, di 58 pagine, articolato in sette capitoli, è consultabile on line:
La Commissione europea nel novembre 2020 ha notificato all’Italia (insieme ad Austria e Croazia) l’attivazione di una procedura di infrazione per non aver ancora adottato un programma nazionale per la gestione dei propri rifiuti radioattivi, conformemente alle norme dell’Ue, e in particolare alla direttiva 2011/70 Euratom sul combustibile esaurito degli impianti nucleari e sugli altri rifiuti radioattivi. Gli Stati membri erano tenuti a recepire la direttiva entro il 23 agosto 2013 e a notificare i loro programmi nazionali alla Commissione entro il 23 agosto 2015.
Si parla inutilmente della necessità di sistemare questa tipologia di rifiuti dal 1968. Il tentativo di imporre manu militari e con un commissario che poteva agire extra ordinem la realizzazione del deposito Unico Nazionale per i rifiuti radioattivi a Scanzano Ionico (MT) nel 2003, senza nessun riguardo e adeguata informazione per la popolazione, fu giustamente respinta a furore di popolo con manifestazioni tra le più straordinarie verificatesi in Italia, concluse con la marcia delle 100mila persone. Oggi non ostante il periodo di pandemia, l’argomento è stato ripreso e iterato in termini frettolosi e con diverse importanti lacune per via di una documentazione che era da tempo nei cassetti e che non è stata aggiornata. I tempi stretti per evitare le pesantissime possibili sanzioni dell’Unione Europea rischiano pure di sacrificare la partecipazione effettiva del pubblico, che dev’essere adeguata, profonda, sostanziale e non burocratica, come passaggio ineludibile per un argomento di così tanta importanza.
E’ stata resa nota da parte di SOGIN con l’assenso dei Ministri per lo Sviluppo Economico e il Ministro dell’Ambiente, del Territorio e del Mare, la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (di seguito con l’acronimo CNAPI) per la realizzazione del Deposito Nazionale per i Rifiuti Radioattivi con annesso Parco tecnologico.
Dal 5 gennaio 2021 è stata avviata la fase di consultazione, della durata di 60 GIORNI1(documento per la consultazione), alla quale è possibile iscriversi online;
Entro 120 GIORNI dalla pubblicazione, si terrà un seminario nazionale a cui parteciperanno vari soggetti tra cui l’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione (di seguito chiamato con l’acronimo ISIN2), Enti Locali, associazioni di categoria, sindacati, università, enti di ricerca, portatori di interesse qualificati.
Dopo il Seminario Nazionale, Sogin raccoglierà NEI SUCCESSIVI 30 GIORNI le ulteriori osservazioni trasmesse formalmente a Sogin e al Ministero dello Sviluppo Economico e redigerà la proposta di Carta Nazionale delle Aree Idonee (in seguito con l’acronimo CNAI).
La CNAI verrà nuovamente sottoposta ai pareri del Ministro dello Sviluppo Economico, dell’ente di controllo ISIN, del Ministro dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
In base a questi pareri, il Ministero dello Sviluppo Economico convaliderà la versione definitiva della CNAI, che sarà quindi il risultato dell’integrazione nella CNAPI dei contributi emersi e concordati nelle diverse fasi della consultazione pubblica.
Come si arriva all’individuazione del sito idoneo definitivo
Con l’approvazione della Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI), Sogin aprirà la successiva fase di confronto finalizzata a raccogliere le manifestazioni d’interesse, volontarie e non vincolanti, da parte delle Regioni e degli Enti Locali il cui territorio ricade anche parzialmente nelle aree idonee a ospitare il Deposito Nazionale con annesso Parco Tecnologico.
Nel caso in cui non venissero espresse, da parte di Enti Locali, manifestazioni d’interesse, o qualora queste fossero pervenute ma successivamente ritirate, Sogin “dovrà promuovere trattative bilaterali con le Regioni nel cui territorio ricadono le aree idonee”.
In caso di insuccesso delle trattative bilaterali (mancata intesa), verrà convocato un tavolo interistituzionale, come ulteriore tentativo di pervenire a una soluzione condivisa.3
Non è specificato, dai documenti ufficiali, cosa accadrebbe in caso di assenza assoluta e ripetuta di manifestazione d’interesse per cui riteniamo che non sia escluso che si agirebbe d’ufficio.
Dopo l’individuazione del sito sono necessarie altre due procedure
Il progetto del Deposito dovrà essere sottoposto a V.I.A. (Valutazione dell’Impatto Ambientale) Nazionale, sulla base di un S.I.A. (Studio d’Impatto Ambientale) redatto dalla SOGIN in qualità di proponente. Dovrà contenere opzioni a confronto sulle scelte effettuate, un quadro programmatico che verifichi l’aderenza a tutte le norme esistenti, ai trattati internazionali, alla pianificazione territoriale, e previsioni d’impatto su aria, acque superficiali e sotterranee, suolo, rumore, flora, fauna, ecosistemi, salute pubblica, elettromagnetismo, accessibilità, eventuale cumulo con altri progetti o insediamenti impattanti fino all’impatto percettivo dalle varie visuali. La V.I.A. , corredata anche da un documento di sintesi non tecnica, richiede obbligatoriamente il diritto di partecipazione del pubblico, di Enti, delle categorie interessate quali Sindacati, Associazioni di protezione Ambientale, ecc…) che possono visionare il progetto e formulare osservazioni alle quali va data risposta. Richiede altresì il parere obbligatorio delle Regioni, delle ARPA e delle Soprintendenze competenti per territorio. Il parere di compatibilità ambientale VIA è reso con Decreto, può contenere prescrizioni e compensazioni vincolanti e prevedere verifiche di ottemperanza. Fra le prescrizioni particolare attenzione può essere rivolta anche agli aspetti percettivi-visuali relativi all’inserimento delle opere nel paesaggio con coperture a verde secondo il modello vegetazionale spontaneo naturale di luoghi.
