PIù DI CINQUE MILIONI DI ALBERI VERRANNO TAGLIATI PER IL METANODOTTO SULMONA – FOLIGNO

PIù DI CINQUE MILIONI DI ALBERI VERRANNO TAGLIATI PER IL METANODOTTO SULMONA – FOLIGNO

Il gasdotto Sulmona-Foligno, parte del progetto del gasdotto Linea Adriatica, provocherà il taglio di almeno cinque milioni di alberi. La stima del numero di alberi è conservativa, in quanto non tiene conto di tutti quelli che saranno abbattuti per l’apertura delle piste forestali necessarie ai lavori. Il percorso passa attraverso molte aree protette, tra cui diversi Parchi Nazionali e Regionali, che verranno devastati dai lavori.

Il gasdotto passerà inoltre su aree ad alto rischio sismico, e incredibilmente sul tracciato non è stato fatto alcuno studio in tal senso. Si prevede di fare una valutazione sismica “in corso d’opera”: una vera follia a danno di territori che a causa dei terremoti hanno già pagato un prezzo altissimo.

Eppure i metanodotti già presenti nel nostro paese possono trasportare 100 miliardi di metri cubi all’anno, risultando quindi già sovradimensionati rispetto al bisogno nazionale. Il gasdotto, infatti, dovrebbe proseguire fino a Minerbio, nel bolognese, e da qui portare il gas in Europa Centrale, servendo quindi altri paesi europei e non l’Italia, che però pagherebbe gli elevati costi economici e ambientali. Non a caso Eni e Agigas hanno definito il progetto “anacronistico”.

In un momento storico in cui è chiara la necessità di combattere il riscaldamento climatico, e si parla continuamente di abbandono delle fonti fossili e di piantare alberi per assorbire CO2 dall’atmosfera, il Governo Italiano progetta di devastare centinaia di km di aree protette per un nuovo gasdotto. Alla luce di queste politiche, i pochi spiccioli dati alle amministrazioni locali per qualche alberatura urbana in più appaiono per ciò che sono: uno specchio per le allodole, per distrarre da politiche che abbattono milioni di alberi che abbiamo già e che non hanno bisogno di essere piantati, e che fanno parte di ecosistemi complessi da cui dipende la sopravvivenza di moltissime altre specie animali e vegetali. Sulle promesse di ridurre le emissioni, poi, stendiamo un velo pietoso.

È questa la transizione ecologica con cui è stato sostituito il Ministero dell’Ambiente? Dove sono le rinnovabili? Dov’è il risparmio energetico? Gli italiani, durante l’inverno, tengono in casa una temperatura media di circa 22 gradi: ben al di sopra dei 20 gradi massimi consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il nostro patrimonio edilizio è vecchio ed energeticamente poco efficiente. C’è molto lavoro da fare, a partire dal consumo energetico di ogni singolo cittadino, ma nuovi metanodotti che distruggeranno parte dei nostri territori naturali più pregiati non sono parte della soluzione. Sono parte del problema.

Call II Conferenza di Bioeconomia 2022

Call II Conferenza di Bioeconomia 2022

Conferenza scientifica multidisciplinare fra ricerca e azione

“Dalla Strategia di Bioeconomia della Commissione europea alla Bioeconomia integrata e in armonia con la vita e le leggi della natura: analisi, pratiche, esperienze, attività”

12 e 13 dicembre – Roma presso la Società Geografica Italiana

Premessa

Il 25 settembre 2020 si è tenuta la conferenza multidisciplinare “La Strategia europea di Bioeconomia: scenari e impatti territoriali, opportunità e rischi” – patrocinata da società scientifiche e università – che ha raccolto i contributi di storici, geografi, economisti, urbanisti, costituzionalisti, biologi, biologi forestali e medici le cui analisi hanno messo in evidenza una serie di criticità sulla base delle quali si può asserire che la Strategia di Bioeconomia della Commissione Europea (del 2012 aggiornata nel 2018) e la conseguente Strategia Italiana siano piuttosto distanti dall’idea originaria di Bioeconomia teorizzata negli anni sessanta da Nicholas Georgescu-Roegen, ovvero una bioeconomia integrata e in armonia (embedded, direbbe Karl Polanyi) con la vita e con le leggi della natura. Detta strategia, invece, riflette un’accezione relativamente recente della parola ‘bioeconomia’, che nasce dall’industria biotech, chimica, farmaceutica, agroindustriale e dai progressi della biologia, della genetica e della tecnologia molecolari, nonché dalla domanda di biomasse per usi non alimentari. Questa accezione, attualmente dominante, si fonda su una indimostrata equivalenza tra “rinnovabilità” e“ sostenibilità”, e su una visione tecnocentrica che vede nell’high-tech enelle tecnologie a controllo centralizzato le soluzioni a ogni problema ambientale e il superamento di ogni limite allo sviluppo. I lavori della conferenza hanno messo in luce che la Strategia di Bioeconomia – promossa come la nuova frontiera dell’economia “verde” e basata sulla sostituzione delle fonti fossili con la biomassa – presenta forti contraddizioni rispetto agli stessi obiettivi che si pone, in quanto dipendente da risorse non sostenibili, non rinnovabili e dalle catene internazionali del valore, arrivando alla conclusione che, per tali ragioni, essa stessa richiederebbe una rielaborazione che non può prescindere dal suo adeguamento alla Strategia europea sulla biodiversità, nonché al Piano nazionale integrato per l’energia e il clima(PNIEC).

