da Valentina Venturi | 6 Apr, 2021 | Biodiversità, Foreste
di Giovanni Damiani – pubblicato sul Volume 2 di Simbiosi Magazine (https://www.simbiosimagazine.it/)
La vegetazione spontanea che si insedia lungo le rive dei fiumi, torrenti e ruscelli, viene chiamata “ripariale”. La sua struttura forestale è condizionata principalmente dalla vicinanza all’acqua. La troviamo pertanto anche sulle rive dei laghi, degli stagni e in zone umide o soggette ad allagamento e dove la falda freatica è raggiungibile dalle radici delle piante. La componente arborea è costituita, in Italia, soprattutto dalle Salicaceae, una grande famiglia che include tutti i pioppi e i salici. Essa è una componente fondamentale degli ecosistemi fluviali e ha caratteristiche molto particolari, acquisite nel corso dell’evoluzione naturale in prossimità all’acqua, del flusso della corrente, del regime idrologico e, non ultimo, dal clima.
Parliamo infatti di piante che hanno la capacità di avere il proprio apparato radicale in immersione perenne o per lunghi periodi nell’acqua, senza che le radici marciscano, e per questo vengono chiamate “freatofite”. Questa è una caratteristica importante, perché la falda freatica in prossimità di un corso d’acqua o di un lago è quasi sempre affiorante o giacente a poche decine di centimetri di profondità. Gli ambienti di acque correnti poi sono soggetti a scariche di piene e a esondazioni, con energie fortissime che tendono a trascinare via ogni cosa. Vicino a essi nessuna specie arborea a legname duro e rigido e che non abbia un solido ancoraggio nel terreno potrebbe sopravvivere e prosperare: a ogni piena le piante verrebbero spezzate ed eliminate fin dalla giovane età.
L’energia cinetica delle acque nel corso dell’evoluzione ha quindi avvantaggiato il tipo di vegetazione particolare adatta a vivere in un ambiente tanto ostile grazie alla flessibilità estrema dei rami e dei giovani tronchi, alla loro resistenza eccezionale alla trazione (vale a dire allo strappo), con solido ancoraggio a terra garantito da apparati radicali assai sviluppati, con diverse ed efficienti modalità di riproduzione e ad accrescimento rapidissimo adatto a fronteggiare i diversi regimi stagionali delle acque.
Salici e pioppi si riproducono infatti facilmente per polloni e per talea (riproduzione agamica, che praticamente è una clonazione). Attecchiscono con questa modalità anche in luoghi lontani da quello d’origine, perché un tronco sradicato da una piena o dal vento o un ramo verde spezzato e caduto in acqua può dare vita a un nuovo albero anche a molti chilometri di distanza dove sarà stato portato e depositato dalla corrente, in genere presso un’ansa.
Anche la riproduzione sessuata è molto particolare rispetto ad altre essenze forestali. I semi dei pioppi e dei salici, infatti, sono assai minuscoli e leggerissimi. Il frutto è una capsula che contiene semi a forma di bastoncino, in genere in numero di 8 – 10, esili, lunghi uno o due millimetri, privi di albume e quindi praticamente pressoché privi sostanze nutritive di riserva a differenza, ad esempio, dei frutti dei faggi (fagìole) o delle ghiande delle querce. Essi sono in grado di germinare immediatamente dopo essere stati emessi ma possono restare vitali, in quiescenza, per un periodo limitato, in genere solo di qualche mese, trascorsi i quali muoiono. I piccolissimi embrioni possono germinare poi solo in condizioni di suoli con elevata umidità. I generi Salix e Populu sono dotati tuttavia di semi non molto longevi.
Le Salicacee sono soggette, in generale, a facile ibridazione. Non è un limite al successo della loro riproduzione sessuale…anzi. Queste piante infatti impiegano la propria energia vitale per produrre una straordinaria quantità di semi, come possiamo vedere comunemente nei pioppi. Questi sono piante a sessi separati e gli esemplari femminili producono i propri embrioni leggerissimi, circondati da un arillo cotonoso espanso (comunemente chiamati “pappi”), in quantità straordinarie; questi si disperdono “veleggiando” nell’aria e possono essere trasportati dal vento a distanze incredibili; tuttavia per queste piante la modalità di propagazione aerea non è la sola a disposizione, perché ve ne è un’altra che potremmo definire di “microfluitazione” o di “drift”. Parliamo dei pappi depositatisi sull’acqua dei fiumi, galleggiando sulla superficie, che vengono trasportati a valle e in buona parte terminano il loro viaggio col posarsi su qualche parte del greto ove i semi possono germinare. Stocasticamente con questa strategia saranno molti i semi “fortunati” che troveranno condizioni idonee di sviluppo, iniziando ad emettere immediatamente una radichetta embrionale che diviene poi un fittone che si accresce in pochi giorni. Così, quando nel nostro clima mediterraneo arrivano le piogge e le piene autunnali-invernali, le plantule che hanno germinato per prima, flessibilissime, e che hanno già acquisito un ancoraggio radicale di 30 – 40 cm o più, piegandosi nella corrente divenuta forte minimizzano la propria esposizione all’acqua, riuscendo a non essere estirpate.