Il progetto dovrà altresì ottenere il parere dell’ISIN per tutti gli aspetti radiologici e di radioprotezione sanitaria e ambientale del Deposito, con riguardo ai lavoratori, alle popolazioni interessate e all’ambiente in area vasta con prescrizioni sulle cautele connesse da adottare.
Qual’è l’origine dei rifiuti radioattivi italiani e dove si trovano attualmente?
I rifiuti provengono:
➔ Dalle quattro centrali elettronucleari chiuse a seguito del referendum del 1987 e consistono in elementi di combustibile irraggiato, rifiuti gestionali, parti radiologicamente contaminate esito del decommissioning (vale a dire dello smantellamento) in corso4.
➔ Dagli impianti di ricerca e/o di riprocessamento (Eurex in Saluggia – Vercelli; ITREC in Rotondella – Matera , OPEC e IPU in Roma alla Casaccia; ma esistono altre casistiche come Fabbricazioni Nucleari (FN) di Bosco Marengo (Alessandria) e laboratori in ambito universitario.
➔ Dai reparti di medicina nucleare e di radiologia medica (cosiddetti “medicali”). ➔ Dall’industria (gamma-grafie per la verifica delle possibili imperfezioni interne delle saldature meccaniche, dalla produzione di lastre in macchine a controllo numerico ottimizzato…). ➔ Da materiali dismessi del secolo scorso (sorgenti di gamma-grafia di officine meccaniche dismesse, parafulmini radioattivi, aghetti di Radio o sorgenti usati in medicina, sorgenti di Cobalto60 usate in passato per l’irraggiamento di sementi e tuberi [problema: vagabonding5 di materiale radioattivo che può potenzialmente verificarsi con il recupero di ferro, acciaio o alluminio destinati al riciclo].
Ne deriva che quando parliamo di materiali radioattivi non dobbiamo pensare solo alle centrali elettronucleari di potenza, agli impianti di riprocessamento dei combustibili irraggiati di quelle centrali, ma ci riferiamo a un mondo assai più vasto che ha prodotto in passato e continuerà a produrre in futuro anche se in maniera molto ridotta per la chiusura delle centrali nucleari, rifiuti radioattivi che è necessario gestire.
Non tutti gli impianti sono affidati a SOGIN, com’è visibile dalla figura che segue.
Le Linee Guida che regolano le valutazioni per il sito e per il deposito
La GUIDA TECNICA n. 29 dell’ISPRA (emanata nel 2014 e approvata dall’Agenzia Atomica Internazionale – IAEA – nel 2013) reca: Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività.
La GUIDA TECNICA n. 30 dell’ISIN (emanata a metà novembre 2020) reca: Criteri di sicurezza e radioprotezione per i depositi di stoccaggio temporaneo di rifiuti radioattivi e di combustibile irraggiato. ( si noti il plurale: depositi).
AREE INDIVIDUATE DA SOGIN POTENZIALMENTE IDONEE
Delle 67 aree individuate dalla Sogin , 22 sono nel Lazio, 14 in Sardegna, 11 in Basilicata, 4 al confine tra Basilicata e Puglia, 1 in Puglia, 8 in Piemonte, 4 in Sicilia, 2 in Toscana.
La Sogin ha anche aggiunto una lista più ristretta di 23 luoghi come “aree verdi”, cioè i posti ritenuti più favorevoli per realizzare il Deposito dei rifiuti radioattivi:
8 in Piemonte tra le province di Torino e Alessandria (territori comunali di Caluso, Mazzè, Rondissone, Carmagnola, Alessandria, Quargento, Bosco Marengo);
2 in Toscana tra Siena e Grosseto (che comprendono territori comunali di Pienza, Campagnatico);
7 nel Lazio in provincia di Viterbo (comuni di Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Corchiano);
6 in Basilicata-Puglia tra Matera e Bari (nei territori dei comuni di Altamura, Matera, Laterza e Gravina di Puglia).
Le novità nella carta CNAPI riguardano l’inclusione di siti nella Sardegna e nella Sicilia, regioni che nella precedente ricognizione del 1999, eseguita dalla commissione presieduta da Carlo Bernardini, erano state escluse per valutazioni riconducibili ai rischi del trasporto dei rifiuti su distanze lunghe e per giunta via mare.
Nel 2003 il generale Carlo Jean, presidente della SOGIN e Commissario della stessa, in audizione parlamentare affermava che l’esclusione delle isole non era stata determinata dai rischi del trasporto, bensì dalla volontà di evitare contestazioni da parte di Greenpeace lungo il percorso del trasferimento del materiale radioattivo. Lasciava così intendere che le isole erano (o potevano essere) rimesse in gioco confermando implicitamente le indiscrezioni che davano per candidata la Sardegna ad ospitare il Deposito. Dopo mobilitazioni in Sardegna e iniziative parlamentari, il primo ministro Berlusconi intervenne dicendo che la Sardegna turistica veniva da lui esclusa per i rifiuti radioattivi.
