Chiude la centrale a biomasse del Mercure, vittoria per l’ambiente e la salute

Chiude la centrale a biomasse del Mercure, vittoria per l’ambiente e la salute

L’associazione GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane applaude la decisione della Giunta Regionale della Calabria e del suo Presidente, Roberto Occhiuto, che ha approvato il Piano del Parco Nazionale del Pollino senza concedere deroghe alla potenza della centrale del Mercure, grande impianto che produce energia elettrica bruciando biomasse forestali.

Il Piano del Parco prevede la presenza di centrali a biomasse fino alla potenza di massima di circa 2,7 MWe, escludendo quindi la megacentrale che ha una potenza circa 15 volte superiore.

“Il Pollino, perciò, non ospiterà più megacentrali a biomasse, pericolose per la salute dei cittadini e per l’ambiente, ma anche per lo sviluppo turistico ed economico dell’area protetta più grande d’Italia, che è anche tutelata dall’UE in quanto ZPS, nonché patrimonio UNESCO, e che dunque non può inseguire una impossibile e perniciosa pseudo-industrializzazione, utile soltanto alla proprietà della centrale e dannosa, sotto ogni aspetto per le popolazioni residenti che  tante volte ed in maniera partecipatissima si sono mobilitate contro la centrale”, dice Ferdinando Laghi, consigliere regionale e membro delle associazioni ISDE e GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane-, che combatte contro la centrale da oltre 20 anni, a difesa delle foreste italiane e della salute dei cittadini calabresi e lucani.

La megacentrale collocata nel Parco Nazionale del Pollino brucia circa 350.000 tonnellate di legno vergine all’anno (frutto del taglio di centinaia di migliaia di alberi) per produrre energia elettrica: una modalità di produzione di energia – in una regione che produce circa tre volte l’energia di cui necessita e a cui la centrale del Mercure contribuisce per appena lo 0,0002 % — che l’Italia deve abbandonare per tre importanti ragioni.

In primis, bruciare biomasse forestali accelera il riscaldamento globale: le energie da biomasse legnose sono più climalteranti persino delle energie fossili poiché, a parità di energia prodotta, emettono il 150% di CO2 rispetto al carbone e il 300% rispetto al gas naturale (da “Letter From Scientists To The EU Parliament Regarding Forest Biomass” del gennaio 2018), mentre il riassorbimento di equivalenti quantità di CO2 da parte di nuovi alberi richiederà molti decenni: un tempo che non abbiamo a disposizione. Il taglio di un numero così elevato di alberi va ad aggravare il riscaldamento globale di cui una delle concause principali è proprio la deforestazione. Per rimuovere la CO2 accumulata abbiamo bisogno di grandi alberi e delle foreste vergini, che la assorbono oltre 50 volte in più rispetto ai nuovi alberi e alle piantagioni. 

Secondo, la combustione di biomasse forestali presenta un grave rischio per la salute dei cittadini, in particolare in una zona come la Valle del Mercure, dove i fumi di combustione ristagnano a lungo a causa del fenomeno dell’inversione termica. La combustione di tutte le biomasse legnose, secondo i dati ufficiali dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) e di ISPRA, per la sola emissione in atmosfera di PM2,5, causa in Italia circa 20.000 morti premature ogni anno, senza contare le patologie dovute alle emissioni di inquinanti emessi nella combustione del legno (arsenico, mercurio, diossina, furani, IPA…). L’Italia detiene il triste record in Europa per morti premature derivanti dalla cattiva qualità dell’aria.

Terzo, l’utilizzo delle biomasse legnose come fonte di energia minaccia le foreste. Il patrimonio boschivo italiano èormai sfruttato intensivamente e oltre i limiti di rigenerazione dello stesso. Un disastro ecologico che compromette gravemente gli ecosistemi forestali, privando le specie animali e vegetali del loro habitat, e che ha effetti anche sulla popolazione, in quanto la conservazione del patrimonio forestale è essenziale per la stabilità del suolo e la regimazione delle acque.