Tutta la struttura dell’albero sembra adattata allo scopo di una grande produzione di semi e a un accrescimento veloce. Il polline ad esempio è molto piccolo (25-30 millesimi di millimetro) ma molto abbondante e l’impollinazione può essere sia anemofila che entomofila. Osserviamo la foglia di un pioppo: ha un picciolo ben allungato, schiacciato lateralmente, con elasticità “giusta” perché possa oscillare su un piano sub-orizzontale al minimo spirare del vento. L’albero così può permettersi di avere tante foglie a lamine larghe che, come ogni altro albero, sono disposte per captare quanta più luce ma, nel nostro caso, c’è un vantaggio in più dovuto alla facilità e al “tipo” di movimento che fanno sì che molta luce solare possa filtrare anche negli strati di fogliame inferiori che viceversa rimarrebbero in semi-ombra. Questa particolarità fornisce all’albero maggiore capacità fotosintetica, un “motore biologico turbo” che è alla base della notevole velocità di accrescimento. Vista da lontano la massa delle foglie di un pioppo che oscillano al vento richiama alla mente il brulichio di una folla umana in un mercato o una festa padronale di paese: viene attribuito a questa similitudine il termine del genere , “Populus” (popolo). La flessibilità dei rami dei salici è tale che viene sfruttata fin dall’antichità per realizzare, intrecciati finemente, cesti assai leggeri e resistenti, nasse per la pesca fluviale e, in passato, persino per ponti per l’attraversamento dei corsi d’acqua, chiamati “ponti di fascine”.
In definitiva queste piante assommano in sé una molteplicità di strategie di riproduzione, di crescita e di adattamento che ne determina il successo evolutivo. Se è vero che la presenza del fiume con i suoi episodi di violenza ha determinato la selezione delle caratteristiche uniche di questa vegetazione, è altrettanto vero che essa ha determinato l’aspetto fisico e morfologico dell’ambiente fluviale e del paesaggio. Se non ci fosse questa vegetazione (unitamente a quella erbacea come Fragmites, Tipha, Carex, Scirpus che hanno le medesime caratteristiche di ancoraggio radicale, flessibilità e di resistenza allo strappo), i nostri corsi d’acqua apparirebbero come desolati canali con le ripe franose simili ai canyon del Rio Grande: la violenza delle acque avrebbe eroso, scavato e desertificato tutto l’immediato intorno.
La vegetazione riparia svolge diverse funzioni essenziali negli ecosistemi acquatici. Innanzitutto è un efficace filtro -tampone protettivo della qualità dell’acqua. La lettiera riparia è assai spessa, soffice e umificata, in grado di bloccare quasi tutto quello che le acque meteoriche, ruscellando superficialmente, erodono dai terreni circostanti, inclusi gli inquinanti diffusi che vengono trappolati, degradati o, per gli inquinanti persistenti come i metalli pesanti, resi non biodisponibili. Il pabulum microbico della lettiera e dell’humus riesce a scomporre in tempi bevi anche sostanze organiche xenobiotiche normalmente resistenti alla biodegradazione. Un fiume che ha la sua vegetazione integra, inoltre, presenta generalmente acque limpide perché è ridotta o completamente bloccata l’erosione meteorica superficiale dei terreni circostanti. .
Inoltre le foglie che in autunno cadono in acqua hanno un ruolo ecologico importantissimo per la vita fluviale: quelle dei pioppi e dei salici sono particolari: presto si rigonfiano divenendo più tenere, poi divengono color marrone perché colonizzate al loro interno da microfunghi che le arricchiscono di elementi nutritivi, e infine costituiscono una dieta ottimale per l’intera copiosa comunità degli organismi invertebrati acquatici detritivori che sono a loro volta alla base, ad esempio, dell’alimentazione dei pesci, del merlo acquaiolo, dell’avifauna limicola e degli anfibi. Gran parte degli apporti trofici negli ecosistemi fluviali deriva dalla vegetazione di sponda, piuttosto che dagli organismi fotosintetici che vivono immersi nella corrente.