Come sono classificati i rifiuti radioattivi
Il DLsl 45 del 2014 che recepisce la Direttiva 2011/70 EURATOM ha applicazione col regolamento di cui al DM 7 agosto 2015 che riporta gli standard IAEA6che classifica i rifiuti radioattivi in 5 categorie7:
– a vita molto breve
– ad attività molto bassa
– a bassa attività
– a media attività
– ad alta attività
La vecchia classificazione indicata nel Decreto Legislativo 31/2010, suddivideva i rifiuti radioattivi in Ia, IIa e IIIa categoria rispettivamente caratterizzati da bassa, media e alta attività.
La Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti presieduta da Massimo Scalia, nell’aprile del 1999 aveva approvato, all’unanimità, un documento di indirizzo per il Governo in cui si proponeva la scelta di uno o più depositi di superficie per i rifiuti nucleari di IIacategoria cui tempi di decadimento radioattivo, fino al raggiungimento dei livelli simili a quelli del fondo naturale della crosta terrestre, richiedono circa 300 anni. Proponeva lo smantellamento accelerato delle centrali nucleari italiane e la collocazione dei rifiuti ad alta attività nel medesimo deposito per alcuni decenni, “viste le piccole quantità dei volumi da sistemare”.
Mentre per i rifiuti delle categorie Ia e IIasi ipotizzava una collocazione affrontabile realisticamente alla luce delle attuali tecnologie, per quelli ad alta attività la commissione non formulava proposte definitive perché allora come oggi non esiste una soluzione accettabile.
In definitiva nel Deposito Unico Nazionale:
• possiamo escludervi la collocazione i rifiuti a vita molto breve la cui radioattività decade a livelli accettabili nel giro di giorni o di mesi e divengono presto rifiuti innocui ordinari. • abbiamo possibilità tecnologiche di sistemare, definitivamente, dopo averli trattati (inertizzati in matrici solide come ad es. in cementi speciali) quelli ad attività molto bassa e bassa.
• abbiamo problemi da risolvere per quelli a media attività e problemi ancora più impegnativi per i rifiuti ad alta attività i cui tempi di dimezzamento sono estremamente lunghi. Si tenga presente che nella trasduzione fra la vecchia classificazione e quella nuova in 5 classi, i rifiuti di media e di alta attività vanno considerati nella stessa, impegnativa, categoria.
Gli elementi che costituiscono il cocktail dei rifiuti ad alta attività sono in determinate percentuali isotopi creati artificialmente attraverso i fenomeni di fissione che avvengono in un reattore nucleare. Il Plutonio 239, che è quello a maggiore presenza, decade di un millesimo della sua attività iniziale in 240 millenni. L’Uranio 235 che pure esiste in natura, dimezza la sua attività in 700 milioni di anni, ma con l’arricchimento in protoni nel reattore diviene in buona parte Uranio238 che ha un tempo di dimezzamento (e non di decadimento!) di circa 4,5 miliardi di anni, pari all’età del pianeta Terra. Nella catena dei decadimenti dalla filiera dell’Uranio238 si formano Torio234, Uranio 234, Torio 230 e Radon che è un gas radioattivo che esala dai terreni e viene a costituire la “radioattività naturale” con cui abbiamo a che fare, a macchia di leopardo, in aree un po dovunque nel Paese. Alla fine dei decadimenti si origina il Piombo206 finalmente stabile e privo di attività radiologica.
I tempi descritti rendono improponibile e non accettabile l’ipotesi di una sistemazione dei rifiuti di questo genere in depositi geologici “definitivi”.
La Terra ha le sue dinamiche geologiche attive, lente ma inesorabili, i continenti si spostano, le montagne si formano, si alzano e si disfano, le falde acquifere e il corso dei fiumi cambiano significativamente in tempi simili. Il mare Adriatico, ad esempio, mostra una tendenza per cui fra circa 58 milioni di annisi stima che non esisterebbe più e la costa italiana sarà unita a quella balcanica albanese, croata, bosniaca e slovena. Come si può pensare, di fronte ai tempi di emivita dei radioisotopi ad alta attività, di realizzare un deposito sotterraneo geologico profondo, pretendere che possa essere “definitivo”, che duri in sicurezza diversi milioni di anni o un miliardo di anni?
Oggi in Europa le scorie radioattive ad alta attività sono allocate in una ventina di siti ma nessuno di essi è definitivo. I tentativi fatti in Germania di sistemazione in depositi geologici profondi (miniere di salgemma) sono falliti.
Il progetto più avanzato in questo campo è quello di Olkiluoto in Finlandia per collocare i rifiuti a 400 metri di profondità e progettato per durare 100 millenni. Il costo iniziale previsto, di 3 miliardi di €, sono lievitati ad oggi a 10 miliardi e la prevista entrata in funzione nel 2009 è stata riposizionata, per adesso, al 2023. Altri Paesi (Svezia, Inghilterra, Francia, Repubblica Ceca, Svizzera, Romania) si trovano ancora in fase di valutazione. La Cina si è dotata di 2 depositi “definitivi” per l’alta attività e nel mondo 4 sono in via di realizzazione.