I risultati della Conferenza sono confluiti in un Documento di Valutazione e Indirizzo, inviato alla Commissione europea, al Governo e ai parlamentari italiani e pubblicato sulla Rivista “Economia e Ambiente” (1/2021) liberamente scaricabile dall’homepage del sito www.economiaeambiente.it.

Le tematiche della conferenza sono state oggetto di ulteriore approfondimento e aggiornamento, in parte svolti nel quadro del Pra 2020 dell’Università di Foggia ‘La Bioeconomia in Europa e in Italia: politiche e territori. Scenari socio-economici, ambientali e geopolitici’ e confluiti in un volume attualmente in corso di pubblicazione con la Società dei Territorialisti Edizioni e presto disponibile in open access.I promotori della conferenza, nella convinzione che la Strategia di bioeconomia non rappresenti solo un’opportunità da cogliere “a tutti i costi”, hanno ritenuto di costituire l’Osservatorio Interdisciplinare sulla Bioeconomia (OIB) – www.osservatoriobioeconomia.it– per il monitoraggio e lo studio delle iniziative e dei progetti ispirati alle diverse accezioni di Bioeconomia, al fine di contribuire alla comprensione dei processi in corso e dei possibili scenari. La seconda fase di quest’iniziativa sulla tematica in questione prevede l’organizzazione di una conferenza multidisciplinare fra ricerca e azione incentrata sulle pratiche di bioeconomia coerenti con la concezione originaria di Georgescu-Roegen.

L’iniziativa, organizzata nell’ambito del PRA 2020 dell’Università di Foggia, è promossa dall’Osservatorio Interdisciplinare sulla Bioeconomia e dalla Rivista scientifica “Economia e Ambiente” e patrocinata dalle seguenti organizzazioni: AIIG, Associazione Italiana Insegnanti di Geografia; Associazione “Dislivelli”; ISDE, International Society of Doctors for the Environment; Fondazione “Allineare Sanità e Salute”, Fondazione di partecipazione delle Buone Pratiche, SdT, Società dei territorialisti e delle territorialiste; SGI, Società Geografica Italiana; SIRF, Società Italiana di Restauro Forestale; SIU, Società Italiana degli Urbanisti, SSG, Società di Studi Geografici; Corso di Laurea in Scienze della Montagna, Università della Tuscia; Dipartimento di Architettura, Università di Firenze; Dipartimento di Economia, Management e Territorio, Università di Foggia.

Approccio scientifico alla conferenza e contenuti

Il periodo che stiamo vivendo è un periodo di crisi ecologica (con riferimento all’accezione etimologica del termine e, dunque, anche alla sua componente “sociale”), di stravolgimenti e apparenti cambiamenti sul piano politico, nonché di caos sistemico. Molte delle attuali attività e politiche economiche “verdi” – comprese quelle che si richiamano alla “bioeconomia” – sono basate sul paradigma riduzionista, meccanicista e utilitarista, sul dogma della crescita economica e della competizione, designate dalla stessa ideologia neoliberista che ha prodotto le problematiche e i guasti di cui ora le nuove politiche si propongono come “soluzione”. Insomma, tali iniziative “bio” ripropongono la stessa logica industrialista alla base dell’economia “fossile”. Pertanto, riteniamo urgente affiancare al necessario processo di interpretazione delle attuali politiche “verdi”, lo sviluppo di ricerche, studi e analisi di esperienze concrete, orientate a una bioeconomia che sia realmente integrata e in armonia con la vita e la natura, che possano costituire un punto di riferimento a livello sia teorico sia concreto per l’ormai non più procrastinabile salto di paradigma.

