BOSCO CHIANCA: IL SINDACO CERCA DI FAR PASSARE LA DISTRUZIONE DEL BOSCO PER INTERVENTO FITOSANITARIO

BOSCO CHIANCA: IL SINDACO CERCA DI FAR PASSARE LA DISTRUZIONE DEL BOSCO PER INTERVENTO FITOSANITARIO

Il Gruppo Unitario per le Foreste Italiane prende atto delle gravi parole del Sindaco di Altavilla Silentina apparse in virgolettato sul Corriere di Mezzogiorno del 9 Novembre. Non corrisponde al vero che l’intenzione del Comune sia quella di diradare il bosco Chianca: il bosco infatti sta venendo tagliato a raso. Non è vero che le ragioni per cui il bosco sta venendo tagliato siano inerenti al suo stato fitosanitario, per la presenza di piante “marce” (sic!). Il Sindaco tenta di strumentalizzare la risposta della Regione Campania a questo Gruppo, che concerne solamente aspetti interpretativi della normativa, e che anzi ribadisce la possibilità che il bosco possa essere tagliato a raso, come previsto dal piano di assestamento, che tuttavia è ormai scaduto. A tale lettera della Regione abbiamo prontamente risposto, confutando nel merito le ragioni di diritto ivi esposte, ritenendole gravemente inesatte. Sottolineiamo inoltre che il taglio del bosco ha già prodotto rapporti giuridici di natura economica tra il Comune, il tecnico pagato 16 mila euro, e la ditta boschiva che ha sborsato 200 mila euro non certo per eseguire tagli fitosanitari.

I tagli per ragioni sanitarie e i diradamenti, infatti, hanno una procedura di legge completamente diversa dalle comunicazioni formali inoltrate dal Comune alla Regione, che in questo caso concernono esclusivamente il taglio del bosco a fini economici. In nessun caso, nella missiva della Regione, si fa riferimento a diradamenti, né a problemi fitosanitari, quindi è totalmente fuorviante lasciar credere che le ragioni del taglio siano quelle addotte dal Sindaco.

Questo Gruppo ha piuttosto sostenuto sin dall’inizio come il bosco di Chianca, utilizzato a ceduo fino a 45 anni fa, sia adesso divenuto strutturalmente una fustaia, anche da un punto di vista legislativo, e che l’unico intervento ammissibile sia, appunto, l’intervento di diradamento che il Sindaco usa a sproposito, aggravando le sue dichiarazioni con riferimenti alla possibilità che il bosco, se non tagliato, muoia. Questa tesi è ampiamente smentita dalla scienza. Le foreste esistono sul pianeta da circa 350 milioni di anni, mentre l’essere umano ha fatto la sua comparsa circa 400mila anni fa. Prima dell’arrivo della nostra specie, le foreste coprivano gran parte delle terre emerse, e per merito delle nostre azioni si sono drasticamente ridotte. È quindi lapalissiano che il bosco non ha alcun bisogno dell’uomo e delle sue motoseghe per sopravvivere e prosperare, ma migliora invece in struttura e complessità quando l’uomo smette di tagliare gli alberi e lo lascia alle sue dinamiche evolutive naturali.

Esprimiamo inoltre il nostro sconcerto per quanto detto sulla fauna selvatica: secondo quanto riferito dai cittadini presenti all’assemblea di ieri sera, la giunta avrebbe, incredibilmente, sostenuto che “nel bosco non ci sono animali”. Affermazione assolutamente assurda per qualsiasi ambiente naturale, ma resa ancora più comica dalla vicinanza dell’area al Parco Nazionale del Cilento.

Riteniamo che il rapporto di fiducia tra il Sindaco e i suoi cittadini si sia irreparabilmente rotto, e invitiamo pertanto il primo cittadino di Altavilla Silentina a chiedere scusa alla cittadinanza e a rimettere il suo mandato.