La produzione di energia da combustione di biomasse legnose non può quindi essere considerata energia pulita, non dovrebbe poter usufruire di generosi incentivi economici, e andrebbe abbandonata al più presto per la salute del pianeta, dei cittadini e per la nostra sicurezza sanitaria e sociale. GUFI è per un utilizzo razionale e sostenibile del legno, ottenuto da selvicoltura ecologica e in boschi destinati all’uopo, e per qualsiasi prodotto in cui il carbonio in esso contenuto resti allo stato solido.

Foto: Di Demincob – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31953639

PIù DI CINQUE MILIONI DI ALBERI VERRANNO TAGLIATI PER IL METANODOTTO SULMONA – FOLIGNO

PIù DI CINQUE MILIONI DI ALBERI VERRANNO TAGLIATI PER IL METANODOTTO SULMONA – FOLIGNO

Il gasdotto Sulmona-Foligno, parte del progetto del gasdotto Linea Adriatica, provocherà il taglio di almeno cinque milioni di alberi. La stima del numero di alberi è conservativa, in quanto non tiene conto di tutti quelli che saranno abbattuti per l’apertura delle piste forestali necessarie ai lavori. Il percorso passa attraverso molte aree protette, tra cui diversi Parchi Nazionali e Regionali, che verranno devastati dai lavori.

Il gasdotto passerà inoltre su aree ad alto rischio sismico, e incredibilmente sul tracciato non è stato fatto alcuno studio in tal senso. Si prevede di fare una valutazione sismica “in corso d’opera”: una vera follia a danno di territori che a causa dei terremoti hanno già pagato un prezzo altissimo.

Eppure i metanodotti già presenti nel nostro paese possono trasportare 100 miliardi di metri cubi all’anno, risultando quindi già sovradimensionati rispetto al bisogno nazionale. Il gasdotto, infatti, dovrebbe proseguire fino a Minerbio, nel bolognese, e da qui portare il gas in Europa Centrale, servendo quindi altri paesi europei e non l’Italia, che però pagherebbe gli elevati costi economici e ambientali. Non a caso Eni e Agigas hanno definito il progetto “anacronistico”.

In un momento storico in cui è chiara la necessità di combattere il riscaldamento climatico, e si parla continuamente di abbandono delle fonti fossili e di piantare alberi per assorbire CO2 dall’atmosfera, il Governo Italiano progetta di devastare centinaia di km di aree protette per un nuovo gasdotto. Alla luce di queste politiche, i pochi spiccioli dati alle amministrazioni locali per qualche alberatura urbana in più appaiono per ciò che sono: uno specchio per le allodole, per distrarre da politiche che abbattono milioni di alberi che abbiamo già e che non hanno bisogno di essere piantati, e che fanno parte di ecosistemi complessi da cui dipende la sopravvivenza di moltissime altre specie animali e vegetali. Sulle promesse di ridurre le emissioni, poi, stendiamo un velo pietoso.

È questa la transizione ecologica con cui è stato sostituito il Ministero dell’Ambiente? Dove sono le rinnovabili? Dov’è il risparmio energetico? Gli italiani, durante l’inverno, tengono in casa una temperatura media di circa 22 gradi: ben al di sopra dei 20 gradi massimi consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il nostro patrimonio edilizio è vecchio ed energeticamente poco efficiente. C’è molto lavoro da fare, a partire dal consumo energetico di ogni singolo cittadino, ma nuovi metanodotti che distruggeranno parte dei nostri territori naturali più pregiati non sono parte della soluzione. Sono parte del problema.