La bioeconomia, secondo la teoria di Nicholas Georgescu-Roegen, si fonda sul presupposto che i processi economici, investendo il mondo fisico, sono soggetti alle sue leggi, prima fra tutte l’entropia, ovvero la irreversibile dissipazione di energia e materia generata dai processi di trasformazione. I processi di produzione sono visti come un insieme di fondi (terra, capitale e lavoro) e flussi (risorse naturali, prodotti e scarti), in cui non vi è sostituibilità tra fondi e flussi: si può sostituire il lavoro con il capitale, ma certamente non le risorse con il capitale. D’altro canto, l’efficienza energetica, lungi dal potersi riferire solo al mero rapporto tra input e output di energia, deve considerare i processi dissipativi della materia coinvolti nella trasformazione dell’energia stessa. Un’economia sostenibile e circolare non richiede, dunque, soltanto flussi rinnovabili, ma anche una relazione fondi-flussi che rispetti e mantenga l’identità dei fondi, ovvero una compatibilità fondativa tra la velocità/densità dei flussi nella tecno-sfera e la capacità/velocità di rigenerazione dei fondi della biosfera.

Partendo dall’assunto che le civilizzazioni umane hanno prodotto nel tempo territori e paesaggi con sapienza e saggezza mantenendo una relazione fondi-flussi equilibrata, possiamo affermare che proprio la modalità e la capacità di tessere tale relazione in base a valori e interpretazioni diverse ma sempre armoniche con la natura ha portato alla grande differenziazione locale delle forme dei nostri contesti di vita. Oggi come un tempo sono proprio le pratiche sociali che consentono di entrare nella modalità complessa e integrata di economie capaci di interagire con i beni naturali e di riprodurre territori, paesaggi, risorse.  

La conferenza si interroga su come attuare nella contemporaneità una bioeconomia integrata e in armonia con la vita e la natura. Sarà possibile presentare contributi basati su riflessioni, studi e pratiche che trattano di esperienze concrete coerenti con principi quali:

  • la visione sistemica dell’ambiente;
  • l’ambiente come fondamento del palinsesto territoriale e paesaggistico;
  • l’assunzione del concetto di limite ecosistemico come regolatore delle attività economiche;
  • l’adattamento del metabolismo industriale ai cicli naturali;
  • il concetto di sostenibilità fondato sulla capacità di rigenerazione delle risorse naturali e sulla necessità di preservazione dell’equilibrio del ciclo biogeochimico;
  • la governance politica e il progetto territoriale e paesaggistico basati sulla pianificazione ecologica partecipata e sulla salvaguardia delle matrici vitali partendo in primis dell’insediamento;
  • l’uso delle risorse fondato sulla riduzione dei consumi di materia ed energia;
  • la promozione dell’innovazione sociale, ovvero della valorizzazione delle conoscenze e dei saperi della natura, integrate ai contesti di vita;
  • l’agroecologia e, più in generale, i modelli virtuosi di agricoltura in grado di rigenerare l’ambiente e il territorio;
  • i modelli locali di produzione basati sulla diversità, sulla resilienza, sui beni relazionali e sulla partecipazione.

La conferenza si compone di tre sezioniuna sessione sui paradigmi scientifici alla base degli approcci bioeconomici nella quale saranno presentati i risultati del PRA 2020 dell’Università di Foggia insieme ad alcuni contributi dei fondatori dell’Osservatorio Interdisciplinare sulla Bioeconomia (OIB); e due sessioni aperte a contributi esterni suddivise nelle seguenti tipologie:

  • riflessioni teoriche o casi studio che raccoglierà i contributi di studiosi che si occupano di bioeconomia coerente con la teoria di Georgescu-Roegen, ovvero l’economia integrata e in armonia con la natura e la vita
  • sulle pratiche nella quale saranno accolte esperienze e pratiche coerenti con i principi enunciati in precedenza con l’obiettivo, fra gli altri, di conferire rilevanza scientifica alle pratiche sociali per farle entrare nel dibattito scientifico ed accademico.

I temi che la conferenza intende indagare in maniera preminente fanno riferimento ai seguenti campi:

  • agricoltura, allevamento, pesca
  • acqua e foreste
  • produzione manifatturiera
  • energia
  • servizi
  • gestione delle risorse come beni comuni
  • insediamenti
  • paesaggio
  • salute.

Modalità di presentazione dei contributi e tempi di consegna

L’approvazione del contributo prevede in via preliminare l’invio di una sintesi (abstract) contenente:

  • titolo
  • testo (massimo 2.000 caratteri spazi inclusi)
  • 3 parole chiave.

A seguire:

  • nome/i dell’autore/i
  • ente di afferenza o organizzazione di appartenenza
  • dichiarazione di possibili conflitti di interesse
  • indicazione del campo tematico
  • indicazione della modalità di presentazione del lavoro.