Le funzioni importantissime della vegetazione riparia nell’ecologia fluviale sono ancora tante. Ne fornisco un rapido accenno. Essa fornisce ombreggiamento limitando, nei tratti di alveo fotosintetici, l’eccesso di proliferazione algale e l’abbagliamento delle specie animali che non amano la luce diretta come molti invertebrati e le trote (che sono sprovviste di palpebre) e che predano gli invertebrati. Protegge inoltre l’acqua dal riscaldamento, sia con la propria ombra e sia per l’evapotraspirazione che è piuttosto elevata; bisogna richiamare il fenomeno fisico per cui il cambiamento di stato dell’acqua da liquida a vapore avviene a spese dell’energia sottratta all’ambiente esterno, cosicchè l’evapotraspirazione funziona come un condizionatore che riduce la temperatura ambientale. Le basse temperature favoriscono un adeguato tenore di ossigeno disciolto a tutto vantaggio per la vita acquatica. La vegetazione dei corsi d’acqua realizza microhabitat per una moltitudine di organismi e favorisce un’elevatissima biodiversità entro l’acqua e sulle sponde; le radici flottanti degli alberi sono microhabitat per molte specie e zone di rifugio per i pesci. È una vegetazione che consolida e stabilizza le sponde, contrastandone l’erosione e il franamento che causano l’interrimento accelerato di zone fluviali di pianura. Con la sua “rugosità”, unitamente alla vegetazione erbacea e ai salici arbustivi, frena l’impeto della corrente, trattiene più a lungo l’acqua sul territorio mitigando le piene, aumentando i “i tempi di corrivazione” e in definitiva svolgendo un’imponente azione di regimazione che contrasta il rischio idrogeologico. Il permanere dell’acqua rallentata sul territorio inoltre ne favorisce l’infiltrazione laterale e la diffusione all’interno i ghiaioni permeabili delle sponde e quindi la ricarica delle falde.
La vegetazione riparia intrappola i nutrienti il cui eccesso è assai nocivo per le acque e, per quanto riguarda quelli azotati, attraverso le reazioni nitro-denitro li scompone fino al livello di azoto elementare che viene restituito all’atmosfera. Favorisce inoltre la transizione acqua – terra di specie animali: insetti come le libellule, le effimere, svariate famiglie di ditteri, ma anche vertebrati come tutti gli anfibi, molti rettili… Lo svolgersi del ciclo della materia, tanto più efficace quando maggiore è la biodiversità nell’ecosistema, aumenta l’efficienza dell’autodepurazione biologica tipica delle acque correnti e la cui “funzionalità” è oggi alla base delle finalità della normativa introdotta dalla Direttiva Quadro sulle Acqua (Framework Water Directive 60/2000/CE e della normativa italiana D.Lsl 152/2006 e s.m.i.).
La fascia ecotonale acqua-terra perennemente umida o di acque bassissime o a inondazione periodica, ricca anche di vegetazione erbacea che ha le radici o i rizomi immersi nell’acqua e la parte restante aerea, come la cannuccia d’acqua, le tife e i carici (chiamata “elofitica”) è quella a più alta efficienza autodepurativa. Questi ambienti infatti vengono oggi “copiati” e riprodotti artificialmente, come veri e propri impianti di depurazione degli scarichi fognari che in Italia sono noti come “fitodepuratori”, raccomandati peraltro dalla normativa per le caratteristiche di basso impatto ambientale e alta efficienza, economicità di gestione e perfetto inserimento nel paesaggio in cui risultano non percepiti alla vista.
Le fasce ripariali costituiscono i principali habitat di rifugio per la fauna e sono “corridoi ecologici” naturali del territorio per i mammiferi lungo le sponde, per l’avifauna migratrice che memorizza, per orientarsi, le linee dei corsi d’acqua come riferimenti geografici, mentre all’interno delle acque il corridoio fluviale consente le migrazioni interne dei pesci.
Alcuni ricercatori che studiano gli ambienti fluviali e le zone umide (wetlands) hanno definito questi ambienti “supermarkets of biodiversity”: ambienti ricchissimi di specie. Essi, per gli aspetti della biodiversità, sono la nostra “Amazzonia”. Quanto conta la vegetazione riparia sulla buona dotazione di biodiversità, sulla stabilità ecosistemica, sulla resilienza e sulla “funzionalità”, aspetti che garantiscono insieme anche benefici ecosistemici, è cosa che sfugge alla normale comprensione. Cito un esempio illuminante. In Abruzzo fiumi di acque sorgive oligominerali, purissime, come il Vera (Paganica-L’Aquila), il Tirino superiore (Bussi e Capestrano- Pescara) hanno livelli naturalità elevati e di biodiversità straordinari, con presenza di specie rare, come plecotteri, estinti altrove per la loro sensibilità ai disturbi ambientali, ed endemismi. A pochi chilometri nello stesso areale il fiume Giardino (la cui portata è ridotta a causa di captazione della sorgente ad uso acquedottistico), con acque oligomineali e perenni, è privo della quasi totalità delle specie rispetto ai predetti fiumi.
La differenza sta nel fatto che il Vera e il Tirino superiore hanno ripe vegetate ed alveo naturali, mentre il Giardino ha sponde prive di qualsiasi vegetazione arborea e sponde ed alveo sistemati con il cemento. Quanti danni fanno le sistemazioni degli alvei e delle sponde con il cemento e con le gabbionate, le cosiddette “regolarizzazioni” di corsi d’acqua, i tagli indiscriminati della vegetazione riparia, che ancora oggi vengono effettuate, per giunta con denaro pubblico!