Call II Conferenza di Bioeconomia 2022

Call II Conferenza di Bioeconomia 2022

Conferenza scientifica multidisciplinare fra ricerca e azione

“Dalla Strategia di Bioeconomia della Commissione europea alla Bioeconomia integrata e in armonia con la vita e le leggi della natura: analisi, pratiche, esperienze, attività”

12 e 13 dicembre – Roma presso la Società Geografica Italiana

Premessa

Il 25 settembre 2020 si è tenuta la conferenza multidisciplinare “La Strategia europea di Bioeconomia: scenari e impatti territoriali, opportunità e rischi” – patrocinata da società scientifiche e università – che ha raccolto i contributi di storici, geografi, economisti, urbanisti, costituzionalisti, biologi, biologi forestali e medici le cui analisi hanno messo in evidenza una serie di criticità sulla base delle quali si può asserire che la Strategia di Bioeconomia della Commissione Europea (del 2012 aggiornata nel 2018) e la conseguente Strategia Italiana siano piuttosto distanti dall’idea originaria di Bioeconomia teorizzata negli anni sessanta da Nicholas Georgescu-Roegen, ovvero una bioeconomia integrata e in armonia (embedded, direbbe Karl Polanyi) con la vita e con le leggi della natura. Detta strategia, invece, riflette un’accezione relativamente recente della parola ‘bioeconomia’, che nasce dall’industria biotech, chimica, farmaceutica, agroindustriale e dai progressi della biologia, della genetica e della tecnologia molecolari, nonché dalla domanda di biomasse per usi non alimentari. Questa accezione, attualmente dominante, si fonda su una indimostrata equivalenza tra “rinnovabilità” e“ sostenibilità”, e su una visione tecnocentrica che vede nell’high-tech enelle tecnologie a controllo centralizzato le soluzioni a ogni problema ambientale e il superamento di ogni limite allo sviluppo. I lavori della conferenza hanno messo in luce che la Strategia di Bioeconomia – promossa come la nuova frontiera dell’economia “verde” e basata sulla sostituzione delle fonti fossili con la biomassa – presenta forti contraddizioni rispetto agli stessi obiettivi che si pone, in quanto dipendente da risorse non sostenibili, non rinnovabili e dalle catene internazionali del valore, arrivando alla conclusione che, per tali ragioni, essa stessa richiederebbe una rielaborazione che non può prescindere dal suo adeguamento alla Strategia europea sulla biodiversità, nonché al Piano nazionale integrato per l’energia e il clima(PNIEC).

I risultati della Conferenza sono confluiti in un Documento di Valutazione e Indirizzo, inviato alla Commissione europea, al Governo e ai parlamentari italiani e pubblicato sulla Rivista “Economia e Ambiente” (1/2021) liberamente scaricabile dall’homepage del sito www.economiaeambiente.it.

Le tematiche della conferenza sono state oggetto di ulteriore approfondimento e aggiornamento, in parte svolti nel quadro del Pra 2020 dell’Università di Foggia ‘La Bioeconomia in Europa e in Italia: politiche e territori. Scenari socio-economici, ambientali e geopolitici’ e confluiti in un volume attualmente in corso di pubblicazione con la Società dei Territorialisti Edizioni e presto disponibile in open access.I promotori della conferenza, nella convinzione che la Strategia di bioeconomia non rappresenti solo un’opportunità da cogliere “a tutti i costi”, hanno ritenuto di costituire l’Osservatorio Interdisciplinare sulla Bioeconomia (OIB) – www.osservatoriobioeconomia.it– per il monitoraggio e lo studio delle iniziative e dei progetti ispirati alle diverse accezioni di Bioeconomia, al fine di contribuire alla comprensione dei processi in corso e dei possibili scenari. La seconda fase di quest’iniziativa sulla tematica in questione prevede l’organizzazione di una conferenza multidisciplinare fra ricerca e azione incentrata sulle pratiche di bioeconomia coerenti con la concezione originaria di Georgescu-Roegen.