La sintesi (abstract) dovrà essere inviata entro il 30 giugno a

conferenza.2022@osservatoriobioeconomia.it

L’approvazione avverrà entro il 30 settembre sulla base dei seguenti criteri:

  • pertinenza al tema oggetto della conferenza,
  • coerenza del caso di studio o della pratica con i principi enunciati di una bioeconomia integrata con la vita e e le leggi della natura. Non saranno ammesse le proposte di contributo che presenteranno casi di studio o esperienze riconducibili alla bio-industria, ovvero che fanno riferimento a una mera sostituzione delle risorse fossili con quelle organiche.

Il lavoro finale dovrà essere inviato entro il 31 gennaio2023 ai fini della pubblicazione.

Modalità di presentazione dei lavori:

  • riflessione teorica e casi studio con indicazione della preferenza di: presentazione orale (15 minuti), comunicazione orale breve (7 minuti), poster;
  • pratiche con indicazione della preferenza di presentazione orale (15 minuti), comunicazione orale breve (7 min.), poster (in formato pdf), video (mp4, durata massima 3 min.)

In base ai materiali presentati, gli organizzatori della conferenza potranno richiedere una modalità specifica di presentazione, che verrà comunicata al momento dell’accettazione della sintesi (abstract). 

ATTENZIONE: ogni partecipante alla conferenza può presentare un solo contributo come primo autore, pur potendo partecipare come co-autore in altri contributi.

Per qualsiasi ulteriore informazione: conferenza.2022@osservatoriobioeconomia.it

Link PDF della Callhttps://www.osservatoriobioeconomia.it/wpcontent/uploads/2022/05/call_II_conferenza_bioeconomia_2022.pdf

IL CONSIGLIO REGIONALE DEVE APPROVARE LA LEGGE A TUTELA DEI BOSCHI TOSCANI

IL CONSIGLIO REGIONALE DEVE APPROVARE LA LEGGE A TUTELA DEI BOSCHI TOSCANI

Firenze, 14 giugno 2022 – Le associazioni firmatarie chiedono al Consiglio Regionale della Toscana di approvare la proposta di legge sui tagli boschivi in discussione giovedì mattina.

La proposta di legge, presentata dalla Consigliera Silvia Noferi, è mirata a impedire che i boschi pubblici, anche all’interno di aree protette, vengano trattati alla stregua di deposito di legname con il quale far cassa, con tagli frequenti e gravemente impattanti sull’ecosistema forestale.

Tende poi a dare più responsabilità al Consiglio Regionale e meno alla Giunta, l’organo che attualmente decide, senza un adeguato confronto politico, le scelte sostanziali in materia di gestione forestale. Introduce inoltre la presenza del tecnico forestale sia in fase di asseverazione che di collaudo: la presenza di un professionista nelle procedure amministrative per il taglio dei boschi, infatti, costituisce un elemento di maggiore garanzia per gli organi di controllo, quali i Carabinieri Forestali.

La proposta di legge pone inoltre un argine alla pratica del taglio a raso del ceduo, sposando le recenti direttive operative del Comando dei Carabinieri Forestali, secondo le quali i boschi cedui invecchiati devono essere considerati fustaie e quindi sottoposti a maggiori limiti relativi ai tagli boschivi.

Il taglio a ceduo è un metodo di governo del bosco molto utilizzato in Toscana che denuda il suolo forestale, e prevede il taglio di tutti gli alberi a eccezione di poche piante, giovani ed esili (dette matricine). Ciò che rimane è molto difficile da definire foresta: privata della copertura arborea, l’area diventa spoglia e il terreno è sottoposto a erosione e perde nutrienti. Sia gli alberi che il suolo forestale sono tra i migliori sequestratori di CO2, e in un momento in cui si moltiplicano le iniziative di riforestazione per contrastare il riscaldamento climatico, il Consiglio Regionale dovrebbe pensare innanzitutto a proteggere le foreste già esistenti dal sovrasfruttamento.

Le associazioni ricordano inoltre che il legname prodotto tramite il governo a ceduo è legname di bassa qualità, che in gran parte finisce per diventare cippato per le centrali a biomasse forestali, a cui l’Unione Europea sta considerando di togliere gli incentivi, prendendo finalmente atto dell’insostenibilità di bruciare le nostre foreste per produrre energia. Le biomasse forestali sono inoltre pericolose per la salute dei cittadini, in quanto la combustione di legno produce alte quantità di particolato e altre sostanze inquinanti, mentre è ormai assodato che gli ambienti forestali, lasciati il più possibile alla loro evoluzione naturale,

rappresentano una fonte insostituibile di benessere e di salute.

L’attuale politica forestale della Regione Toscana è quindi insostenibile, climalterante e profondamente dannosa per la biodiversità, e andrebbe rivista nel senso indicato dalla proposta di legge, tutelando dai tagli almeno le riserve naturali, imponendo maggiori controlli e privilegiando la fustaia al posto del ceduo.