Noi, nel frattempo, continueremo ad informare l’opinione pubblica, i cittadini di Altavilla Silentina e gli organi di controllo circa questa vicenda sempre meno chiara, mossi esclusivamente dalla necessità di salvaguardare il patrimonio boschivo, soprattutto in questo periodo storico di crisi climatica in cui gli ecosistemi forestali sono i nostri più importanti alleati.

Difendere le foreste da 104 anni: la lezione di Fabio Clauser è quanto mai attuale

Difendere le foreste da 104 anni: la lezione di Fabio Clauser è quanto mai attuale

Oggi il GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane festeggia il compleanno del nostro Fabio Clauser, decano dei Forestali italiani, che compie 104 anni. Nato a Malosco (TN) nel 1919, ha ricoperto diversi incarichi: Direttore del Parco Nazionale dello Stelvio, Capo dell’Ufficio Assestamento Forestale dell’Azienda di Stato Italiana per le Foreste demaniali (ASFD), Amministratore delle Foreste Casentinesi, Amministratore della Foresta di Vallombrosa, Vice Direttore del Corpo Forestale dello Stato (CFS), e Vice Direttore della Direzione generale per l’Economia montana e le foreste dello Stato Italiano. Suo il merito di aver istituito la prima riserva integrale in Italia, quella di Sasso Fratino, nel 1959.

A 104 anni, Clauser continua a lottare per difendere le foreste italiane. È costretto a farlo da quella che non ha esitato a chiamare “una rapina nei confronti delle future generazioni”, una politica forestale nazionale che ha dimenticato le lezioni del passato, quando il Corpo Forestale dello Stato operava massicci rimboschimenti contro il dissesto idrogeologico, quando i parchi nazionali venivano allargati e non ristretti, quando il prelievo di legname dal bosco era davvero sostenibile.

Clauser da sempre si batte contro il governo a ceduo dei boschi, una forma di gestione del patrimonio boschivo figlia di un’economia povera, improntata sulla produzione di legna da ardere anziché di legname da opera per utilizzi nobili del legno come la falegnameria e la bioedilizia.
Per avere legname di qualità e non doverlo importare dall’estero, infatti, è necessario avere boschi maturi, con alberi di grandi dimensioni e un’alta provvigione per ettaro. Dopo aver raggiunto il minimo storico nel secondo dopoguerra, le foreste italiane erano in ripresa per merito di persone come Fabio Clauser.

Ma ora tutto questo lavoro è messo a rischio dall’aumento dei tagli boschivi, causati dai generosi incentivi pubblici alle biomasse forestali per la produzione di energia elettrica. Una forma di energia definita rinnovabile che tale non è: come ha più volte ribadito lo stesso Clauser, per riassorbire la CO2 emessa dalla combustione del legname, una foresta impiega molti decenni. Un tempo che non abbiamo in quest’epoca di crisi climatica. A questo si aggiunge la distruzione di ecosistemi preziosi per molte specie a rischio estinzione.

Il GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane si batte contro questo dissennato iper-sfruttamento del patrimonio boschivo italiano, chiedendo la chiusura delle centrali a biomasse forestali, una transizione energetica davvero ecologica, e la forte limitazione della gestione a ceduo, per lasciare alle future generazioni foreste che possano al contempo fornire i benefici ecosistemici che possono dare solo le foreste mature, e un legname di qualità per le nostre eccellenze industriali, con un prelievo davvero sostenibile. In tutti questi anni, Fabio Clauser ci ha onorato del suo convinto appoggio e sostegno, di cui non lo ringrazieremo mai abbastanza.

Cogliamo l’occasione del compleanno di questo gigante per lanciare un appello al mondo forestale italiano: ascoltate la saggezza di chi si è occupato delle nostre foreste per quasi un secolo, fermate le motoseghe, e proteggete cioè che avete ereditato da persone come Clauser, e che gestite solo sotto forma di prestito dai vostri figli.

