Pedrotti: non toccate la pineta di Villetta Barrea

Pedrotti: non toccate la pineta di Villetta Barrea

Pubblichiamo di seguito la lettera ricevuta dal Professor Franco Pedrotti, luminare della botanica:

“L’Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise ha preso la decisione di effettuare un
taglio di pini nella pineta di Villetta Barrea.


Viene subito da dire che un parco nazionale ha per scopo quello di proteggere gli alberi e non di
tagliarli. La pineta di Villetta Barrea è un bosco residuo e relitto, di grande interesse fitogeografico,
poiché rappresenta l’ultimo frammento di una pineta che in passato era molto diffusa in tutto
l’Appennino centrale, come risulta dalle analisi polliniche eseguite.


In un Parco Nazionale si dovrebbero sempre prevedere alcune aree ove il bosco è lasciato al suo
libero sviluppo, in modo da raggiungere la fase ecologica della fluttuazione. In questo caso gli
alberi completano nello stesso punto il loro ciclo vitale, dal seme alla vetustà. Questa forma di
gestione dovrebbe essere applicata anche alla pineta di Villetta Barrea.


Si può anche pensare a una forma di gestione più articolata della pineta, sempre che non comporti
l’eliminazione di porzioni della stessa. In nessun caso è ammissibile il taglio, né lo sfoltimento
giustificato da prevenzione incendio.


La prevenzione incendio va fatta utilizzando uomini e mezzi adeguati che non prevedano la
distruzione o la manomissione del bosco, altrimenti distruggiamo ciò che invece vorremmo tutelare.
Si chiede pertanto che il Parco voglia ripensare e sospendere definitivamente questa insensata
decisione, ancor più che questa pineta rappresenta un alto valore ecologico, storico, culturale e botanico.


Essa mostra una importante rinnovazione di pino e latifoglie, nonché una struttura forestale ormai
notevole. Questa pineta è importante anche per la stabilità idrogeologica e per la biodiversità,
racchiudendo specie di piante non comuni (es.: Orthilia secunda).


Essa incarna anche un alto valore da un punto di vista forestale, in quanto essa rappresenta l’opera
dei forestali e la pineta madre dei rimboschimenti realizzati in Italia centrale.


Professore Emerito Franco Pedrotti,
già Consigliere del Parco e già Presidente della commissione scientifica del Parco “

Il caso della Pineta Dannunziana e le aree protette

Il caso della Pineta Dannunziana e le aree protette

di Giovanni Damiani


Gentili Renzo Motta, Davide Ascoli, Marco Marchetti e Giorgio Vacchiano,

faccio riferimento a quanto pubblicato a Vs firma sulla Rivista SISEF il 04/08/2021 dal titolo Prevenzione antincendio e la conservazione dell’ambiente: il caso della Pineta Dannunziana di Pescara.

L’articolo ha suscitato diffuso stupore per il contenuto di affermazioni assolutamente non veritiere su cui sono impiantate conclusioni altrettanto non accettabili. Esse sono riprese e rimbalzate evidentemente dalle posizioni assunte dal Presidente dell’Ordine Provinciale dei dottori Agronomi e dei dottori Forestali, dr. Matteo Colarossi, autentiche “rivelazioni” inedite che sono poste come basi alla richiesta di togliere lo status di “Riserva Naturale “alla Pineta per applicarvi la selvicoltura a scopo di prevenzione AIB.   

Queste in sintesi le palesi notizie false che anche Voi, evidentemente male informati e senza operare verifiche, incredibilmente rilanciate.

NOTIZIE INFONDATE SULLA GENESI DELLA PINETA

È stato sostenuto che “La pineta, localizzata all’interno della città di Pescara, è l’eredità di un rimboschimento fatto dal Marchese D’Avalos nel ‘500. “  Si tiene a riferire che questa affermazione emerge per la prima volta in un’intervista resa alla RAI – TG3 regionale il 7 maggio 2021 dal dr Colarossi : “La pineta è coltivata dal 1500” dice Colarossi “e non esisteva al tempo dei romani. Non si tratta di foresta vergine“ [1]