La fustaia non solo garantisce un minore impatto sull’ecosistema forestale ma consente anche, qualora si tagli, di produrre legname di qualità per scopi nobili quali la falegnameria e la bioedilizia, che lasciano intrappolato il carbonio assorbito dall’albero e non lo disperdono nell’atmosfera.

Come segnalano le associazioni di settore, questo tipo di legname per usi nobili manca in Italia e viene importato, perché i boschi a ceduo non sono in grado di fornirlo. Se i turni di taglio fossero meno ravvicinati e i boschi non venissero ceduati a intervalli di pochissimi anni, potremmo proteggere la biodiversità, combattere il riscaldamento globale e ridurre drasticamente le importazioni di legname da opera dall’estero. Una politica industriale ed ecologica di lungo periodo che speriamo la Regione Toscana approvi, dimostrando la necessaria lungimiranza.

ASSOCIAZIONI FIRMATARIE

GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, Movimento per la Terra e la Comunità Umana, WWF Toscana, Italia Nostra Toscana, ISDE – Medici per l’Ambiente, European Consumers, SIRF – Società Italiana di Restauro Forestale, Green Impact, Parents for Future, Atto Primo – Salute Ambiente Cultura, Comitato Val di Farma, Comitato per la salvaguardia della Montagnola Senese, Forum Ambientalista Toscano, Coordinamento Merse

San Rossore, l’unità del tutto e la mente dell’astronauta

San Rossore, l’unità del tutto e la mente dell’astronauta

Una colata di cemento minaccia ancora l’area contigua al Parco di San Rossore, all’interno della quale il Governo aveva previsto la costruzione di una cittadella militare. Un progetto che è ora in forse ma non è ancora stato del tutto cancellato, nonostante le forti proteste dei cittadini e delle associazioni che hanno fatto una grande manifestazione il 2 giugno, festa di quella Repubblica la cui Costituzione prescrive la difesa dell’ambiente e della biodiversità come bene comune.

Nonostante gli spiragli aperti circa l’abbandono dell’idea di realizzare l’opera all’interno del Parco Regionale, in un’area di grande pregio naturalistico e agricolo, ricco di fauna, resta alta la preoccupazione sulla realizzazione dell’opera in sé stessa, anche se il progetto dovesse essere spostato appena oltre i confini protetti. Si tratterebbe in ogni caso di consumo di suolo, disturbo per la biodiversità degli agro-ecosistemi e di nuovo smacco al territorio naturale, ora tutelato dalla Costituzione e alla luce della nuova Strategia europea sulla biodiversità per il 2030, che prevede l’estensione al 30% della superficie terrestre e marina protetta.

Si evidenzia poi il pessimo utilizzo dei fondi del PNRR (che finanzia la discussa opera militare), che destina briciole alla conservazione della biodiversità e ulteriori importanti fondi alla Difesa, che pure nel bilancio ordinario dello Stato conta già su ingenti risorse. Il Green Deal, solennemente annunciato e fortemente promosso, non può essere una simulazione ma deve rappresentare ovunque, in Toscana e in ogni parte del mondo, un cambiamento concreto.

Non solleviamo certo obiezioni sulla necessità della difesa della Patria, discutendone democraticamente i modi, ma c’è da dire che l’idea di “difesa” che anima questa scelta è inaccettabile perché riduttiva, limitata e parziale. Anche noi GUFI ci riteniamo, per nostre competenze, “addetti alla difesa”, ma non la recintiamo all’interno del perimetro contingente e militare: difendiamo i boschi, le foreste, il patrimonio comune da cui dipende la vita di tutte le generazioni che verranno e per questo difeso dall’art. 9 della Costituzione che peraltro è stato oggetto di estensione recente tra i princìpi fondamentali e irrinunciabili, agli ecosistemi ed alla biodiversità.      

Il caso è emblematico della miopia dell’essere umano, che non riesce a pensare in termini globali e a vedere la Terra per quello che è: un unico grande ecosistema di cui tutti facciamo parte e da cui dipende la sopravvivenza di ognuno di noi. Le ragioni dell’ambiente vengono costantemente messe in secondo piano di fronte alle esigenze umane, come se un ambiente sano non rientrasse tra queste esigenze.

Il 2022, con il ritorno della guerra in Europa, ci sta dimostrando più che mai quanto sia forte questo antropocentrismo e quanto le divisioni tra noi umani riescano sempre a essere più forti degli appelli all’unità dei popoli nel fronteggiare le minacce del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità.