L’iniziativa, organizzata nell’ambito del PRA 2020 dell’Università di Foggia, è promossa dall’Osservatorio Interdisciplinare sulla Bioeconomia e dalla Rivista scientifica “Economia e Ambiente” e patrocinata dalle seguenti organizzazioni: AIIG, Associazione Italiana Insegnanti di Geografia; Associazione “Dislivelli”; ISDE, International Society of Doctors for the Environment; Fondazione “Allineare Sanità e Salute”, Fondazione di partecipazione delle Buone Pratiche, SdT, Società dei territorialisti e delle territorialiste; SGI, Società Geografica Italiana; SIRF, Società Italiana di Restauro Forestale; SIU, Società Italiana degli Urbanisti, SSG, Società di Studi Geografici; Corso di Laurea in Scienze della Montagna, Università della Tuscia; Dipartimento di Architettura, Università di Firenze; Dipartimento di Economia, Management e Territorio, Università di Foggia.

Approccio scientifico alla conferenza e contenuti

Il periodo che stiamo vivendo è un periodo di crisi ecologica (con riferimento all’accezione etimologica del termine e, dunque, anche alla sua componente “sociale”), di stravolgimenti e apparenti cambiamenti sul piano politico, nonché di caos sistemico. Molte delle attuali attività e politiche economiche “verdi” – comprese quelle che si richiamano alla “bioeconomia” – sono basate sul paradigma riduzionista, meccanicista e utilitarista, sul dogma della crescita economica e della competizione, designate dalla stessa ideologia neoliberista che ha prodotto le problematiche e i guasti di cui ora le nuove politiche si propongono come “soluzione”. Insomma, tali iniziative “bio” ripropongono la stessa logica industrialista alla base dell’economia “fossile”. Pertanto, riteniamo urgente affiancare al necessario processo di interpretazione delle attuali politiche “verdi”, lo sviluppo di ricerche, studi e analisi di esperienze concrete, orientate a una bioeconomia che sia realmente integrata e in armonia con la vita e la natura, che possano costituire un punto di riferimento a livello sia teorico sia concreto per l’ormai non più procrastinabile salto di paradigma.

La bioeconomia, secondo la teoria di Nicholas Georgescu-Roegen, si fonda sul presupposto che i processi economici, investendo il mondo fisico, sono soggetti alle sue leggi, prima fra tutte l’entropia, ovvero la irreversibile dissipazione di energia e materia generata dai processi di trasformazione. I processi di produzione sono visti come un insieme di fondi (terra, capitale e lavoro) e flussi (risorse naturali, prodotti e scarti), in cui non vi è sostituibilità tra fondi e flussi: si può sostituire il lavoro con il capitale, ma certamente non le risorse con il capitale. D’altro canto, l’efficienza energetica, lungi dal potersi riferire solo al mero rapporto tra input e output di energia, deve considerare i processi dissipativi della materia coinvolti nella trasformazione dell’energia stessa. Un’economia sostenibile e circolare non richiede, dunque, soltanto flussi rinnovabili, ma anche una relazione fondi-flussi che rispetti e mantenga l’identità dei fondi, ovvero una compatibilità fondativa tra la velocità/densità dei flussi nella tecno-sfera e la capacità/velocità di rigenerazione dei fondi della biosfera.

Partendo dall’assunto che le civilizzazioni umane hanno prodotto nel tempo territori e paesaggi con sapienza e saggezza mantenendo una relazione fondi-flussi equilibrata, possiamo affermare che proprio la modalità e la capacità di tessere tale relazione in base a valori e interpretazioni diverse ma sempre armoniche con la natura ha portato alla grande differenziazione locale delle forme dei nostri contesti di vita. Oggi come un tempo sono proprio le pratiche sociali che consentono di entrare nella modalità complessa e integrata di economie capaci di interagire con i beni naturali e di riprodurre territori, paesaggi, risorse.  