Mentre scrivo un albericidio è in atto nel Parco Naturale Regionale Sirente-Velino, in provincia dell’Aquila, e stragi simili mi vengono segnalate in Romagna e in altre parti d’Italia. Alla base di queste azioni riprovevoli c’è la frammentazione delle competenze, l’interesse a lucrare sul legname, spesso l’ignoranza spinta di funzionari pubblici che rivestono ruoli-chiave nei processi amministrativi, l’assenza di controlli, autorizzazioni date con leggerezza stravagante, errate convinzioni idrauliche (velocizzare le acque perché non esondino localmente, ma aggravando il rischio idraulico a valle), incapacità di cogliere lo spirito e il dettato della Direttiva Quadro Europea delle acque, che ha come obiettivo il ripristino di flora e fauna a un buon livello di integrità ecologica e idromorfologica per garantire il potere autodepurativo degli ambienti acquatici.
La normativa vigente imporrebbe l’esatto contrario di quanto è in atto: la riqualificazione ecologica dei corsi d’acqua, e la restituzione ai fiumi del proprio spazio vitale. Ma questa è materia per un altro articolo. Ovviamente lungo i nostri corsi d’acqua non troviamo solo Salicaceae: importante è la presenza, ad esempio, dell’Ontano nero (Alnus glutinosa), del Sambuco (Sambucus nigra) e diverse altre specie tra cui poco noto è probabilmente l’Oleandro (Nerium oleander) che in fiumi della Sardegna dà luogo a fioriture spettacolari. Man mano che ci allontaniamo dall’acqua troviamo alberi a legname sempre più duro, passando per i frassini (Fraxinus excelsior e F. oxycarpa), olmi (Ulmus minor) ma anche aceri campestri, fino ad arrivare, nelle zone oramai abbastanza asciutte, alle querce, ai faggi e altre specie di habitat completamente diverso.
Che fare per la riqualificazione dei fiumi e il restauro del paesaggio? Tra le tante cose basterebbe solo un provvedimento di effettiva tutela delle sponde per una fascia spessa circa 150 metri, o per quanto possibile, per vedere rinascere o comunque migliorare di molto la qualità dei nostri fiumi e il paesaggio senza spendere un solo euro. La vegetazione riparia infatti è talmente rapida nel ri-colonizzare spontaneamente i suoi spazi e ad accrescersi che in pochissimi anni con la sola tutela avremmo già risultati sorprendenti.
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da Valentina Venturi | 29 Nov, 2020 | Difesa Foreste, Uncategorized
Anche le forzature sulla disciplina dei paesaggi montani hanno contribuito all’annullamento del Piano Territoriale Paesaggistico Regionale del Lazio; una occasione per ripensare le strategie per le montagne del Lazio e arrestare la devastazione del Terminillo
La Corte Costituzionale, con sentenza pubblicata pochi giorni fa, ha annullato il Piano Territoriale Paesaggistico Regionale (PTPR) del Lazio, e lo ha fatto perchè la Regione Lazio ha violato il principio di leale collaborazione tra istituzioni.
Il testo del PTPR concordato con il MiBACT come legge impone, infatti, avrebbe dovuto essere approvato tal quale dal Consiglio Regionale, che di converso ha licenziato un testo modificato in più parti e contenente norme che scardinano l’obbligo di copianificazione Stato-Regione e che allentano le tutele di molti beni paesaggistici tra cui le aree montane, dove il PTPR manomesso avrebbe consentito la realizzazione di impianti sciistici, impianti di innevamento artificiale e attrezzature ricettive al di sopra della fascia dei 1200 metri.
Questa disattenzione nei confronti della tutela paesaggistica della montagna purtroppo non sorprende.
Da anni – attraverso le ripetute osservazioni presentate nell’ambito delle procedure di VIA del progetto Terminillo Stazione Montana (TSM) – il Comitato del #noTSM ha rilevato come la Regione Lazio interpretasse in maniera ingiustificatamente estensiva le norme del PTPR, e come tali interpretazioni collidessero in maniera sostanziale anche con le Direttive Comunitarie, il tutto per consentire la realizzazione di un progetto devastante per il paesaggio e per l’ambiente, economicamente fallimentare e posto fuori dal tempo dal climate change.