Nel 2019 i temi ambientali erano (finalmente) sulle prime pagine di tutti i giornali, anche per merito delle proteste di organizzazioni come i Fridays for Future ed Extinction Rebellion. Se ancora eravamo ben lungi dal prendere misure adeguate per arginare la catastrofe in corso, si cominciavano a vedere maggiori segnali di consapevolezza nell’opinione pubblica e sui media e qualche timido provvedimento politico a livello internazionale. Tutte cose che, seppur ancora insufficienti, potevano far sperare in un cambio di direzione dell’umanità.

Tutto questo è stato spazzato via negli ultimi due anni: la pandemia prima e la guerra poi hanno monopolizzato la nostra attenzione e il tema dell’ambiente è tornato a essere, di nuovo, l’ultima delle nostre preoccupazioni. Mentre la nostra casa brucia, siamo troppo occupati a ucciderci tra noi per fermarci anche solo il tempo necessario a spegnere l’incendio. Chiunque esca vincitore si troverà comunque con una casa in cenere, ma sembriamo non curarcene.

Questa poca lungimiranza è uno dei grandi difetti dell’essere umano, che con tutta la sua intelligenza non riesce a pensare oltre all’immediato e a ragionare sul lungo periodo.

Ma ciò che è più grave è che sembriamo vedere solo quello che ci divide e non quello che ci unisce. Non riusciamo ad acquisire la consapevolezza di essere un’unica specie. La nazionalità, l’etnia, il genere, l’orientamento sessuale, la religione, le opinioni politiche: sono infiniti i modi che ci siamo inventati per dividerci (e discriminarci, e spararci) tra di noi, per non vedere che siamo tutti, innanzitutto, terrestri. Sentirci terrestri ci obbligherebbe a ricordarci che sono tali anche piante e animali non umani, e a rinunciare ai nostri atteggiamenti predatori nei loro confronti. Ci obbligherebbe a specchiarci in ogni altro essere vivente e rinunciare alla violenza e alla prevaricazione. Ci obbligherebbe a considerare un’area naturale protetta più importante di una base militare.

Le pandemie causate dal degrado ambientale, le guerre e il riscaldamento globale hanno la stessa matrice, nascono dalla stessa fallacia logica: non riconoscere l’unità del tutto, il nostro essere non solo connessi, ma dipendenti da tutto il resto.

Ma è davvero impossibile per l’essere umano ragionare diversamente?

È interessante notare come la consapevolezza dell’unità del tutto sia invece estremamente presente nei (pochissimi) esseri umani che hanno goduto di una visione d’insieme che la maggior parte di noi non sperimenterà mai, cioè gli astronauti. Molti di loro, al ritorno sulla Terra, hanno dichiarato che guardarla da lontano, così piccola e fragile nell’universo, ha completamente cambiato la loro prospettiva: un fenomeno chiamato “overview effect”.

“Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini.
(Jurij Gagarin, osservando la terra dall’astronave Soyouz)”

Guardare il mondo dalla Cupola è indescrivibile. Si ha il senso di fragilità del pianeta Terra, con la sua atmosfera sottilissima, e dell’incredibile bellezza di questo gioiello sospeso nel velluto nero dello spazio.
(Luca Parmitano, astronauta italiano)

Nello spazio sviluppi una coscienza globale immediata, un sentimento verso le persone, un’intensa insoddisfazione verso la situazione del mondo e una compulsione a fare qualcosa per questo. Da qui fuori sulla Luna, i politici internazionali sembrano così insignificanti. Tu vorresti prendere uno di loro per la nuca, trascinarlo fuori a un quarto di milioni di miglia dalla Terra e dirgli “Guarda questo!”.
(Edgar Mitchell, astronauta statunitense dell’Apollo 14)

La maggior parte di noi non andrà mai nello spazio, ma dobbiamo imparare dalle parole di chi ci è stato, e acquisire quella visione d’insieme che è l’unica cosa che può fermare ogni tragedia, dalle guerre al riscaldamento globale.

Estendiamo, quindi, il concetto di “difesa” anche alla natura e le nostre azioni di conseguenza: chiediamo al Governo un ripensamento che porti a ridimensionare il progetto (francamente appesantito da cose che nulla hanno a che fare con le esigenze militari), a rivederne la localizzazione e la ratio.  Lavoriamo per una difesa integrata, e lasciamoci influenzare dall’ overview effect.

La Legge Ammazza Foreste, spiegata facile

La Legge Ammazza Foreste, spiegata facile

Il Testo Unico per le Filiere Forestali (TUFF), approvato dal Governo Gentiloni nel 2018, si è meritata l’appellativo di Legge Ammazza Foreste per i danni che causa al patrimonio boschivo italiano. Il GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane nasce in prima battuta per combattere questa legge, che all’epoca dell’approvazione suscitò le fortissime, e purtroppo inascoltate, proteste del mondo scientifico.