Per quanto riguarda invece i rifiuti a bassa e media attività esistono in Europa diversi depositi nazionali definitivi: a Drigg (vicino Sellafield in Inghilterra, ove c’è un impianto in cui si trovano diverse barre italiane di combustibile irraggiato per il riprocessamento e l’inertizzazione, e i cui residui diminuiti in volume e solidificati ci verranno rimpatriati), uno in Spagna a El Cabril, due nella Penisola Scandinava, poi in Slovenia, Belgio, Romania, Slovacchia, Ungheria.
La questione della sistemazione dell’alta attività invece appare effettivamente irrisolta e lontana dall’esserlo.
Una prima considerazione è d’obbligo: bene hanno fatto gli italiani a interrompere la produzione di questa tipologia di rifiuti ad emivita lunghissima e altissima pericolosità, col loro voto sul referendum d’iniziativa popolare che l’8 e 9 novembre 1987 vide circa il 72% di Si all’uscita dal nostro Paese dalla generazione dell’energia elettrica da fonte nucleare. Oggi i rifiuti italiani di alta attività sono tutto sommato modesti a confronto di altri Paesi che sono in condizioni assai peggiori.
La seconda considerazione d’obbligo è che è largamente motivato, ad oggi, dire NO alla previsione di un ipotetico, futuro, sito geologico definitivo di profondità per la sistemazione dei rifiuti a lunghissima emivita di attività.
I quantitativi dei rifiuti radioattivi italiani da sistemare
Rifiuti a vita molto breve: non richiedono sistemazione in un apposito deposito definitivo. Si lascia che la radioattività decada tenendoli in sicurezza e divengano in poco tempo rifiuti comuni privi di vincoli radiologici.
Rifiuti ad attività bassa e molto bassa esistenti: (che hanno un tempo di decadimento a livelli per cui il rischio da radioattività diviene minimo accettabile in circa 300 anni)…………..……….. 33000 m3Ad attività bassa e molto bassa previsti per il futuro 8…………..………………………..……….……… 45000 m3Totale capienza del deposito nazionale per questa tipologia……………………………………..…..78000 m3
Nel Deposito Nazionale, inoltre, saranno stoccati «temporaneamente» i rifiuti a media e alta attività, ossia quelli che perdono la radioattività in migliaia di anni , per…………………………………………………………… 17000 m3
Questi comprendono 400 m3residui dal riprocessamento delle barre di combustibile irraggiato delle centrali italiane, spedite da tempo in Francia e in Inghilterra e che verranno restituiti per contratto approvato dal Parlamento, e dalle barre non riprocessabili.
TOTALE GENERALE 95000 m3
Per la loro sistemazione definitiva è dichiarato che «richiedono la disponibilità di un deposito geologico» [criticità! n.d.r.].
La Direttiva 2011/70/EURATOM stabilisce che ogni Paese ha la responsabilità di sistemare i propri rifiuti radioattivi entro i propri confini nazionali.
La direttiva prevede anche la possibilità di costruire uno o più depositi di profondità condivisi fra Paesi europei con quantità limitate di rifiuti a media e alta attività.
In considerazione degli elevati costi di realizzazione e di gestione di un deposito per tale tipologia di rifiuto, alcuni Paesi stanno valutando l’opportunità di una sistemazione definitiva comune dei propri rifiuti a media e alta attività, ma nulla di concreto o di impegnativo è dato di registrare. L’Italia persegue la strategia, richiamata in ambito europeo, del cosiddetto ‘dual track’, ossia l’analisi di fattibilità di un deposito da realizzare all’estero e condiviso fra più Paesi (possibilità che allo stato attuale appare inesistente ma che è giusto tenere in ipotetica considerazione data la relativa modesta quantità dei nostri rifiuti a lunga emivita) e, in parallelo, in caso l’ipotesi estera non risulti praticabile, lo studio di una soluzione “definitiva” a livello nazionale. C’è da chiedersi, in merito, cosa significa la parola “definitiva”.
Un deposito unico nazionale “temporaneo” ma di “lunga durata”
Abituati a ragionare su tempi storici e non geologici, sembra un ossimoro chiamare una cosa temporanea e nel contempo dire che è di lunga o lunghissima durata, ma i tempi del decadimento radioattivo sono inevitabilmente talmente lunghi che i due concetti possono in realtà coesistere. Un deposito siffatto consente di stoccare in sicurezza i rifiuti la cui attività radiologica si esaurisce in circa 300 anni ma può ospitare (com’è previsto “temporaneamente”) anche quelli a media e alta attività derivanti in massima parte dall’esercizio delle installazioni nucleari e la cui emivita radiologica si protrae per migliaia o decine di migliaia di anni.
Nel caso dell’Italia, come già avviene in Europa (Paesi Bassi, Svezia e Svizzera), i rifiuti a media e alta attività verranno conferiti a un’apposita struttura centralizzata, pesso il Deposito Unico Nazionale, denominata “Centro Stoccaggio Alta Attività” (acronimo CSA).
La proposta di Deposito Unico Nazionale di superficie con annesso CSA e Parco Tecnologico prevede le seguenti caratteristiche:
– Estensione 150 ettari (di cui 110 occupati dal Deposito e 40 dal Parco Tecnologico)
– 90 grandi contenitori in cemento armato, detti “celle”, in cui verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo cementizio speciale cosiddetti “moduli” entro cui saranno alloggiati i contenitori metallici contenenti i rifiuti radioattivi già condizionati (ovvero in forma solida, racchiusi in matrice inerte che potrebbe essere vetrosa o di ceramica o cementizia a seconda dei casi). In pratica sono tre contenitori inseriti l’uno dentro l’altro, come le bambole souvenir russe “matrioska”.