Dal momento che tale affermazione contrasta con quanto finora emerso da tutti gli studi storici, dalle ricerche archivistiche e le conseguenti valutazioni logico-deduttive, da più parti c’è stata la richiesta all’Ordine Professionale presieduto dal dr.  Colarossi di fornire gli elementi documentali posti alla base della rivelazione.    Tali richieste sono state pubbliche, sono tutt’ora reiterate anche con insistenza, ma sono rimaste, ad oggi, senza risposta. Ma il Presidente Provinciale dell’Ordine ha cambiato successivamente versione e ha sostenuto in sintesi che la Pineta “c’era all’epoca dei romani e anzi è lì prima della comparsa dell’uomo…”  ma è stata tagliata, ha riconfermato essere stata successivamente ripiantata dal Marchese D’Avalos nel 1500, ma tagliata di nuovo e… quello che vediamo oggi sarebbe opera dell’impianto artificiale fatto dal Corpo Forestale dai primi del secolo scorso addirittura fino negli anni ’80. Tuttavia anche queste sono tutte notizie nuovissime, sfuggite anche agli studiosi più attenti e a tutti i ricercatori e archivisti, notizie che cambiano la storia e non solo del territorio abruzzese … ma si continua a non rivelare quali siano le fonti archivistiche o bibliografiche di tanta rivoluzionaria novità. E anche in questo caso vi sono state richieste reiterate e pubbliche di spiegazioni, citando il contrasto con le numerose fonti documentali esistenti, con le cartografie storiche che riportano la “Silva Lentisci” talvolta chiamata “Selva dei Chiappini” e con fatti oggettivi sulla storia dei D’Avalos che erano Marchesi di Pescara e non avrebbero potuto impiantare pinete a Pino d’Aleppo su quasi l’intera costa adriatica, in aree vastissime al di fuori delle loro limite proprietà. La fonte più antica dell’esistenza della foresta risale in realtà al 1114 ad opera del grande geografo arabo Eldrisi (o Al- Idrisi) incaricato di redigere cartografie da Re Ruggero II di Palermo, che riporta che da Campomarino ad Ancona, per circa 300 miglia di costa adriatica: “in queste solitudini vive gente che s’annida nelle foreste e vi ha luoghi di caccia e in questi deserti va in cerca di miele”. In archivio di Stato si trovano documenti circa l’entità dei tagli effettuati storicamente su tale foresta ed anche le date ed entità e specie utilizzate nei rimboschimenti, sempre parziali, effettuati nel tempo. Esistono anche studi storici sulla Pineta effettuati all’inizio del 1800 e parlano ancora i toponimi “Montesilvano”, “Silvi” … Una fotografia d’epoca dannunziana datata 1927, inoltre, mostra dei tronchi di Pino d’Aleppo di dimensioni imponenti che sicuramente non potevano essere stati piantati da poco tempo.  Prendo atto che qualche dubbio è venuto anche a Voi, se alle posizioni del Dr Colarossi avete aggiunto “in massima parte” frutto di rimboschimento …

In definitiva le notizie – peraltro contraddittorie – sull’origine non naturale della Pineta di Pescara rivelate dal dr Colarossi restano, ad oggi, totalmente infondate e l’area va considerata un relitto, prezioso, di un’antichissima foresta che copriva la quasi totalità del litorale adriatico. Relitto sicuramente non qualificabile come “foresta vergine” ma sicuramente molto particolare perché le condizioni geologiche -idriche (con riferimento alla falda ivi assai superficiale che crea sacche limitate di umidità frammiste a mosaico in diverse  aree xeriche)  dànno  luogo a un corrispondente mosaico di vegetazione xerica associata al Pino d’Aleppo o addirittura a flora dunale su residui di dune fossili, accanto a vegetazione tipica di zone umide, risultandone una straordinaria biodiversità.

SE IL Dr COLAROSSI, appoggiato dal CONAF e ripreso dalla SISEF, AVESSERO RAGIONE SULL’ORIGINE ARTIFICIALE DELLA PINETA DANNUNZIANA?