Duole constatare che fino ad oggi questa insensibilità regionale è stata sostanzialmente condivisa dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province di Frosinone, Rieti e Latina, che ha già emesso parere paesaggistico positivo sul TSM nonostante al tempo di formazione dell’atto fossero in vigore le norme più restrittive di quelle successivamente manomesse dalla Regione Lazio. Il nostro auspicio è che questa vicenda spinga la Regione Lazio a considerare con maggiore consapevolezza la tutela paesaggistica del suo territorio, e che tale consapevolezza si estenda anche alle strutture periferiche del MiBACT.
da Valentina Venturi | 15 Nov, 2020 | Difesa Foreste, Uncategorized
comunicato stampa di Mariarita Signorini
a nome di settantacinque Associazioni
Settantacinque associazioni hanno inviato una lettera ai Ministri dei Beni Culturali, dell’Ambiente e dell’Agricoltura chiedendo di intervenire a difesa delle foreste italiane
Roma, 14 novembre 2020 – Settantacinque associazioni nazionali e locali hanno inviato una lettera-appello indirizzata ai Ministri dei Beni Culturali, dell’Ambiente e dell’Agricoltura chiedendo una maggiore tutela dei boschi italiani, attualmente minacciati da un eccessivo sfruttamento: le numerosissime sottoscrizioni mostrano quanto il problema sia reale e sentito dai cittadini. Una prova in più che quella interazione tra uomo e sistema naturale – riportata dalla Convenzione di Firenze del 2006 (Ratifica della Convenzione Europea sul paesaggio) e dal Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici – altro non è che un rapporto virtuoso uomo-natura caratterizzato da equilibrio e rispetto nello sfruttamento delle risorse naturali, equa distribuzione della ricchezza e un utilizzo lungimirante delle risorse ambientali. Una visione che vede quindi il paesaggio come la rappresentazione della simbiosi tra l’uomo e il suo territorio.
Questo appello è in risposta alle lettere, di ben altro tenore, indirizzate agli stessi Ministeri da parte di categorie professionali e forestali strettamente connesse al mondo produttivo e da certi ambienti accademici, nelle quali si invita a non tenere in conto del parere delle Sovrintendenze a tutela dei boschi in zona di vincolo. Le argomentazioni portate avanti dal mondo produttivo sono inaccettabili per chiunque abbia a cuore la tutela dell’ambiente e del patrimonio boschivo italiano: viene espressa una concezione del paesaggio incentrata su una visione antropocentrica di mero sfruttamento delle risorse che risponde a logiche oramai sorpassate, in particolare in tempi in cui i cambiamenti climatici imporrebbero ben altro atteggiamento nei confronti del nostro patrimonio boschivo.
Il confronto su questi temi cruciali è appena iniziato: le numerose associazioni e comitati (un numero che continua a crescere) che hanno sottoscritto questo appello al rispetto delle leggi dello Stato non si sottrarranno al dibattito e altri approfondimenti non si faranno attendere. Le foreste italiane non possono essere lasciate in balia di chi le vede solo dal punto di vista produttivo-economico.
CONTATTI
Valentina Venturi
GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane
340 3386920 | press@gufitalia.it
Mariarita Signorini
Italia Nostra
335 5410190 | margi.signorini@gmail.com
di seguito la lettera inviata ai Ministri:
Lettera-appello ai Ministri dei Beni Culturali, dell’Ambiente e dell’Agricoltura per la tutela dei boschi
Roma, 11 novembre 2020
Egregi Ministri, da alcuni anni nella società civile sta crescendo la sensibilità per il paesaggio forestale, spesso deturpato da un tipo di selvicoltura non rispettosa degli aspetti ambientali e paesaggistici espressi dalle foreste. Ormai è consolidato e metabolizzato dal nostro ordinamento giuridico l’orientamento della Corte Costituzionale, che ha sottolineato proprio come ambiente e paesaggio siano beni comuni immateriali di preminente interesse pubblico, la cui salvaguardia deve costituire un limite all’utilizzo del legno prodotto dalle foreste.
Questo concetto giuridico non è tuttavia ancora pienamente recepito dalla legislazione vigente, che è tendenzialmente orientata a coordinare le numerose e discordanti legislazioni regionali nella comune visione del bene foresta inteso come risorsa economica da sfruttare, seppur nella dovuta regolamentazione.
La recente approvazione del TUFF (Dlgs 34 del 2018) ha bene espresso il contrasto ormai acuto tra gli interessi e le economie che hanno nei servizi eco sistemici culturali e di regolazione la loro primaria risorsa e le economie che utilizzano il bosco come fonte di materiale legnoso. Se è legittima la convivenza di queste economie, nel rispetto dei principi costituzionali, non possiamo tuttavia ignorare come l’approvazione del TUFF sia avvenuta con molte polemiche, non solo da parte della società civile organizzata in associazioni e comitati, ma anche dal mondo accademico delle scienze biologiche e naturali, mentre l’attuale impostazione filo-produttivistica del TUFF è stata voluta, scritta e difesa solo da una parte del settore accademico e della ricerca applicata del mondo forestale, forte dell’appoggio e del monopolio culturale del Ministero dell’Agricoltura.