– Nel Deposito Nazionale italiano sarà realizzato un complesso di edifici (CSA – Complesso Stoccaggio Alta attività), idoneo allo stoccaggio «temporaneo» dei rifiuti a media e alta attività italiani tra cui i residui derivanti dal riprocessamento del combustibile nucleare esaurito, inviato in Francia e nel Regno Unito e che dovranno rientrare necessariamente in Italia, in conformità a specifici accordi internazionali.
– Costo previsto 900 milioni di € che in base alle esperienze simili condotte all’estero potrebbero lievitare di tre volte.
Considerazioni critiche
1) Le scelte che siamo chiamati a fare in questo periodo storico costituiscono la tessera di un mosaico mondiale la cui definizione condizionerà, in materia di controllo della radioattività di origine antropica, le generazioni umane che dovranno venire nel futuro della Terra. Quindi grande dev’essere la responsabilità nel non commettere errori non sanabili. La rilevanza nazionale e temporale e il livello di complessità richiedono pertanto che ad occuparsene debba essere l’intero governo e non delegare, come avviene, la gestione del procedimento e persino le trattative bilaterali con le Regioni e con gli Enti Locali a SOGIN che è un organismo tecnico ed esecutivo. Ad esempio aspetti legati alla normativa sui beni Culturali, pur richiamata nelle Guide Tecniche, non sono poi inseriti chiaramente nei criteri di esclusione per l’individuazione del sito, né è sviluppato adeguatamente il tema occupazionale. Analogamente non sono sviluppati i rischi legati al trasporto, sia su lunghe tratte che via mare su cui pare siano stati fatti passi indietro rispetto alle previsioni del 1999 che escludevano Sardegna e Sicilia.
2) L’informazione al pubblico, ancorchè migliorata rispetto alla debacle del 2003 quando si tentò di imporre il sito di Scanzano Ionico sollevando un moto popolare di protesta, è ancora largamente insufficiente: gli atti istruttori e il progetto sono visionabili unicamente nelle sedi delle 4 centrali nucleari italiane in corso di smantellamento (Caorso, Trino Vercellese, Latina e Garigliano) e presso la sede nazionale della SOGIN in Roma. Compatibilmente con le necessità di sicurezza nazionale9 non sono stati resi pubblici e messi online, e per quanto possibile resi accessibili a chiunque, tutti gli atti e i documenti che afferiscono al procedimento. Non sono disponibili “sintesi non tecniche”, del tipo in uso nelle procedure di V.I.A. per consentire anche ai cittadini non addentro alla materia di capire e valutare.
3) Non sono previsti meccanismi permanenti istituzionalizzati per una partecipazione e controllo –qualificato e non generico- del pubblico, attraverso proprie rappresentanze, nelle scelte che si andranno a compiere e successivamente nel governo e gestione del Deposito e del Parco Tecnologico;
4) La carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) appare datata e necessita di verifica per un suo eventuale aggiornamento.
5) La valutazione nella scelta deisiti potenzialmente idonei è stata effettuata unicamente secondo la Guida Tecnica dell’ISPRA n. 29, redatta nel 2013 e pubblicata nel 2014 e all’epoca unico strumento regolatorio esistente. Non è stata condotta una rivalutazione secondo il disposto della recente Guida Tecnica dell’ISIN n. 30 (Criteri di sicurezza e radioprotezione per i depositi di stoccaggio temporaneo di rifiuti radioattivi e di combustibile irraggiato), pubblicata il 10 novembre 2020, solo due mesi prima dell’avvio della consultazione. La scelta del sito non può prescindere all’essere armonizzata con quanto disposto nella recente Guida Tecnica almeno per i punti: 4.3 (condizioni operative e categorie di eventi); 5.1 Criteri e requisiti generali di progetto; 5.2 Eventi di riferimento e requisiti specifici di progetto. In definitiva, per questo punto, si ritiene che la qualità del sito debba essere valutata anche in confronto con i requisiti del progetto dal momento che l’una cosa (il sito) influenza l’altra (il progetto) e viceversa.
Conclusioni
Anche se è doloroso e impopolare (a volte è meglio essere impopolari che anti-popolari) occorre prendere atto che la realizzazione di un deposito nazionale unico di superficie per TUTTI i rifiuti radioattivi prodotti in Italia, esistenti e futuri, è cosa necessaria, indispensabile, responsabile e INELUDIBILE . Sono rifiuti prodotti in Italia ed è impossibile non occuparsene sul suolo nazionale anche perché soluzioni condivise a livello europeo non esistono se non nell’espressione di vaghe intenzioni.
Nel nostro Paese l’inventario di questo materiale è sufficientemente controllato anche se attualmente ci sono carenze di sicurezza in diversi siti tra i circa venti in cui sono stipati: sono più idonei quelli provvisori realizzati presso le centrali dismesse10, meno o molto meno idonei in altre circostanze. Tuttavia inviare i nostri rifiuti all’estero significherebbe correre il rischio di perderne il controllo com’è avvenuto e continua ad avvenire per i rifiuti elettronici e per le plastiche con cui le società opulente continuano a creare vergognosi inammissibili disastri ambientali e umanitari in Africa. Altrettanto inaccettabile è la previsione -che in passato sembrava strada da favorire- di inviare i nostri rifiuti radioattivi in Russia ove le cautele ambientali e sanitarie in materia sono di gran lunga meno attente delle nostre. Politicamente ed eticamente tocca a noi sistemare in sicurezza i nostri rifiuti. Ne abbiamo capacità, competenze, tecnologia, possibilità.