È oramai chiaro che la richiesta di dequalificazione della PINETA dallo status di Riserva Naturale perché la stessa sarebbe di recente impianto artificiale è una grave sciocchezza.  Ma se, per assurdo, effettivamente la Pineta fosse artificiale, avremmo grandissimi e validissimi MOTIVI IN PIÙ più per mantenerla RISERVA NATURALE. Anzi sarebbe un obbligo. Infatti la straordinaria biodiversità presente, le specie arboree, arbustive ed erbacee collocate al posto giusto rispetto alle condizioni e alla natura del suolo, alla distanza dal piano della falda, la distribuzione spaziale delle stesse, la disetaneità, insomma le tantissime specie “giuste” messe al posto “giusto”, renderebbero questo ecosistema una delle più mirabili produzioni intellettuali dell’Uomo. Rappresenterebbe probabilmente una realizzazione del più elevato sapere botanico-forestale e delle discipline delle scienze naturali prodotte in Italia, meritevole di ATTENZIONE E VANTO NONCHÉ DI TUTELA AGGIUNTIVA ALLE MOTIVAZIONI NATURALISTICHE e non la squalifica che chiede l’Ordine Professionale.

NOTIZIE FALSE SUL PRESUNTO IMPEDIMENTO DEL PIANO DI ASSETTO NATURALISTICO AD EFFETTUARE INTERVENTI AIB

Nell’articolo a Vs firma è detto: “Prima dell’istituzione della Riserva venivano regolarmente effettuate operazioni colturali come i diradamenti forestali, lo sfalcio delle invasive erbacee ed arbustive e la rimozione della necromassa, proprio per ridurre il pericolo di incendi tenendo conto della particolare localizzazione del bosco. Con l’istituzione della Riserva, tuttavia, è stato adottato un Piano di assetto naturalistico che ha imposto di non effettuare interventi colturali ed assecondare lo sviluppo della vegetazione secondo la sua dinamica naturale.

Non è vero che siano mai esistite nella Pineta di Pescara le citate “operazioni colturali”, diradamenti ecc… in funzione AIB e che poi queste sarebbero cessate perché impedite dalle norme di tutela. 

La Pineta è stata acquistata dal Comune di Pescara, dai discendenti dei Marchesi D’Avalos nel 1975. Una nutrita commissione multidisciplinare istituita da esperti in varie discipline e da amministratori comunali indicò una porzione di essa (comparto n. 5) meritevole di tutela integrale per le preziosità botaniche e per la pregevole composizione ecosistemica, che ne portò alla recinzione e alla chiusura alla frequentazione pubblica, destinandola a frequentazione a scopi didattico-scientifico controllata ai fini della conservazione.   Proprio quel comparto 5 è quello preso di mira dagli incendiari: lì sono stati messi gli inneschi.  La Riserva è stata istituita nel 2000 ed il Piano di Assetto Naturalistico (di seguito PAN) è stato approvato nel corrente 2021, con circa 20 anni di ritardo rispetto al provvedimento di protezione.  Pertanto è falso che sia stato il PAN ad “imporre di non effettuare interventi colturali” ecc: quell’area era a tutela integrale continuativamente da 46 anni mentre la Riserva esiste sulla carta da 20 e il PAN è adottato da pochi mesi.   È falso pertanto che la tutela abbia favorito il propagarsi dell’incendio, mentre è vero il contrario: è l’assenza di tutela, prevista nel PAN e ancora di più nel Piano Comunale di Protezione Civile totalmente inapplicato a dover essere chiamato in causa.  La Riserva a gestione comunale ha ricevuto per venti anni fondi dalla Regione per la sua gestione ma ciò non ostante non ha mai avuto un direttore, personale dedicato, alcuna vigilanza, neppure quando i bollettini della Protezione Civile indicavano – come nel caso in questione – alto rischio d’incendio; è largamente sprovvista di prese idriche antiincendio per la maggior parte della sua estensione e persino lungo il perimetro d’interfaccia fra abitazioni e bosco, ove è presente una sola manichetta antincendio di realizzazione privata, sita in ambito privato dell’Istituto delle Suore e con possibile raggio d’azione di pochi metri entro la Pineta. È falso anche che interventi silvoculturali erano effettuati e sarebbero cessati con il PAN.  Riporto a riprova, di seguito, quanto stabilito dal PAN stesso: Pag. 46

Problematiche relative al comparto 5

Il comparto 5 presenta caratteristiche peculiari che lo differenziano sostanzialmente dagli altri settori della Riserva Dannunziana; infatti la chiusura al pubblico (seppure il comparto risulti frequentato abusivamente da alcune persone, che ne hanno causato lo stato di degrado e di rischio in cui attualmente si trova), ha permesso di preservare lo sviluppo di alcune specie vegetali e di migliorare le caratteristiche chimico-fisiche del suolo.      Si propone che il PAN preveda per questo comparto una destinazione di conservazione con finalità scientifiche e didattiche e si limiti la frequentazione antropica a visite guidate e controllate.