La conferenza si interroga su come attuare nella contemporaneità una bioeconomia integrata e in armonia con la vita e la natura. Sarà possibile presentare contributi basati su riflessioni, studi e pratiche che trattano di esperienze concrete coerenti con principi quali:

  • la visione sistemica dell’ambiente;
  • l’ambiente come fondamento del palinsesto territoriale e paesaggistico;
  • l’assunzione del concetto di limite ecosistemico come regolatore delle attività economiche;
  • l’adattamento del metabolismo industriale ai cicli naturali;
  • il concetto di sostenibilità fondato sulla capacità di rigenerazione delle risorse naturali e sulla necessità di preservazione dell’equilibrio del ciclo biogeochimico;
  • la governance politica e il progetto territoriale e paesaggistico basati sulla pianificazione ecologica partecipata e sulla salvaguardia delle matrici vitali partendo in primis dell’insediamento;
  • l’uso delle risorse fondato sulla riduzione dei consumi di materia ed energia;
  • la promozione dell’innovazione sociale, ovvero della valorizzazione delle conoscenze e dei saperi della natura, integrate ai contesti di vita;
  • l’agroecologia e, più in generale, i modelli virtuosi di agricoltura in grado di rigenerare l’ambiente e il territorio;
  • i modelli locali di produzione basati sulla diversità, sulla resilienza, sui beni relazionali e sulla partecipazione.

La conferenza si compone di tre sezioniuna sessione sui paradigmi scientifici alla base degli approcci bioeconomici nella quale saranno presentati i risultati del PRA 2020 dell’Università di Foggia insieme ad alcuni contributi dei fondatori dell’Osservatorio Interdisciplinare sulla Bioeconomia (OIB); e due sessioni aperte a contributi esterni suddivise nelle seguenti tipologie:

  • riflessioni teoriche o casi studio che raccoglierà i contributi di studiosi che si occupano di bioeconomia coerente con la teoria di Georgescu-Roegen, ovvero l’economia integrata e in armonia con la natura e la vita
  • sulle pratiche nella quale saranno accolte esperienze e pratiche coerenti con i principi enunciati in precedenza con l’obiettivo, fra gli altri, di conferire rilevanza scientifica alle pratiche sociali per farle entrare nel dibattito scientifico ed accademico.

I temi che la conferenza intende indagare in maniera preminente fanno riferimento ai seguenti campi:

  • agricoltura, allevamento, pesca
  • acqua e foreste
  • produzione manifatturiera
  • energia
  • servizi
  • gestione delle risorse come beni comuni
  • insediamenti
  • paesaggio
  • salute.

Modalità di presentazione dei contributi e tempi di consegna

L’approvazione del contributo prevede in via preliminare l’invio di una sintesi (abstract) contenente:

  • titolo
  • testo (massimo 2.000 caratteri spazi inclusi)
  • 3 parole chiave.

A seguire:

  • nome/i dell’autore/i
  • ente di afferenza o organizzazione di appartenenza
  • dichiarazione di possibili conflitti di interesse
  • indicazione del campo tematico
  • indicazione della modalità di presentazione del lavoro.

La sintesi (abstract) dovrà essere inviata entro il 30 giugno a

conferenza.2022@osservatoriobioeconomia.it

L’approvazione avverrà entro il 30 settembre sulla base dei seguenti criteri:

  • pertinenza al tema oggetto della conferenza,
  • coerenza del caso di studio o della pratica con i principi enunciati di una bioeconomia integrata con la vita e e le leggi della natura. Non saranno ammesse le proposte di contributo che presenteranno casi di studio o esperienze riconducibili alla bio-industria, ovvero che fanno riferimento a una mera sostituzione delle risorse fossili con quelle organiche.

Il lavoro finale dovrà essere inviato entro il 31 gennaio2023 ai fini della pubblicazione.

Modalità di presentazione dei lavori:

  • riflessione teorica e casi studio con indicazione della preferenza di: presentazione orale (15 minuti), comunicazione orale breve (7 minuti), poster;
  • pratiche con indicazione della preferenza di presentazione orale (15 minuti), comunicazione orale breve (7 min.), poster (in formato pdf), video (mp4, durata massima 3 min.)

In base ai materiali presentati, gli organizzatori della conferenza potranno richiedere una modalità specifica di presentazione, che verrà comunicata al momento dell’accettazione della sintesi (abstract). 

ATTENZIONE: ogni partecipante alla conferenza può presentare un solo contributo come primo autore, pur potendo partecipare come co-autore in altri contributi.