La legge mira ad aumentare la produzione di legname ricavata dai boschi italiani, aumentando quindi il taglio di alberi, e arriva persino a prevedere il taglio coatto di boschi privati i cui proprietari vogliono lasciarlo crescere. È una legge con finalità produttive, che non si preoccupa minimamente di conservare l’ecosistema forestale.

Qui ve l’abbiamo riassunta in pochi punti:

  • Il TUFF ripropone per i boschi definizioni ormai superate, mentre andrebbero impiegate quelle della FAO – utilizzate già dagli inizi degli anni 2000 – che garantiscono di poter effettuare statistiche in linea con quanto richiede l’Europa e la FAO stessa e di conseguenza permette di fare confronti accurati. 
  • Fatta eccezione per le aree protette, nel cosiddetto Testo Unico non viene considerata alcuna ipotesi di zonizzazione del patrimonio forestale nazionale, ossia una distinzione tra boschi da destinare alla produzione e quelli che invece devono essere conservati per ragioni ecologiche, paesaggistiche, idrogeologiche, genetiche, culturali, sociali. Un salto indietro di 95 anni: la legge Serpieri del 1923 operava tale distinzione finalizzata alla difesa idrogeologica. Nella vicina Svizzera si discute di almeno 12 tipologie di boschi, ciascuna con destinazione e cure diverse. Inoltre, non vengono presi in considerazione neppure i boschi degradati da restaurare.
    Le attività di carattere produttivo, che per la gestione a ceduo significa destinare la legna alla mera produzione energetica (un uso che dovrebbe diventare residuale, privilegiando altre fonti energetiche realmente sostenibili), possono essere applicate ovunque senza distinzione degli aspetti ecologici, floristici, selvicolturali ed evolutivi. 
  • Il decreto afferma che la conversione a ceduo delle fustaie è sempre vietata; poi però contraddice l’affermazione aprendo a una pletora di eccezioni, nel caso in cui le Regioni decidano il contrario. Alla fine arriva a includere la conversione a ceduo di ogni tipo di utilizzazione forestale, purché si abbia rinnovazione. Praticamente si può ceduare tutto perché prima o poi, anche tra secoli, la rinnovazione delle condizioni iniziali è sempre ipotizzabile!
  • La legge equipara i terreni agricoli in cui non è stata più esercitata attività, e che sono in via di rinaturalizzazione spontanea, a “terreni forestali” che “hanno superato il turno” e quindi debbono essere gestiti attivamente a suon di motosega. Tutto questo anche se si tratta di boschi che si trovano nella fase di colonizzazione da parte di specie pioniere e che si avviano alla fase di maturità. La cosa è scientificamente infondata perché si estende il concetto di “turno” – che dev’essere applicato unicamente alle colture (ad es. ai cedui semplici o matricinati e alle fustaie coetanee che sono create e sostenute dall’uomo) – al bosco che invece cresce ed evolve autonomamente.
  • Vengono definiti “prodotti forestali non legnosi” anche i singoli alberi fuori dal bosco, che misteriosamente non sono ritenuti legnosi (eppure non sono di plastica) e poco importa che il più delle volte caratterizzano il paesaggio in maniera identitaria, come i cipressi o i tassi nei pressi delle abbazie, o le grandi querce isolate.  
  • Viene introdotto, mal interpretando il regolamento U.E. 1307/2013, il concetto di “bosco ceduo a rotazione rapida” (vale a dire sottoposto a tagli più ravvicinati nel tempo), mentre tale definizione andrebbe applicata solo ai terreni agrari con alberi piantati, suscettibili di reversibilità d’uso a fine ciclo. Il “miglioramento” delle condizioni del patrimonio forestale nazionale, per questa legge, consiste solo nelle varie modalità di taglio dello stesso.
  • Tutti i rimboschimenti, anche quelli “storici” eseguiti a fine Ottocento e che quindi fanno ormai parte del patrimonio paesaggistico tradizionale e che hanno maturato una loro configurazione ecologica, che il Testo Unico sostiene di voler preservare, vengono esclusi dalla categoria “bosco” e quindi possono essere eliminati. Parliamo di rimboschimenti effettuati con dispendio di denaro pubblico statale e lo stesso dicasi per quelli eseguiti con finanziamenti dell’Unione Europea.
  • I boschi vengono messi sullo stesso piano produttivo dei terreni agrari, come se fossero sistemi artificiali e non dotati di una propria capacità auto-organizzativa e di una propria ecologia complessa. Si considerano inoltre abbandonati i boschi cedui che non abbiano subito tagli per un periodo superiore alla metà del turno consuetudinario o le fustaie che non abbiano subito diradamenti negli ultimi venti anni. Pertanto, un bosco che per volere del suo legittimo proprietario evolve naturalmente verso forme più complesse e stabili, viene considerato abbandonato. Egualmente viene giudicato abbandonato dalla legge un terreno agricolo non coltivato negli ultimi tre anni. Tale è reputato anche un campo non arato da anni e riconquistato dalla vegetazione spontanea, in particolare forestale: i cosiddetti boschi di neoformazione.