È il nucleo meglio strutturato e con caratteri di maggiore naturalità di tutta la Pineta. Esso ricorda una componente del modello dell’antico mosaico forestale, nel quale la successione di dossi dunali e depressioni interdunali davano origine ad una serie di tessere vegetazionali in cui gli elementi portanti erano rappresentati dalla macchia mediterranea e dal bosco igrofilo. Tale sistema è stato, nel tempo, cancellato quasi del tutto, in quanto i diversi elementi sono compenetrati e resi poco riconoscibili dai reiterati interventi antropici.

Il comparto è stato da molto tempo chiuso al pubblico, anche se, purtroppo, è stato sempre frequentato abusivamente ed è cosparso di rifiuti. Gli impatti antropici, quindi, anche qui sono stati pesanti ed hanno condizionato la sua funzionalità ecologica.

Nella porzione più meridionale del comparto l’antica presenza di un vivaio, dismesso da molto tempo, ha favorito l’affermazione di numerose specie esotiche invasive (Ligustrum lucidum, Phoenix canariensis, Acer negundo, Cortaderia selloana), sfuggite a coltura, che andrebbero estirpate.

La vegetazione del comparto, rappresentata da un bosco a dominanza di Olmo campestre, Pino d’Aleppo e Roverella, è in evoluzione verso condizioni di maggiore maturità ed equilibrio. Per tale motivo, e per favorire il dinamismo, si ritiene inopportuno intervenire nella compagine forestale, anche se essa presenta, in alcuni stands, segni di degrado.

“Per questo comparto si propongono, pertanto, solo interventi di ripristino e razionalizzazione dei sentieri, sia per finalità scientifiche, legate allo studio della flora, della fauna, della vegetazione e del suo dinamismo, che didattiche, queste ultime da perseguire anche con una idonea etichettatura delle specie più significative e con un cartello che illustri le caratteristiche del bosco.”

ERBACCE O BIODIVERSITÀ VEGETALE?

Riguardo alla rimozione delle specie erbacee c’è da dire che la Pineta di Pescara è probabilmente una delle aree più studiate l’Italia. Studi pubblicati su riviste scientifiche, condotti da insigni botanici, biologi e naturalisti sono stati condotti nei decenni.  Sul Pinus helepensis è stata condotta anche la caratterizzazione del DNA ribosomale, il cui pattern è stato confrontato con quello dei pini della stessa specie italiani e della costa est dell’Adriatico. La Pineta include 345 specie vegetali (cosa notevole per un’area di modeste dimensioni, stimabili in effettivi 37 ettari), di cui 26 rare, 4 endemiche (Salix Apennina; Verbascum niveum subsp. Garganicum; Centaurea nigrescens subsp neapolitana, l’orchidea Ophrys promontorii) e due esclusive per l’Abruzzo.  Nulla e nessuno ha impedito lo sfalcio delle erbacee invasive che, anzi, il PAN prevede di eradicare in maniera selettiva, mirata e scientificamente fondata ma questo non è stato fatto per incuria benché se ne parli da anni.  Si tiene qui a sottolineare che la “pulizia” del sottobosco se effettuata come si vorrebbe con sfalci generalizzati, senza tener conto delle preziosità botaniche, costituirebbe un delitto contro la biodiversità!  Un ecosistema del genere, peraltro relittuale e rifugiale per molte specie, non può essere trattato come un giardinetto pubblico né tantomeno come un lotto di bosco coltivato con criteri silvocolturali.

DIRADAMENTI E FASCE TAGLIAFUOCO AVREBBERO FERMATO LE FIAMME?