Gli orsi marsicani hanno bisogno di più foreste evolute

Gli orsi marsicani hanno bisogno di più foreste evolute

L’uccisione dell’orsa Amarena deve imporre una riflessione sulla gestione degli orsi marsicani e su come tenerli lontani dai paesi, in particolare su come far trovare loro cibo a sufficienza nelle aree non occupate dall’uomo. Un elemento troppo spesso trascurato in questo senso è la qualità e il grado di complessità dei boschi che sono territorio dell’orso, la loro importanza nel fornire fonti alimentari a questa specie, e l’impatto che hanno i tagli boschivi nel compromettere la capacità delle foreste di produrre cibo per gli orsi.

L’orso è un animale onnivoro e una parte rilevante della sua alimentazione è costituita da ghiande (prodotte dalle querce) e di faggiole (il frutto del faggio): sono stati trovati escrementi di orso composti unicamente da ghiande e faggiole. Ma non tutti gli alberi producono ghiande e faggiole allo stesso modo. Esattamente come un bambino ha bisogno di crescere prima di entrare nell’età riproduttiva, anche le piante non fruttificano durante i primi anni di vita.

Un faggio comincia a fruttificare non prima dei 20-30 anni di età, mentre le querce cominciano a fruttificare a 30-40 (le farnie un po’ prima delle altre specie). Un albero troppo giovane, quindi, non produce frutti, e non fornisce cibo agli animali selvatici. Molti boschi sono in questa situazione, in particolare quelli nati dall’espansione del bosco in zone prima coltivate.

Ci sono poi i boschi governati a ceduo, dove le piante vengono tagliate alla base per fare legna, e ricrescono con giovani rami chiamati polloni. Questa forma di governo del bosco, dannosa perché lascia il suolo forestale quasi completamente scoperto, è molto diffusa in Italia e purtroppo viene utilizzata anche all’interno dei parchi nazionali.

Le piante ceduate devono ricrescere da capo dopo ogni taglio, ricostituendo la parte aerea. L’albero quindi spende moltissime energie per sopravvivere al taglio, e non fruttifica per qualche anno, o lo fa ma producendo pochissimi frutti. Una pianta ricresciuta dopo un taglio ceduo è un pianta piccola, e dopo turni molto brevi (di solito 20 anni, ma a volte anche meno) viene tagliata di nuovo. Questi alberi, condannati a non poter mai raggiungere dimensioni dignitose, hanno una produzione di frutti misera e assolutamente imparagonabile a una pianta secolare.

Altro effetto delle continue ceduazioni è il taglio del sottobosco, che fornisce cibo agli animali selvatici sotto forma di frutti di bosco, insetti e micromammiferi. Il sottobosco viene eliminato per consentire il passaggio dei macchinari per il taglio boschivo.

È quindi importante, nel considerare l’areale dell’orso, non concentrarsi solo sulla sua estensione, ma anche sulla qualità e complessità dei boschi compresi nel territorio della specie. Boschi più evoluti hanno una capacità portante per la specie molto superiore a boschi giovani o ceduati, che sono ecosistemi immaturi dove non ci sono catene alimentari stabili e articolate. Gli orsi marsicani hanno bisogno di un numero rilevante di aree boschive lasciate all’evoluzione naturale, con boschi indisturbati da tagli, e ricchi di cibo per loro e altre specie animali, se vogliamo tenerli lontani dai centri abitati per favorire la convivenza e salvare la specie.

Nei boschi sottoposti invece a gestione, bisogna abbandonare il governo a ceduo e puntare su quello ad alto fusto, più rispettoso delle dinamiche naturali. Si possono fare tagli oculati e limitati, senza aprire o destrutturare troppo la foresta, praticando una selvicoltura più ecosostenibile e meno impattante, che lasci un numero adeguato di piante mature che possono fruttificare e nutrire la fauna.

Anche le pinete artificiali, di cui si invoca così spesso il diradamento, possono fornire cibo agli orsi marsicani. A causa della grande quantità di legno morto al loro interno sono ricche di insetti e micromammiferi: tutti cibi apprezzati dagli orsi.

Tutto questo non esclude altri possibili interventi per l’alimentazione degli orsi, come una possibile ripresa della pasturazione in aree isolate. Ma un discorso sulle fonti alimentari degli orsi non può prescindere da una discussione sullo stato delle foreste.