Nella lettura del TUFF è inoltre evidente il contrasto che vi è stato tra il Ministero dei Beni Culturali e quello dell’Agricoltura, per ciò che concerne il delicato aspetto del coordinamento con il Codice dei Beni culturali e la questione del “taglio colturale” nelle aree tutelate o meno da provvedimento, espressa dal combinato disposto degli artt. 136, 142 e 149 del Codice. In tutto il testo legislativo il vincolo paesaggistico è trattato come un orpello all’utilizzo economico diretto del territorio forestale, tanto da aver creato un pericoloso e confuso regime di deroghe che rischia concretamente di rendere inapplicabile il regime di tutela.
Anche nelle aree tutelate da provvedimento amministrativo, dove ormai sembrava pacifica la supremazia del MiBACT sulle competenze regionali, la recente applicazione di questa norma, ribadita non solo dal precedente orientamento di questo Ministero, ma anche dal recentissimo “parere” relativo a un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, presentato da Italia Nostra nazionale, WWF Grosseto e Lac, sul piano antincendio della Pineta litoranea del Tombolo in Toscana, ha ingenerato forti conflitti. La Soprintendenza di Siena e Grosseto, in seguito a questo pronunciamento del Consiglio di Stato, ha applicato la richiesta di autorizzazione paesaggistica, per gli usi forestali in aree tutelate dal Codice dei Beni Culturali, anche sul Monte Amiata, da qui si è scatenata, da parte delle associazioni di categoria del comparto forestale e dall’Ordine degli Agronomi la pretesa di derogare alla legge, violata, o mal interpretata, forti della volontà di mettere a confronto, ovvero in contrasto, tutela paesaggistica versus libertà di impresa e quindi posti di lavoro a essa collegati.
La Soprintendenza, ha invece richiesto che sull’Amiata, nel rispetto della zona di vincolo, venisse lasciato un numero quadruplo di matricine rispetto al ‘governo’ a ceduo semplice, cosa che non inficerebbe le locali attività produttive, ma tutelerebbe invece il paesaggio, garantendo contemporaneamente l’assetto idrogeologico di quei pregevoli territori (già duramente provati dalle catastrofiche alluvioni dello scorso anno).
Si tratta dunque di una sleale e scorretta levata di scudi, del mondo delle imprese economiche e forestali, (dopo che le rispettive competenze erano già state ampiamente discusse, negoziate e chiaramente sancite nel TUFF) in nome di un giudizio di presunta “incompetenza” del personale delle Soprintendenze per giudicare gli aspetti paesaggistici della foresta, come se tutte le foreste fossero esclusiva competenza e proprietà del mondo forestale, e non anche bene comune di eminente interesse sancito dall’articolo 9 della Costituzione. Come evidenziato dai noti e autorevoli pareri dell’Ufficio Legislativo del MiBACT, la ratio della tutela provvedimentale, derivando dalla Legge Paesaggistica voluta da Benedetto Croce, è quella dell’aspetto estetico, nel quale le Soprintendenze hanno una storica e indiscussa competenza e supremazia.
Purtroppo la lettura del paesaggio effettuata dalle categorie professionali e forestali strettamente connesse al mondo produttivo, non tiene in considerazione che quella“interazione tra uomo e sistema naturale”, riportata dalla Convenzione di Firenze, Legge del 9 gennaio 2006 n.14 “Ratifica della Convenzione Europea sul paesaggio, Firenze 20 ottobre 2000” e dal vigente Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici, non può che essere quel rapporto virtuoso che denota equilibrio e rispetto nello sfruttamento delle risorse naturali, equa distribuzione della ricchezza e rispetto dell’utilizzo ragionevole delle risorse ambientali. Altrimenti tutto, indistintamente, sarebbe paesaggio, anche il rapporto predatorio dell’uomo sul territorio e in nome del quale si rischierebbe di compiere ogni scempio.
In particolare, la diffusione del ceduo rappresenta invece, da sempre, quel rapporto predatorio, consolidatosi con l’affermazione del moderno sistema economico. Il fatto che esista da molto tempo non ne giustifica il ruolo paesaggistico, così come non lo giustifica il solo concetto di casa che, pur esistendo da millenni, a causa della speculazione edilizia recente, ha devastato i più pregiati paesaggi del nostro paese. Ricordiamo che il primo bene paesaggistico tutelato nell’Italia Unita è stata proprio una foresta: la Pineta di Ravenna.
Attualmente, anche in base a recenti ricerche, risulta che il ceduo sia la forma di governo meno compatibile con la fornitura di servizi ecosistemici di regolazione e culturali e non lo si può, proprio per questo, definire una forma di gestione forestale sostenibile. Adesso quella “percezione delle popolazioni” che, secondo la Convenzione di Firenze, dovrebbe caratterizzare il paesaggio, si sta manifestando fortemente attraverso le associazioni ambientaliste riconosciute e i comitati dei cittadini, sui social e sulle piazze, in difesa delle foreste e del verde urbano, dando luogo alla più vasta manifestazione del pensiero libero, che chiede “il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Proprio in considerazione della complementarità del bosco e della natura allo sforzo lavorativo e produttivo, che non può ridursi al rapporto lavoro-salario, ma necessita di tempi e spazi di recupero spirituale e psicologico, che solo le foreste ben gestite sanno garantire.