Proposte
Perché la realizzazione del Deposito possa essere accettata pienamente o con mugugno dalle popolazioni e una scelta definitiva possa essere difesa con motivazioni oggettive e inoppugnabili, verificabili, occorre che vengano apportati miglioramenti procedurali e in particolare:
→ prolungare adeguatamente i tempi della consultazione pubblica che non può essere accettata compressa nel limite di 60 giorni, in periodo di lockdown ove è impossibile anche viaggiare per visionare o acquisire documenti e in aggiunta in periodo di crisi istituzionale con il governo, che dev’essere il principale interlocutore, che cambia i suoi ministri e probabilmente le sue direzioni generali.
→ Garantire la più assoluta trasparenza nelle scelte, l’accesso agli atti fornendo risposte a ogni singola obiezione da parte di cittadini singoli o associati.
→ Prevedere ampi meccanismi di partecipazione e di possibilità di verifica continuativa da parte dei cittadini, associazioni di categoria, attraverso persone qualificate da loro designate, prevedendo anche -se richieste- il rimborso delle spese ai rappresentanti del volontariato del Terzo Settore per la partecipazione a riunioni e sopralluoghi.
→ vedere coinvolto l’intero governo della Repubblica per una scelta di questa rilevanza: meno SOGIN (che comunque è sempre una S.p.A.) e più Stato, in maniera complessiva e integrata.
→ Prendere in considerazione, nella procedura per l’individuazione finale del sito, contestualmente entrambe le Guide Tecniche, la n. 29 e la n. 30 in quanto oggettivamente interconnesse.
→ ESCLUDERE ESPLICITAMENTE che possano essere autorizzati eventuali depositi definitivi privati, ad eccezione di quelli destinati ad ospitare radionuclidi a vita molto breve che comunque devono rispettare i criteri delle Autorità regolatorie. Questo significa che i soggetti privati attualmente autorizzati al ritiro o alla detenzione di rifiuti radioattivi rientranti nelle categorie del Deposito Unico Nazionale, devono vedersi imposto l’obbligo di conferire il materiale raccolto o detenuto al Deposito Unico Nazionale, secondo le specifiche a loro impartite. La pericolosità di questo genere di rifiuto e le esigenze di sicurezza impongono infatti che la loro custodia definitiva sia pubblica.
→ ESCLUDERE FIN DA SUBITO l’ipotesi di un collocamento definitivo in deposito geologico profondo dei rifiuti a media ed alta attivitàperchè non è concepibile concretamente e realisticamente che possano essere realizzate opere che durino, e in isolamento, svariati milioni di anni. Per meglio comprendere l’entità dei tempi di cui si parla si consideri a confronto che i dinosauri sono estinti “solo” 65 milioni di anni fa e per quanto riguarda l’umanità, che le piramidi egizie, tra le grandi opere più antiche conosciute, sono “vecchie” di circa 4500 anni e la grande muraglia cinese di “solo” 2200 anni. E’ impossibile prevedere come sarà il mondo fra milioni di anni, quando le lingue attuali saranno pressochè certamente estinte e un sito realizzato oggi per contenere sostanze tanto pericolose dovrebbe essere segnalato con ideogrammi comprensibili ai posteri piuttosto che con iscrizioni.
→ PREVEDERE l’INTERIM STORAGE di lunghissima durata, nel Deposito Unico Nazionale, dei rifiuti ad alta attività e con emivita radiologica di millenni. Oggi disponiamo di contenitori, cosiddetti cask, di metallo speciale per rifiuti radioattivi ad elevata attività. Questi contenitori sono stati realizzati in programmi di ricerca multidisciplinare internazionali, sottoposti a numerosi test anche spettacolari, per verificarne la capacità di resistere ad urti violentissimi, a cadute da aereo, ad attacco aereo e missilistico e validati e selezionati dalla IAEA referente indipendente dell’ONU. Una delle proprietà tra le più importanti di questi contenitori è quella di schermare la radiazione nucleare evitando che arrivi a fuoriuscire al loro esterno. Così che possono essere ispezionati, movimentati o rimossi senza necessità per gli operatori di protezioni individuali. Possono essere tenuti sigillati garantendo sicurezza per i lavoratori del deposito, per la popolazione interessata nell’area vasta e per l’ambiente. Tali cask, cilindrici, hanno tre coperchi di chiusura successivi e la superficie esterna ondulata che facilita la dispersione del calore che si produce inevitabilmente al loro interno in conseguenza del lento decadimento radioattivo. Calore che nel Deposito dev’essere rimosso, così come avviene nelle centrali nucleari che hanno ambienti a pressione negativa, con ventilazione afferente a un camino.
Allo stato attuale l’unica soluzione credibile è che i rifiuti ad elevate attività vengano mantenuti entro I cask, sistemati in una zona idonea del Deposito, controllati militarmente, fino a quando non si troverà, per loro, da parte delle generazioni future, una soluzione migliore.