Per qualsiasi ulteriore informazione: conferenza.2022@osservatoriobioeconomia.it

Link PDF della Callhttps://www.osservatoriobioeconomia.it/wpcontent/uploads/2022/05/call_II_conferenza_bioeconomia_2022.pdf

BASTA GEOTERMIA SUL MONTE AMIATA

BASTA GEOTERMIA SUL MONTE AMIATA

di Mariarita Signorini

On.le  Enrico Letta,

sono Mariarita Signorini, da sempre impegnata nell’Associazione Italia Nostra, la più antica del  Paese per la tutela del patrimonio artistico storico e ambientale, Associazione di cui ho ricoperto diversi  incarichi fino a esserne Presidente nazionale.

Con la presente voglio esprimerLe la mia preoccupazione per il futuro del  Monte Amiata, che costituisce un grande ecosistema ricco di boschi, biodiversità, ricco di acque sorgive, un bene comune cosi fragile e a rischio, come dimostra la recente drammatica siccità. Ed è proprio per la tutela del patrimonio paesaggistico, storico e ambientale di questi luoghi che da Presidente Nazionale e ora da Vicepresidente regionale ho avviato da anni e sostenuto un’azione giudiziaria, in sede amministrativa, per contrastare la realizzazione di una centrale geotermica a ciclo binario a Poggio Montone, in prossimità della Riserva naturale del Pigelleto a sud di Piancastagnaio.  Sono sempre più convinta, infatti, che la coltivazione geotermica,  che si sta intensificando enormemente in questi ultimi anni, sia incompatibile con il territorio del Monte Amiata,  che sarebbe invece naturalmente vocato a divenire un Parco nazionale o regionale,  un progetto lungimirante che tante Associazioni, tra le quali Italia Nostra sostengono, del pari  all’istituzione di un Parco Archeologico in Val di Paglia che porterebbe alla valorizzazione della Via Francigena,  nel cui tracciato insiste invece, tristemente,  il progetto di un’altra centrale geotermica denominata “Le Cascinelle”.  Così come il Ministro Franceschini, che ha aderito alla procedura di dissenso posto in essere dal ricorso della  Soprintendenza  toscana,  auspico che anche lei voglia intraprendere un’azione politica di contrarietà per  la centrale  di “ Le Cascinelle “ e la realizzazione del secondo Polo Industriale geotermico sul Monte Amiata. La grave crisi idrica e la siccità, che stanno investendo l’intero Paese, impongono scelte  ponderate e del tutto diverse da quanto la politica decide ora a spese dei territori, delle risorse e della popolazione. L’ Amiata possiede il bacino idrico più importante del centro Italia, un bacino strategico che disseta  700.000 utenti e cittadini e interessa le provincie di Siena, di Grosseto e di Viterbo. Le centrali  geotermiche esistenti sono già, a tutt’oggi, tra le cause del depauperamento delle falde acquifere e delle massive emissioni di  CO2, di metano e di sostanze inquinanti, nocive all’ambiente e alla salute.  Si sta perpetrando un danno irreversibile per l’intero comprensorio amiatino con gravi conseguenze anche per i territori a valle. Ci auguriamo pertanto che anche Lei sappia opporsi a un tale scempio.                                   

Mariarita Signorini

Vicepresidente Italia Nostra Toscana, già Presidente nazionale Italia Nostra, Consigliere GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane

IL CONSIGLIO REGIONALE DEVE APPROVARE LA LEGGE A TUTELA DEI BOSCHI TOSCANI

IL CONSIGLIO REGIONALE DEVE APPROVARE LA LEGGE A TUTELA DEI BOSCHI TOSCANI

Firenze, 14 giugno 2022 – Le associazioni firmatarie chiedono al Consiglio Regionale della Toscana di approvare la proposta di legge sui tagli boschivi in discussione giovedì mattina.

La proposta di legge, presentata dalla Consigliera Silvia Noferi, è mirata a impedire che i boschi pubblici, anche all’interno di aree protette, vengano trattati alla stregua di deposito di legname con il quale far cassa, con tagli frequenti e gravemente impattanti sull’ecosistema forestale.