Il ceduo estremamente diffuso e il taglio raso, privando il cittadino-lavoratore del bosco per un tempo troppo lungo rispetto al tempo della vita umana, provocano un vero e proprio “spaesamento”, una perdita di “paese” inteso come paesaggio e conseguente perdita di riferimenti culturali e psicologici, per questo sono da mettere al bando, almeno nelle aree tutelate ex art. 136 del Codice, e possibilmente da tutti i boschi, atteso che altri metodi di gestione garantiscono lo stesso, se non un maggiore reddito.
Le scriventi Associazioni esprimono innanzitutto solidarietà al personale delle Soprintendenze, che adesso deve sostenere il peso di queste ingiuste affermazioni di incompetenza. A tutti coloro che tutelano il paesaggio vanno il nostro appoggio e la nostra stima.
Auspichiamo che Lei, signor Ministro dei Beni Culturali, non arretri di un millimetro di fronte alle richieste di smantellamento della tutela paesaggistica che le sono pervenute e le perverranno, anche tramite il Ministero dell’Agricoltura.
Auspichiamo inoltre che Lei, Signor Ministro dell’Ambiente, si faccia parte attiva per una maggior tutela degli ecosistemi forestali, in particolar modo nella Rete Natura 2000 e nelle aree protette, dove il TUFF ha inteso indebolire le Sue competenze a favore di quelle delle Regioni e del Ministero dell’Agricoltura.
Auspichiamo che Lei Gentile Ministro dell’Agricoltura, a cui inviamo il presente appello per Sua conoscenza, intenda prendere opportuni provvedimenti al riguardo.
Cordiali saluti
- Mariarita Signorini già Presidente nazionale, ora Consigliere di Italia Nostra
- Daniele Zavalloni – Presidente Ecoistituto – Cesena
- Stefano Deliperi – Presidente Grig (Gruppo d’intervento Giuridico)
- Giovanni Damiani – Presidente GUFI (Gruppo unitario foreste italiane)
- Roberto Romizi – Presidente Associazione medici per l’Ambiente ISDE Italia
- Vittorio Emiliani – Presidente Comitato per la Bellezza
- Rita Paris – Associazione Bianchi Bandinelli
- Stefano Allavena – Presidente di Altura
- Emilio Delmastro – Federazione nazionale Pro Natura
- Laura Cadeddu – CATS Consulta Ambiente e Territorio della Sardegna
- Francesco Saccomanno – Forum Ambientalista – Calabria
- Leonardo Rombai – già Professore ordinario di geografia storica Università di Firenze
- Ferdinando Laghi – Associazione ‘Solidarietà e Partecipazione’ – Castrovillari
- Benito Fiori – ABC-Alleanza Bene Comune-La Rete
- Mariella Buono – Associazione Pensieri Liberi Pollino Castrovillari – Lungro
- Mariella Ieno – Associazione ‘Il Riccio’ – Castrovillari
- Antonietta Lauria – Forum ‘Stefano Gioia’ Associazioni e Comitati calabresi e Lucani per la tutela della legalità delTerritorio
- Cecilia Pacini – Presidente Italia Nostra TOSCANA
- Graziano Bullegas – Presidente Italia Nostra SARDEGNA
- Maurizio Sebastiani – Presidente Italia Nostra MARCHE
- Renato Bosa – Presidente Italia Nostra FRIULI VENEZIA GIULIA
- Adriana MY – Presidente Italia Nostra PIEMONTE
- Domenico Valente – Presidente Italia Nostra ABRUZZO
- Roberto Cuneo – Presidente Italia Nostra LIGURIA
- Cosimo Manca – Presidente Italia Nostra PUGLIA
- Domenico Totaro – Presidente sez. Senisese Italia Nostra BASILICATA
- Mario Pellegrini – CISDAM Centro italiano studi e documentazione degli abeti mediterranei
- Giancarlo Odoardi – Ecoistituto Abruzzo
- Laura Asti – Pro Natura L’ Aquila
- Raimondo Chiricozzi – Commissione nazionale AICS ambiente
- Marco Tiberti – Presidente European Consumers
- Alberto Conti – Presidente WWF Forlì-Cesena
- Massimo Blonda – Fondazione di Partecipazione delle Buone Pratiche- Bari
- Marco Caldiroli – Medicina Democratica Onlus
- Roberto Monfredini – AIF Ambiente informa
- Johannes Fragner-Unterpertinger – Portavoce “ Via di Malles “
- Andres Lasso -Associazione Ideale Ambiente Firenze
- Michele Boato – Presidente Ecoistituto del Veneto