Dalla ricerca abbiamo indizi che possono farci sperare, moderatamente, che in futuro possano essere scoperte tecnologie per ridurre significativamente o far decadere la radiazione nucleare. Va detto che comunque per adesso questo è un sogno: siamo ben lontani dal poter considerare tali indizi prossimi ad esiti conclusivi. Si segnala in merito l’esperimento che ha meritato l’assegnazione del premio Nobel a Carlo Rubbia per cui bersagli bombardati con protoni ad altissima energia producono urti anelastici contro i nuclei atomici degli elementi transuranici che si spezzano in frammenti producendo altri e diversi radionuclidi e altri protoni attivi nel contribuire al bombardamento. Il fenomeno di transmutazione, denominato più gergalmente “spallazione”, fa pensare che si possano “incenerire” Ie scorie radioattive trasmutandole in nuovi e diversi radionuclidi a minore emivita e quindi più “trattabili” per una loro sistemazione definitiva.
Effetti simili sono stati ottenuti anche con laser ad altissima energia, ma anche questo risultato rappresenta solo un indizio di possibilità che comunque non porta al decadimento radioattivo delle masse ma a una loro trasmutazione in divesi radionuclidi che conservano comunque un elevato grado di radioattività anche se inferiori alle condizioni di partenza.
Allo stato attuale è solo il fattore “tempo” che garantisce il decadimento radioattivo spontaneo e siccome i tempi per taluni elementi sono lunghissimi, l’unica soluzione possible è tenere custoditi i rifiuti ad alta attività irraggiante in sicurezza entro i propri cask rimuovibili, ispezionabili, sorvegliati, manutenuti.
→ Acquisire al patrimonio pubblico e per finalità sociali le aree liberate con il decommissioning. SOGIN, S.p.A. a pressochè completa partecipazione pubblica su fondi del Ministero dei Tesoro (fondi derivanti dalle accise sulle bollette elettriche degli italiani) ha il compito di smantellare le centrali nucleari italiane fino al raggiungimento delle condizioni di un “green field”, vale a dire lasciando al posto dell’ex centrale nucleare un campo verde privo di vincolo radiologico. Probabilmente la “mission” assegnata a SOGIN è esagerata: nelle centrali nucleari le palazzine degli uffici amministrativi, i locali mensa, l’aula delle riunioni, edifici che mai hanno avuto a che fare con la radioattività e che talvolta sono pure di notevole pregio costruttivo con elementi di particolare eleganza, potrebbero essere non demoliti, ma acquisiti dallo Stato ed assegnati ad Associazioni per finalità sociali11. In ogni caso e’ giusto chiedere che alla fine delle operazioni di decommissioning, le aree liberate da vincoli radiologici devono essere acquisite al patrimonio dello Stato dal momento che il loro recupero viene pagato con cospicui fondi pubblici e non dall’ENEL, al tempo proprietaria degli impianti e “titolare”della contaminazione. Si tratta anche di evitare che su un terreno bonificato con fondi pubblici possa successivamente verificarsi speculazione privata.
→ Precisare la natura e le funzioni del Parco Tecnologico su cui si può esprimere consenso a condizione che esso sia meglio definito come una struttura frequentata, viva, con ricercatori, stagisti e persino con persone residenti nel complesso. Anzi, si ritiene che la frequentazione della struttura debba essere ampliata ed incentivata ad esempio introducendovi un “museo nazionale dell’energia” che copra tutta l’evoluzione tecnologica dell’umanità dalla scoperta del fuoco, passando per l’energia idraulica, poi del vapore e quindi dell’era della “piro-tecnica”, del nucleare di fissione, fino alle più moderne scoperte e applicazioni del fotovoltaico, dell’idrogeno e delle celle a combustibile. Può essere un luogo che ospiti laboratori di ricerca dell’ISPRA e dell’ENEA (magari per la riduzione dell’attività delle scorie nucleari…), laboratori di metrologia o di analisi chimico fisiche rare d’eccellenza, del CNR o di Università. Un sito di Deposito popolato verrebbe infatti percepito non come tetro cimitero di scorie pericolose da cui stare il più lontano possibile, circondato dal perenne sospetto di essere causa di tutte le patologie che possono verificarsi nell’area vasta interessata, ma come una struttura viva, frequentata, polo culturale e promotore di cultura e sviluppo umano. Ovviamente la frequentazione larga dovrà essere resa anche accettabile sotto il profilo della sicurezza (in senso militare del CSA – Complesso Stoccaggio Alta attività, ma le due esigenze possono trovare soluzioni adeguate.
Andrebbe anche preso in considerazione il recupero del calore derivante dal condizionamento del deposito: il flusso di aria tiepida potrebbe essere indirizzato all’interno di serre per la coltivazione dei fiori o per un vivaio forestale, strutture che potrebbero essere realizzate in prossimità del Deposito Unico Nazionale.
In ogni caso in questa fase iniziale del percorso verso il Deposito Unico Nazionale per i rifiuti radioattivi, occorre dispiegare il massimo della trasparenza, informazione, consentire e promuovere la partecipazione del pubblico, essere aperti al dialogo e a verifiche pubbliche sulle opzioni per pervenire alla scelta motivata del sito più idoneo (o, meglio, del meno inidoneo) e non accontentarsi di una ubicazione magari “più disponibile” perchè più accettata, ma carente di idoneità. Opposizioni aprioristiche e non motivate non sono eticamente accettabili.
della centrale del Garigliano che ha locali spaziosi e luminosi e una scala interna autoportante, disegnata da un grande architetto italiano e unica nel suo genere.
1 Dai ministeri è stato diffusa la notizia di una probabile proroga, data la crisi di governo e la pandemia in atto. All’atto della chiusura di questo documento (12 febbraio 2021) non si registra alcun provvedimento ufficiale in merito.