Nell’articolo SISEF viene lamentata la “mancanza previsionale di opere antincendio quali piste, fasce tagliafuoco e ripulitura del sottobosco a prevenzione sia della pineta ma soprattutto della città…” e di “opere selvicolturali preventive atte a scongiurare che il fuoco possa passare da radente a quello di chioma”.

L’incendio del primo di Agosto è avvenuto col corollario di un lungo periodo di siccità con temperature elevatissime, di domenica, con una temperatura di 40°C e con un vento caldo fortissimo, tanto che il Sindaco che evidentemente non ha dimestichezza con le misure fisiche, ha dichiarato essere di “150 km/h”, tanto per dare l’idea della sensazione percepita. Le fiamme si sono propagate liberamente e senza contrasto di sorta per oltre un’ora (!) da quando tempestivamente cittadini residenti hanno dato l’allarme a Comune, VVFF, Carabinieri Forestali, Protezione Civile, FFSS, ANAS.  A fronte di  una sola unità di VVFF finalmente arrivata[1], i cittadini residenti senza alcuna esperienza e senza dispositivi di protezione individuale, fronteggiavano le fiamme con tubi di irrigazione dei giardini e con tappeti inzuppati di acqua usati come batti-fuoco. I mezzi aerei sono arrivati, finalmente, dopo oltre 4 ore. L’incendio ha preso vigore, tra l’altro, entro un attiguo grande impianto di autodemolizione in cui si sono verificati scoppi dei serbatoi di carburante e delle bombole del gas GpL delle autovetture ed ha trovato ulteriore alimento nei rifiuti infiammabili mai rimossi (la cui presenza è stigmatizzata persino nel PAN che ne indica la rimozione) nell’area a maggiore protezione -sulla carta – : numerosi materassi, bottiglie di plastica, gomme d’auto, sedie e tavolini di plastica, cartoni.

L’aria surriscaldata provocava violenti turbini ascensionali che hanno sollevato fino all’altezza di 25 metri, tizzoni ardenti che, con la componente del vento laterale, hanno scavalcato palazzi di 4 o 5 piani, alcune file di abitazioni, strade, ricadendo a 250-300 metri di distanza in mare e lungo l’arenile ove hanno incendiato ombrelloni e strutture balneari notoriamente prive sia di arbusti che di erbe secche in soprassuolo arenoso.  L’incendio ha viaggiato quindi anche largamente al livello delle chiome. In quelle condizioni le operazioni silvo-culturali preventive citate dal dr Colarossi e prese come “caso Pescara” nell’articolo a Vs firma:

  1. sarebbero state impossibili a realizzarsi perché per impedire quanto è successo sarebbero occorse fasce tagliafuoco larghe 200 – 250 m, che avrebbero richiesto di lasciare in Pineta meno di 10 esemplari di Pino d’Aleppo;
  2. avrebbero richiesto l’eliminazione della biodiversità erbacea ed arbustiva della macchia mediterranea (Cisti, Mirto, Lentisco, Smilace, ecc..) distruggendo un patrimonio naturale unico, identitario;
  3. in ogni caso, mentre avrebbe distrutto l’ecosistema boschivo, non avrebbero potuto fermare le fiamme per il complesso delle condizioni in cui la cattiveria di delinquenti le hanno innescate.

Ne deriva che quando c’è intenzione di dolo e organizzazione del crimine, i piani antincendio basati sugli interventi a carico della foresta (giusti o sbagliati che siano) servono a ben poco.

La protezione AIB deve seguire, soprattutto per situazioni come il “caso della Pineta di Pescara” altre e diverse strategie da quelle indicate semplicisticamente dal dr Colarossi (anche al netto delle notizie false che ha reiterato) ed essere basata su altri criteri: sorveglianza, avvistamento precoce, intervento immediato a terra con personale addestrato ed opportunamente equipaggiato, informazione e indicazioni comportamentali alla popolazione nelle zone d’interfaccia, numerose ed accessibili prese d’acqua, cose tutte previste e non attuate. 