Tende poi a dare più responsabilità al Consiglio Regionale e meno alla Giunta, l’organo che attualmente decide, senza un adeguato confronto politico, le scelte sostanziali in materia di gestione forestale. Introduce inoltre la presenza del tecnico forestale sia in fase di asseverazione che di collaudo: la presenza di un professionista nelle procedure amministrative per il taglio dei boschi, infatti, costituisce un elemento di maggiore garanzia per gli organi di controllo, quali i Carabinieri Forestali.

La proposta di legge pone inoltre un argine alla pratica del taglio a raso del ceduo, sposando le recenti direttive operative del Comando dei Carabinieri Forestali, secondo le quali i boschi cedui invecchiati devono essere considerati fustaie e quindi sottoposti a maggiori limiti relativi ai tagli boschivi.

Il taglio a ceduo è un metodo di governo del bosco molto utilizzato in Toscana che denuda il suolo forestale, e prevede il taglio di tutti gli alberi a eccezione di poche piante, giovani ed esili (dette matricine). Ciò che rimane è molto difficile da definire foresta: privata della copertura arborea, l’area diventa spoglia e il terreno è sottoposto a erosione e perde nutrienti. Sia gli alberi che il suolo forestale sono tra i migliori sequestratori di CO2, e in un momento in cui si moltiplicano le iniziative di riforestazione per contrastare il riscaldamento climatico, il Consiglio Regionale dovrebbe pensare innanzitutto a proteggere le foreste già esistenti dal sovrasfruttamento.

Le associazioni ricordano inoltre che il legname prodotto tramite il governo a ceduo è legname di bassa qualità, che in gran parte finisce per diventare cippato per le centrali a biomasse forestali, a cui l’Unione Europea sta considerando di togliere gli incentivi, prendendo finalmente atto dell’insostenibilità di bruciare le nostre foreste per produrre energia. Le biomasse forestali sono inoltre pericolose per la salute dei cittadini, in quanto la combustione di legno produce alte quantità di particolato e altre sostanze inquinanti, mentre è ormai assodato che gli ambienti forestali, lasciati il più possibile alla loro evoluzione naturale,

rappresentano una fonte insostituibile di benessere e di salute.

L’attuale politica forestale della Regione Toscana è quindi insostenibile, climalterante e profondamente dannosa per la biodiversità, e andrebbe rivista nel senso indicato dalla proposta di legge, tutelando dai tagli almeno le riserve naturali, imponendo maggiori controlli e privilegiando la fustaia al posto del ceduo.

La fustaia non solo garantisce un minore impatto sull’ecosistema forestale ma consente anche, qualora si tagli, di produrre legname di qualità per scopi nobili quali la falegnameria e la bioedilizia, che lasciano intrappolato il carbonio assorbito dall’albero e non lo disperdono nell’atmosfera.

Come segnalano le associazioni di settore, questo tipo di legname per usi nobili manca in Italia e viene importato, perché i boschi a ceduo non sono in grado di fornirlo. Se i turni di taglio fossero meno ravvicinati e i boschi non venissero ceduati a intervalli di pochissimi anni, potremmo proteggere la biodiversità, combattere il riscaldamento globale e ridurre drasticamente le importazioni di legname da opera dall’estero. Una politica industriale ed ecologica di lungo periodo che speriamo la Regione Toscana approvi, dimostrando la necessaria lungimiranza.

ASSOCIAZIONI FIRMATARIE

GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, Movimento per la Terra e la Comunità Umana, WWF Toscana, Italia Nostra Toscana, ISDE – Medici per l’Ambiente, European Consumers, SIRF – Società Italiana di Restauro Forestale, Green Impact, Parents for Future, Atto Primo – Salute Ambiente Cultura, Comitato Val di Farma, Comitato per la salvaguardia della Montagnola Senese, Forum Ambientalista Toscano, Coordinamento Merse