2ISIN istituito con Dlgs n. 45/2014 subentra all’ISPRA dal cui Dipartimento Nucleare-Rischio Tecnologico e Industriale (oggi ex) eredita personale e le funzioni. Precedentemente le funzioni sulla sicurezza nucleare e la radioprotezione erano state: dal 1982 al 1984 dell’ENEA-DISP; dal 1994 al 2002 dell’ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente); dal 2002 al 2008 dell’ISPRA. Attualmente ISIN è allocato presso in Ministero dell’Ambiente, e non più nell’ambito tecnico-scientifico più generale dell’ISPRA ove sarebbe stato più logico e naturale che rimanesse. La tendenza dei ministeri a divenire strutture elefantiache concentrando in sé funzioni tecnico-scientifiche parziali e improprie, sottratte alle Istituzioni preposte e a volte in concorrenza con esse, andrebbe messa in seria discussione.
3La CNAPI, il progetto preliminare, i documenti per la consultazione pubblica e altri materiali di approfondimento sono disponibili sul sito www.depositonazionale.it, curato da Sogin.
4La Centrale elettronucleare di Latina, a gas e grafite, è la più antica delle centrali italiane e al tempo della sua costruzione la più importante d’Europa e tra le prime al mondo. Costruita dal 1958 al 1962, è entrata in funzione nel 1963 e chiusa nel 1987- La Centrale del Garigliano è stata in esercizio dal 1964 al 1982; La Centrale di Caorso dal 1981 al 1986. Quella di Trino Vercellese è la più recente: costruita dal 1991 al 1997, entrata in esercizio nel 1998, è stata fermata per “arresto forzato” nel 2009 e si è rinunciato al suo raddoppio; questa centrale non è raffreddata ad acqua, ma è dotata di due caratteristiche grandissime torri per il raffreddamento ad aria. 5 Alla fine del maggio 1998 in Italia del nord, nel sud-est della Francia ed in Svizzera è stato rilevato un temporaneo significativo aumento del livello di Cesio 137 presente nell’aria. La radioattività risultò provenire da un’acciaieria di Algeciras (Spagna – Cadige), nei pressi di Gibilterra, ove una sorgente nascosta tra le lamiere incidentalmente finì nei forni della fonderia. Un incidente simile si era verificato molti anni prima in Italia a Saronno. Nel 1989, nella fonderia di Rovello Porro (Como) un carico di alluminio radioattivo proveniente dall’Europa dell’Est è stato inavvertitamente fuso, immettendo nell’aria e nelle acque sostanze radioattive. Come sempre avviene in questi casi, dopo la scoperta, la fonderia venne chiusa e bonificata: alcune tonnellate d’asfalto, di terra e di detriti contaminati vennero prelevati e trasferiti nella discarica nucleare di Capriano del Colle. 6IAEA è l’International Atomic Energy Agenzy , organismo autonomo che si rapporta, come Agenzia specializzata, con il Consiglio di sicurezza dell’ONU. Produce rapporti periodici per l’Assemblea generale e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, alla stregua di un’agenzia specializzata. Nata nel 1957 per gli sviluppi dell’uso pacifico del nucleare e per la sua sicurezza, nel tempo ha abbandonato l’impegno nella promozione del nucleare per concentrarsi esclusivamente sulla sicurezza, incolumità, scienza e tecnologia, verifica e salvaguardia. Svolge tre compiti principali: ispezioni periodiche degli impianti nucleari esistenti per assicurarne l’uso pacifico; fornire informazioni e consulenze per migliorare gli standard per la sicurezza e di fungere da luogo d’incontro e interscambio per addetti ed esperti nelle tecnologie nucleari. 7Sostituisce la vecchia classificazione ENEA-DISP del 1987 8Le sorgenti nucleari che rientrano in questa categoria continueranno necessariamente ad incrementare nel tempo perché derivanti dagli ospedali ove sono impiegate sorgenti per diagnosi e cura, dall’industria di precisione per la qualità dei prodotti e per la sicurezza, ad es., delle componenti dei mezzi di trasporto. 9I materiali più pericolosi devono necessariamente essere custoditi in sicurezza anche di tipo militare per evitare in ogni modo che possano in ipotesi finire nelle mani di terroristi. 10 L’ “idoneità” a mantenere i rifiuti presso la centrale ove sono stati prodotti è una forzatura necessaria accettabile solo in via molto temporanea. Questo perché c’è incompatibilità di requisiti tra un sito ove sorge una centrale nucleare e un sito idoneo per ospitare un Deposito Definitivo per i rifiuti radioattivi a media e alta attività. Infatti una centrale dev’essere necessariamente collocata nelle vicinanze di acqua (fiume o mare) necessaria per il raffreddamento, mentre tale vicinanza è tra i criteri di esclusione nella scelta di un sito di deposito definitivo che deve durare per secoli o svariati millenni. 11 Nel Decommissioning sarebbe anche assai opportuno conservare, a fini museali, parti pregiate della meccanica dell’impianto. Ad esempio le giranti delle turbine che sono “pezzi unici”, realizzati da industrie italiane, con le centinaia di alette saldate perfettamente da mani abilissime, esempi di realizzazione “artigiana” ma di qualità costruttiva e di perfezione meccanica meritevoli di essere esposte. Allo stesso modo sarebbe una sciocchezza demolire la palazzina
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