  • Se il proprietario dei boschi abbandonati non provvede direttamente al taglio degli stessi, l’autorità pubblica provvede al recupero “produttivo” agendo in proprio o delegando gli interventi a soggetti terzi come, ad esempio, le cooperative giovanili. Questa disposizione rappresenta, di fatto, un esproprio immotivato nei confronti della natura e della volontà di quei cittadini che intendono conservare il proprio bosco per vederlo crescere, invecchiare, rinnovare spontaneamente e godere della sua bellezza in tutti gli aspetti. 
  • Secondo numerose Associazioni il Testo Unico viola gli artt. 9 e 117 della Costituzione perché ignorando l’aspetto ambientale del patrimonio boschivo, confligge con la tutela costituzionale dell’ambiente e dell’ecosistema. Violerebbe anche l’art. 41 della Costituzione perché l’iniziativa economica “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
  • Si introduce il termine “trasformazione” intesa come “ogni intervento che comporti l’eliminazione della vegetazione arborea e arbustiva”. Viene così liberalizzata, surrettiziamente, la possibilità di cambi di destinazione d’uso del suolo non consentiti dalla normativa vigente.  
  • L’eliminazione del bosco, inoltre, può essere “compensata”. Si fa presente che l’istituto della “compensazione” è utilizzato (ad es. nei pareri di Valutazione dell’Impatto Ambientale) solo quando un’opera risulti assolutamente necessaria, in assenza di alternative praticabili e nonostante l’adozione di tutte le mitigazioni possibili. Non è certo questo il caso della cancellazione di un bosco: trasferendo il concetto agli umani, potremmo dire che quando una persona muore in realtà si è “trasformata”. La legge prevede che la trasformazione del terreno boschivo può essere compensata con altre opere e servizi, inclusi anche con l’apertura di strade e opere simili che vanno a vantaggio delle aziende che operano i tagli. In definitiva, l’eliminazione di un bosco, magari di pregio, può essere compensata con un rimboschimento qualsiasi, anche fisicamente lontano, e non è tutto: la compensazione può risolversi addirittura in un contributo monetario da versare alla regione.  
  • Il decreto demanda alle regioni e alle province autonome la scelta dei soggetti a cui affidare la redazione e l’attuazione dei Piani di Gestione, purché dotati di “comprovata competenza professionale”. Il requisito richiesto per attestare tale competenza è talmente vago da lasciar ipotizzare seri rischi di discrezionalità e abuso: i laureati in Scienze Forestali, specialisti in questo settore, iscritti al proprio Ordine Professionale, potrebbero quindi essere ignorati e i compiti affidati a soggetti più vicini ai saperi dei taglialegna i quali, ottenuto un primo incarico, possono in seguito “comprovare” nel proprio curriculum la “competenza” e candidarsi ad assumere ulteriori incarichi. Stupisce, anche per questo, il sostegno dato a questo decreto dagli Ordini Professionali.
  • Il provvedimento pone ripetutamente l’accento sulla necessità della gestione del patrimonio forestale nazionale attraverso la selvicoltura. Di fatto, per contro, introduce delle scadenze temporali agli interventi che, paradossalmente, sono contrari sia ai criteri della selvicoltura correttamente eseguita sia di quella meramente produttivistica. Si impongono in definitiva limiti che contrastano con la necessità del selvicoltore di adattare le modalità di intervento a quelle che sono le caratteristiche proprie di ciascun popolamento forestale e del contesto in cui questo si è sviluppato. In sostanza, con questa legge la sola attività realmente praticabile su larga scala è la produzione di biomasse per scopi energetici, ossia il taglio del bosco per l’alimentazione delle centrali a biomasse forestali. 
  • Nel Testo Unico manca qualsiasi riferimento alla fauna, alle sue funzioni negli ecosistemi forestali, e alla sua protezione, agli arbusti, alle erbe, ai funghi, ai licheni, alle associazioni vegetali, al complesso della biodiversità, alle funzioni di regolazione, regimazione e qualità delle acque. È un testo affetto dal più incredibile riduzionismo e dalla noncuranza della complessità e stabilità dinamica degli ecosistemi.