È utile in questo senso anche la conservazione degli esemplari di alberi da frutto rimasti nei terreni non più coltivati. Questi alberi camporili possono essere di varie specie e trovarsi in condizioni diverse: in pieno campo, ai margini meno coltivabili o sui confini, come accade nei pascoli e seminativi arborati o cespugliati, per le querce camporili, o per gli alberi maritati alle viti (aceri e olmi campestri, ma anche gelsi e più raramente meli e altre specie di alberi). Sono piante robuste, longeve e rustiche, selezionate dalla natura, che possono costituire una risorsa trofica per la fauna.

Le foreste possono anche essere arricchite di fonti alimentari per l’orso con la messa a dimora di alberi da frutti come meli e peri selvatici. Queste piante sono perfette ai margini di boschi e praterie, o dove c’è una gestione orientata alla conservazione di pascoli, creando pascoli arborati, o garrighe, e andando a creare corridoi ecologici ricchi di fonti alimentari.

Le garrighe, aree aperte e aride dove il bosco non arriva, e i pascoli arborati possono essere di particolare interesse a questo scopo. La messa a dimora di alcuni alberi da frutto in questi contesti permetterebbe anche di ricreare alcuni elementi tradizionali del paesaggio, con interventi che aumentino la diversità a mosaico degli habitat secondari. I pascoli arborati, per esempio, consentono un uso sinergico del territorio. Questi luoghi possono agire come zone buffer per tenere lontani i selvatici dalle attività agricole e dai paesi. Alberi e arbusti di questo tipo possono essere una risorsa d’emergenza per le specie più minacciate, specialmente negli anni non di pasciona.

Altra azione importante può essere il restauro dei ramneti in alta quota, dove sono primari.

Ogni specie vivente, compresa quella umana, è legata a doppio filo al proprio ambiente naturale. Le azioni per salvare le specie a rischio estinzione devono quindi avere come punto di partenza la conservazione del suo habitat. Se vogliamo salvare gli orsi marsicani, dobbiamo avere più cura delle loro foreste.

Pedrotti: non toccate la pineta di Villetta Barrea

Pedrotti: non toccate la pineta di Villetta Barrea

Pubblichiamo di seguito la lettera ricevuta dal Professor Franco Pedrotti, luminare della botanica:

“L’Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise ha preso la decisione di effettuare un
taglio di pini nella pineta di Villetta Barrea.


Viene subito da dire che un parco nazionale ha per scopo quello di proteggere gli alberi e non di
tagliarli. La pineta di Villetta Barrea è un bosco residuo e relitto, di grande interesse fitogeografico,
poiché rappresenta l’ultimo frammento di una pineta che in passato era molto diffusa in tutto
l’Appennino centrale, come risulta dalle analisi polliniche eseguite.


In un Parco Nazionale si dovrebbero sempre prevedere alcune aree ove il bosco è lasciato al suo
libero sviluppo, in modo da raggiungere la fase ecologica della fluttuazione. In questo caso gli
alberi completano nello stesso punto il loro ciclo vitale, dal seme alla vetustà. Questa forma di
gestione dovrebbe essere applicata anche alla pineta di Villetta Barrea.


Si può anche pensare a una forma di gestione più articolata della pineta, sempre che non comporti
l’eliminazione di porzioni della stessa. In nessun caso è ammissibile il taglio, né lo sfoltimento
giustificato da prevenzione incendio.


La prevenzione incendio va fatta utilizzando uomini e mezzi adeguati che non prevedano la
distruzione o la manomissione del bosco, altrimenti distruggiamo ciò che invece vorremmo tutelare.
Si chiede pertanto che il Parco voglia ripensare e sospendere definitivamente questa insensata
decisione, ancor più che questa pineta rappresenta un alto valore ecologico, storico, culturale e botanico.


Essa mostra una importante rinnovazione di pino e latifoglie, nonché una struttura forestale ormai
notevole. Questa pineta è importante anche per la stabilità idrogeologica e per la biodiversità,
racchiudendo specie di piante non comuni (es.: Orthilia secunda).