- Alda La Rosa Associazione – FUTURO SOSTENIBILE IN LOMELLINA
- Francesco Saverio Bellofatto – Associazione La Piccola Cometa
- Francesco Montecchio – Associazione “Progetto GAIA” – OdV
- Stefano Orlandini – Salviamo l’Orso – Ass.per la conservazione dell’orso bruno marsicano Onlus
- Nicholas Bawtree – Terra Nuova
- Rosalba Luzzi – Associazione Biodistretto Montalbano
- Sara Coppini – Mille Rivoli- Cittadini Mugellani per la difesa dell’Acqua e del Territorio”
- Corradino Guacci – Presidente Società italiana per la storia della fauna “Giuseppe Altobello”
- Michele Renna – Fototrappolaggio Naturalistico Partenio
- Flavio Angelini – Lupus in Fabula
- Pietro Comeri – Simbiosi Magazine
- Antonella Lodi – Un Bosco per la Città- Bologna
- Gabriele Buratti – Artists 4 Rhino
- Carlo Papalini – Liberi pensatori a difesa della natura
- Anna Zonari – Parents for future Italia
- Marina Conti – Parents for future Bologna
- Nadine Finke – Parents for future Forlì
- Serena Bianca De Matteis – Parents for future Melegnano – Laboratorio Per un Albero in più-
- Luciano Poggiani – Argonauta Fano
- Nadia D’arco – Comitato Ambiente e salute Emilia Romagna
- Adriano Fiorenza – Presidente Associazione Fate gli Gnomi
- Michele Renna – Cervinara Trekking
- Giovanni Bosio – Associazione “Canale Ecologia
- Fabio Sani – Uni Verso AMIATA
- Alvaro Gori – Comitato Salvaguardia e Ambiente del Monte Amiata
- Cinzia Mammolotti – AmiataEco
- Eduardo Quarta – SOS Natura
- Anna Catalani – Salviamo la Riserva di Procoio, Salviamo le Riserve
- Stefano Orlandini – Salviamo l’Orso Onlus
- Anna Petrucci – Comitato tutela alberi Bologna
- Marco Menghini – STAI Stop Taglio Alberi Italia Comitato. coord. nazionale
- Anna Salvatici – Movimento tutela alberi Firenze
- Aldo Loris Cucchiarini – Società Bosco per Sempre Regina
- Stefano Marzani – Cooperativa La Macina Terre Alte
- Ruggero Ridolfi – Coordinatore medici per l’ambiente I.S.D.E Forlì-Cesena
- Andrea Nalin – Silva Nova Bologna
- Claudio Pizzuto – Comitato per la tutela degli alberi di Sesto Fiorentino
- Domenico Scanu – I.S.D.E. Sardegna
seguono altre sottoscrizioni di Associazioni che stanno pervenendo
- Franco Tassi – Presidente Centro Parchi Internazionale
- Ornella Dezordo – perUnaltracittà, laboratorio politico Firenze
- Antonio Fiorentino – AlterPiana
- Simona Bertin – Comitato Alberi EMPOLI
- Judith Scholz – Coord. cittadino tutela alberi e movimento tutela alberi firenze
- Loretta Pizzetti – Comitato Val di Farma,
- Maurizio Martigli – Comitato Vivi Firenze Verde
- Rossella Caci – Aspis club
- Paola Favero – INSILVA
- Alessandro Torlai – Ass. Irriducibili Liberazione Animale
- Claudia Petro – Donne in nero di Bologna
- Glauco Venturi – San Lazzaroin transizione
- Thomas Jonathan Morselli – Coordinamento G.A.R.D.A
- Claudio d’Esposito – WWF Terre del Tirreno
- Roberto Ciccarelli – AVSA (associazione volontaria salvaguardia ambientale)
- Alessio Gai – Ass.Alleanza beni comuni Pistoia ODV
- Rosanna Crocini – Ass. AcquaBene Comune Pistoia e Valdinievole
- Samuela Breschi – Comitato Obiettivo Periferia
- Tiziana Vigni, -Presidente Atto Primo
- Annamaria Mori, -Presidente Gruppo Società e Ambiente (GSA) di Senigallia
- Livio Marrocco, – Comitato civico cittadino” Feudo Bosco Vandra”
- Mariantonietta Di Nardo -Mamme per la Salute e l’Ambiente di Venafro
- Lucio Riccetti Pres. – Italia Nostra Umbria
- Franco Medici Pres – Italia Nostra Lazio
- Vitantonio Iacoviello – sezione Italia Nostra Vulture-alto Bradano (Basilicata),
- Enrico del Vescovo – Sezione Italia Nostra Castelli Romani
- Luca Raiteri – Comitato PIU’ DEMOCRAZIA ITALIA.
- Ugo Mattei – Presidente Comitato Popolare difesa beni pubblici e comuni Stefano Rodota’
- Raffaella Giubellini Basta Veleni Brescia
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