In definitiva, se esiste un “Caso Pineta di Pescara” esso si compone di tre fattispecie concrete. La prima è data dalle esternazioni stravaganti dell’Ordine Provinciale degli Agronomi e Forestali; la seconda è che queste vengano sposate acriticamente e rilanciate da esponenti nazionali e della SISEF in articoli pubblicati, in RAI3 Scienza; la terza è il non considerare “cosucce” come la biodiversità e il necessario approccio multidisciplinare a situazioni complesse e meritevoli di conservazione.

Infine: invito a riflettere sulle possibili conseguenze connesse con la richiesta di squalifica della Pineta di Pescara dallo status di Riserva Naturale. Se l’intento dei criminali che hanno appiccato i 7 (certi, ma forse furono 13) inneschi era quello di eliminare i vincoli esistenti su quelle aree, passerebbe il messaggio che ovunque si voglia eliminare l’esistenza di un’area naturale protetta si può tentare di conseguire il risultato incendiandola. E questo precedente non è ammissibile, oltre ad essere vietato dall’art. 10 della legge 353/2000 che vieta per 15 anni il cambio di destinazione d’uso delle aree boschive che hanno subito un incendio.

Cordiali saluti

dr Giovanni Damiani

NOTE

[1] Nella medesima intervista affermava, a sostegno del previsto abbattimento di alberi adulti (Quercus pubescens e Pinus halepensis di notevoli dimensioni) per la realizzazione di una strada che possiede a pochi metri un tracciato alternativo che non richiede abbattimenti, che “La ripiantagione, in questo caso, di 173 alberi viene condivisa”.Non è vero che le piante piccole stoccano meno CO2 di quelle adulte”. Le piante piccole in fase di crescita tolgono più CO2 e l’ossigeno (!) e quindi è benefico l’effetto.  Evidentemente viene confuso il “tasso di crescita” che misura l’incremento di biomassa nel tempo (Crop Growth Rate, C.G.R., g m-2d-1) con i valori assoluti di fissazione del carbonio nella biomassa (Absolute Growth Rate – AGR.   Sul tema “dell’assorbimento dell’ossigeno” non ci sono commenti da fare: è talmente clamoroso da doverlo ritenere una svista involontaria, un errore marchiano che tuttavia è stato lanciato via etere senza essere stato mai corretto.  

[2] Ritardo comprensibile perché erano in atto contemporaneamente 11 altri incendi boschivi importanti:  nella pineta di Vallevò a Punta Cavalluccio, andata tutta distrutta in territorio di Rocca San Giovanni, nella Riserva Naturale dell’Acquabella a Ortona cuore della Costa dei Trabocchi, a Farindola nel Parco Nazionale  del Gran Sasso-Monti della Laga, a Penne, a Bolognano, a Caramanico Terme, a S.Valentino in Abruzzo Citeriore e a Bolognano  (quattro località, queste,  nel Parco Nazionale della Majella-Morrone), a Città S.Angelo, a Montorio a Vomano, a Sant’Omero, a Mosciano S. Angelo).Inoltre, la Regione Abruzzo proprio quest’anno ha ridotto di 180 mila € lo stanziamento in convenzione al VVFF, rimasti unico fragile Soggetto chiamato ad intervenire dopo lo scioglimento del Corpo Forestale dello Stato che aveva storicamente avuto delega a tutte le operazioni AIB in Abruzzo.    

La Pineta Dannunziana deve rimanere area Naturale Protetta. Le associazioni scientifiche GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane e SIRF – Società Italiana per il Restauro Forestale mettono gratuitamente a disposizione i propri esperti

La Pineta Dannunziana deve rimanere area Naturale Protetta. Le associazioni scientifiche GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane e SIRF – Società Italiana per il Restauro Forestale mettono gratuitamente a disposizione i propri esperti

Eliminare i vincoli a protezione dell’ambiente significa darla vinta agli incendiari, servono invece azioni per proteggere davvero la Pineta

Pescara, 12 agosto 2021 – L’associazione GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane e la Società Italiana per il Restauro Forestale esprimono dolore e sgomento per le parole del Dott. M. Colarossi, rappresentante dell’Ordine degli agronomi della Provincia di Pescara, le cui posizioni appaino avallate dall’Ordine Nazionale CONAF, che a seguito dell’incendio doloso che ha interessato la Pineta Dannunziana hanno chiesto che venga revocato lo status di riserva naturale. Affermazioni che, oltre che immotivate dal punto di vista scientifico (e storico e naturalistico per quanto riguarda l’origine della Pineta), se applicate costituirebbero un gravissimo precedente che incoraggerebbe gli incendiari ad appiccare il fuoco ogni qual volta dei portatori d’interesse desiderino allentare i vincoli ambientali a protezione di un’area naturale. Vincoli che derivano dalla Direttiva Habitat dell’Unione Europea, dalla legislazione nazionale e da quella regionale che sono stati spregiativamente definiti dal Dott. Colarossi come mera “burocrazia”.