Essa incarna anche un alto valore da un punto di vista forestale, in quanto essa rappresenta l’opera
dei forestali e la pineta madre dei rimboschimenti realizzati in Italia centrale.


Professore Emerito Franco Pedrotti,
già Consigliere del Parco e già Presidente della commissione scientifica del Parco “

BASTA GEOTERMIA SUL MONTE AMIATA

BASTA GEOTERMIA SUL MONTE AMIATA

di Mariarita Signorini

On.le  Enrico Letta,

sono Mariarita Signorini, da sempre impegnata nell’Associazione Italia Nostra, la più antica del  Paese per la tutela del patrimonio artistico storico e ambientale, Associazione di cui ho ricoperto diversi  incarichi fino a esserne Presidente nazionale.

Con la presente voglio esprimerLe la mia preoccupazione per il futuro del  Monte Amiata, che costituisce un grande ecosistema ricco di boschi, biodiversità, ricco di acque sorgive, un bene comune cosi fragile e a rischio, come dimostra la recente drammatica siccità. Ed è proprio per la tutela del patrimonio paesaggistico, storico e ambientale di questi luoghi che da Presidente Nazionale e ora da Vicepresidente regionale ho avviato da anni e sostenuto un’azione giudiziaria, in sede amministrativa, per contrastare la realizzazione di una centrale geotermica a ciclo binario a Poggio Montone, in prossimità della Riserva naturale del Pigelleto a sud di Piancastagnaio.  Sono sempre più convinta, infatti, che la coltivazione geotermica,  che si sta intensificando enormemente in questi ultimi anni, sia incompatibile con il territorio del Monte Amiata,  che sarebbe invece naturalmente vocato a divenire un Parco nazionale o regionale,  un progetto lungimirante che tante Associazioni, tra le quali Italia Nostra sostengono, del pari  all’istituzione di un Parco Archeologico in Val di Paglia che porterebbe alla valorizzazione della Via Francigena,  nel cui tracciato insiste invece, tristemente,  il progetto di un’altra centrale geotermica denominata “Le Cascinelle”.  Così come il Ministro Franceschini, che ha aderito alla procedura di dissenso posto in essere dal ricorso della  Soprintendenza  toscana,  auspico che anche lei voglia intraprendere un’azione politica di contrarietà per  la centrale  di “ Le Cascinelle “ e la realizzazione del secondo Polo Industriale geotermico sul Monte Amiata. La grave crisi idrica e la siccità, che stanno investendo l’intero Paese, impongono scelte  ponderate e del tutto diverse da quanto la politica decide ora a spese dei territori, delle risorse e della popolazione. L’ Amiata possiede il bacino idrico più importante del centro Italia, un bacino strategico che disseta  700.000 utenti e cittadini e interessa le provincie di Siena, di Grosseto e di Viterbo. Le centrali  geotermiche esistenti sono già, a tutt’oggi, tra le cause del depauperamento delle falde acquifere e delle massive emissioni di  CO2, di metano e di sostanze inquinanti, nocive all’ambiente e alla salute.  Si sta perpetrando un danno irreversibile per l’intero comprensorio amiatino con gravi conseguenze anche per i territori a valle. Ci auguriamo pertanto che anche Lei sappia opporsi a un tale scempio.                                   

Mariarita Signorini

Vicepresidente Italia Nostra Toscana, già Presidente nazionale Italia Nostra, Consigliere GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane

IL CONSIGLIO REGIONALE DEVE APPROVARE LA LEGGE A TUTELA DEI BOSCHI TOSCANI

IL CONSIGLIO REGIONALE DEVE APPROVARE LA LEGGE A TUTELA DEI BOSCHI TOSCANI

Firenze, 14 giugno 2022 – Le associazioni firmatarie chiedono al Consiglio Regionale della Toscana di approvare la proposta di legge sui tagli boschivi in discussione giovedì mattina.