Preoccupata da questo evolversi degli eventi, l’associazione non vuole limitarsi ad avanzare critiche ma offrire un aiuto concreto alla città, offrendo gratuitamente al Comune la consulenza dei suoi esperti di alto profilo nazionale e internazionale per redigere un piano che miri davvero al restauro naturalistico ed ecologico e a suggerire regole per salvaguardare la Pineta.

Il Dott. Colarossi ha sostenuto che la Pineta sia di origine antropica (sottoindendendo che quindi abbia un minor valore naturalistico) e che lo status di riserva integrale vada eliminato per procedere a operazioni di cosiddetta pulizia ed effettuare una gestione attiva della Pineta in chiave antincendio, cioè abbattendo alberi per diradare la Pineta, creare corridoi privi di vegetazione e distruggendo il sottobosco, accusato di alimentare le fiamme.

Gli scienziati del GUFI desiderano innanzitutto sottolineare che la colpa dell’incendio non è certo da imputarsi alle piante presenti nella Pineta, ma piuttosto agli incendiari che hanno posizionato oltre dieci inneschi, verosimilmente proprio allo scopo di declassare lo status conservazionistico dell’area, aprendola alla speculazione.

Per quanto riguardo l’origine della Pineta, questa è il relitto di una antica presenza di pino d’Aleppo, diffusa dal Gargano fino al Conero e probabilmente oltre, inclusi i Balcani, risalente ad una colonizzazione spontanea della costa adriadriatica verificatasi in epoca glaciale terminata circa 12.000 anni fa. Diverse argomentazioni scientifiche sostengono questa teoria, condivisa da vari autori. Se fosse vero quanto dichiarato dal Dott. Colarossi – e attendiamo con interesse di sapere quali sono le sue fonti – e la Pineta fosse di natura artificiale, si tratterebbe di una notizia di clamoroso interesse naturalistico, ecologico e documentario, perché si tratterebbe di un rarissimo, forse unico, esempio documentato di rimboschimento cinquecentesco eseguito con pino d’Aleppo”. Ma anche in questo caso, la Pineta testimonierebbe il suo enorme valore storico che andrebbe ad arricchire il già importante patrimonio culturale della città.  

Dal punto di vista naturalistico, invece, la Pineta ospita in alcune decine di ettari ben 345 differenti specie vegetali, di cui 4 endemiche (vale a dire che vivono in un areale strettissimo e in nessun’altra parte del mondo), 2 esclusive per l’Abruzzo e 26 classificate come rare.  Andrebbe quindi, a maggior ragione, protetta e non trattata come un banale giardino pubblico, con tagli e pulizia del sottobosco.

Per quanto riguarda la prevenzione degli incendi, qualsiasi intervento a carico del soprassuolo forestale non evita l’incendio se questo è di origine dolosa. L’incendiario trova sempre il modo di appiccare il fuoco e va perciò fermato con altri mezzi, peraltro più economici, che includono una sorveglianza costante del territorio attiva h 24 con squadre in “continuo movimento” lungo i punti critici, azione immediata e con mezzi capaci di avvicinarsi agli incendi. Ricordiamo che, con la tragica soppressione del Corpo Forestale dello Stato, a combattere le fiamme sono rimasti ormai solo i Vigili del fuoco e i pochi volontari. Il Piano Comunale di Protezione Civile del Comune è rimasto largamente inapplicato, il servizio di pattugliamento e avvistamento incendi previsto non è mai stato reso operativo.