La proposta di legge, presentata dalla Consigliera Silvia Noferi, è mirata a impedire che i boschi pubblici, anche all’interno di aree protette, vengano trattati alla stregua di deposito di legname con il quale far cassa, con tagli frequenti e gravemente impattanti sull’ecosistema forestale.

Tende poi a dare più responsabilità al Consiglio Regionale e meno alla Giunta, l’organo che attualmente decide, senza un adeguato confronto politico, le scelte sostanziali in materia di gestione forestale. Introduce inoltre la presenza del tecnico forestale sia in fase di asseverazione che di collaudo: la presenza di un professionista nelle procedure amministrative per il taglio dei boschi, infatti, costituisce un elemento di maggiore garanzia per gli organi di controllo, quali i Carabinieri Forestali.

La proposta di legge pone inoltre un argine alla pratica del taglio a raso del ceduo, sposando le recenti direttive operative del Comando dei Carabinieri Forestali, secondo le quali i boschi cedui invecchiati devono essere considerati fustaie e quindi sottoposti a maggiori limiti relativi ai tagli boschivi.

Il taglio a ceduo è un metodo di governo del bosco molto utilizzato in Toscana che denuda il suolo forestale, e prevede il taglio di tutti gli alberi a eccezione di poche piante, giovani ed esili (dette matricine). Ciò che rimane è molto difficile da definire foresta: privata della copertura arborea, l’area diventa spoglia e il terreno è sottoposto a erosione e perde nutrienti. Sia gli alberi che il suolo forestale sono tra i migliori sequestratori di CO2, e in un momento in cui si moltiplicano le iniziative di riforestazione per contrastare il riscaldamento climatico, il Consiglio Regionale dovrebbe pensare innanzitutto a proteggere le foreste già esistenti dal sovrasfruttamento.

Le associazioni ricordano inoltre che il legname prodotto tramite il governo a ceduo è legname di bassa qualità, che in gran parte finisce per diventare cippato per le centrali a biomasse forestali, a cui l’Unione Europea sta considerando di togliere gli incentivi, prendendo finalmente atto dell’insostenibilità di bruciare le nostre foreste per produrre energia. Le biomasse forestali sono inoltre pericolose per la salute dei cittadini, in quanto la combustione di legno produce alte quantità di particolato e altre sostanze inquinanti, mentre è ormai assodato che gli ambienti forestali, lasciati il più possibile alla loro evoluzione naturale,

rappresentano una fonte insostituibile di benessere e di salute.

L’attuale politica forestale della Regione Toscana è quindi insostenibile, climalterante e profondamente dannosa per la biodiversità, e andrebbe rivista nel senso indicato dalla proposta di legge, tutelando dai tagli almeno le riserve naturali, imponendo maggiori controlli e privilegiando la fustaia al posto del ceduo.

La fustaia non solo garantisce un minore impatto sull’ecosistema forestale ma consente anche, qualora si tagli, di produrre legname di qualità per scopi nobili quali la falegnameria e la bioedilizia, che lasciano intrappolato il carbonio assorbito dall’albero e non lo disperdono nell’atmosfera.

Come segnalano le associazioni di settore, questo tipo di legname per usi nobili manca in Italia e viene importato, perché i boschi a ceduo non sono in grado di fornirlo. Se i turni di taglio fossero meno ravvicinati e i boschi non venissero ceduati a intervalli di pochissimi anni, potremmo proteggere la biodiversità, combattere il riscaldamento globale e ridurre drasticamente le importazioni di legname da opera dall’estero. Una politica industriale ed ecologica di lungo periodo che speriamo la Regione Toscana approvi, dimostrando la necessaria lungimiranza.

ASSOCIAZIONI FIRMATARIE

GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, Movimento per la Terra e la Comunità Umana, WWF Toscana, Italia Nostra Toscana, ISDE – Medici per l’Ambiente, European Consumers, SIRF – Società Italiana di Restauro Forestale, Green Impact, Parents for Future, Atto Primo – Salute Ambiente Cultura, Comitato Val di Farma, Comitato per la salvaguardia della Montagnola Senese, Forum Ambientalista Toscano, Coordinamento Merse