Buona parte della Riserva non possiede colonnine per l’attacco di idranti e c’è da chiedersi come mai, in 20 anni di erogazioni di fondi alla Riserva, non sia stata realizzata rete idrica antiincendio completa ed efficace, con una presa d’acqua, ad esempio, ogni 100 metri.  Acqua che è presente, nella Pineta, ed è prelevabile da tre fonti escludendo quella potabile. Inoltre non è stata rimossa la presenza dei rifiuti infiammabili, presenti nel lotto a protezione integrale, il più danneggiato dalle fiamme. La triste presenza di rifiuti è nota e scritta persino da oltre 10 anni nel Piano di Assetto Naturalistico.

I diradamenti (riduzione del numero di alberi) non servono a fermare le fiamme se queste si propagano attraverso le chiome a causa del forte vento e dei tizzoni ardenti lanciati lontano dagli alberi, come è avvenuto, fino a 200 metri e più, sulla spiaggia incendiando strutture balneari. L’eliminazione del sottobosco, per essere efficace contro la diffusione delle fiamme radenti, deve essere totale e continua perché basta un po’ di erba secca per fungere da innesco e veicolo di propagazione del fuoco. L’eliminazione totale del sottobosco equivarrebbe, d’altra parte, alla distruzione della biodiversità vegetale (ma anche animale) della pineta, della sua ecologia e anche della sua rinnovazione. La selvicoltura che si insegna nelle università non annovera forme di trattamento del bosco che, allo stesso tempo, prevengano gli incendi e proteggano e migliorino la biodiversità e ne assicurino la rinnovazione naturale.

Quanto al rimboschimento, c’è un motivo preciso per il quale la legge prevede un’attesa di cinque anni prima che si possa mettere a dimora nuove piante. La flora mediterranea ha una grande capacità di ripresa dopo un incendio boschivo. Diverse piante potrebbero essere ancora vive e riprendersi e talune specie produrre nuovi getti: occorrerà attendere il periodo successivo alle piogge autunnali per fare valutazioni attendibili e l’entità della ripresa si potrà vedere solo a primavera.

Il Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) che è caratteristico ed elemento costitutivo dominante della Pineta di Pescara, ha una notevole capacità di resistere al passaggio delle fiamme, grazie alla sua scorza che è una buona corazza isolante.  Si tratta di pini adulti, la cui notevole altezza li ha difesi in buona parte dal fuoco perché avevano le chiome più lontano dalle fiamme; certo che tizzoni sollevati dai turbini di calore e trasportati dal vento forte hanno colpito parecchie chiome, ma il risultato sarebbe stato peggiore se il fuoco avesse interessato esemplari giovani, bassi, con la chioma più vicina al suolo. Questo deve far riflettere quando si dice di tagliare gli alberi adulti “tanto ne ripianteremo altri giovani”.

È quindi probabile che molti esemplari adulti evoluti che oggi appaiono in estrema sofferenza, possano invece riprendersi e tornare a vegetare splendidamente: anche qui occorre attendere fino alla primavera prossima per vedere come evolverà la situazione ed evitare un intervento in cui le motoseghe potrebbero produrre danni aggiuntivi o persino peggiori rispetto a quelli prodotti dal fuoco. Sempre il Pino d’Aleppo, inoltre, ha evolutivamente acquisito strategie di sopravvivenza agli incendi molto speciali.  I suoi strobili (pigne) sono normalmente chiusi, cementati, ma col calore si aprono ed emettono diffusamente nell’ambiente circostante tantissimi semi.  È quindi possibile che a primavera vedremo spuntare e crescere numerosissime nuove piantine, autoctone, che saranno il “giacimento vivaistico” da cui poter attingere correttamente per il restauro ecologico-forestale della Pineta. Va in ogni caso evitato di piantare alberi acquistati nel circuito commerciale, che alla fine potrebbero rivelarsi fragili, non adatti alla nostra specificità, soggetti a malattie e a produrre alla lunga anche indebolimento genetico del bosco.

Il GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane e la SIRF – Società Italiana per il Restauro Forestale si mettono quindi gratuitamente a disposizione del Comune, nella speranza che ogni eventuale decisione sulla Pineta sia basata su rigorosi criteri scientifici, non arretri di un passo sui vincoli ambientali che la proteggono, e non la diano vinta agli incendiari aprendo l’area ai portatori di interessi.