La Pineta Dannunziana deve rimanere area Naturale Protetta. Le associazioni scientifiche GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane e SIRF – Società Italiana per il Restauro Forestale mettono gratuitamente a disposizione i propri esperti
Eliminare i vincoli a protezione dell’ambiente significa darla vinta agli incendiari, servono invece azioni per proteggere davvero la Pineta
Pescara, 12 agosto 2021 – L’associazione GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane e la Società Italiana per il Restauro Forestale esprimono dolore e sgomento per le parole del Dott. M. Colarossi, rappresentante dell’Ordine degli agronomi della Provincia di Pescara, le cui posizioni appaino avallate dall’Ordine Nazionale CONAF, che a seguito dell’incendio doloso che ha interessato la Pineta Dannunziana hanno chiesto che venga revocato lo status di riserva naturale. Affermazioni che, oltre che immotivate dal punto di vista scientifico (e storico e naturalistico per quanto riguarda l’origine della Pineta), se applicate costituirebbero un gravissimo precedente che incoraggerebbe gli incendiari ad appiccare il fuoco ogni qual volta dei portatori d’interesse desiderino allentare i vincoli ambientali a protezione di un’area naturale. Vincoli che derivano dalla Direttiva Habitat dell’Unione Europea, dalla legislazione nazionale e da quella regionale che sono stati spregiativamente definiti dal Dott. Colarossi come mera “burocrazia”.
Preoccupata da questo evolversi degli eventi, l’associazione non vuole limitarsi ad avanzare critiche ma offrire un aiuto concreto alla città, offrendo gratuitamente al Comune la consulenza dei suoi esperti di alto profilo nazionale e internazionale per redigere un piano che miri davvero al restauro naturalistico ed ecologico e a suggerire regole per salvaguardare la Pineta.
Il Dott. Colarossi ha sostenuto che la Pineta sia di origine antropica (sottoindendendo che quindi abbia un minor valore naturalistico) e che lo status di riserva integrale vada eliminato per procedere a operazioni di cosiddetta pulizia ed effettuare una gestione attiva della Pineta in chiave antincendio, cioè abbattendo alberi per diradare la Pineta, creare corridoi privi di vegetazione e distruggendo il sottobosco, accusato di alimentare le fiamme.
Gli scienziati del GUFI desiderano innanzitutto sottolineare che la colpa dell’incendio non è certo da imputarsi alle piante presenti nella Pineta, ma piuttosto agli incendiari che hanno posizionato oltre dieci inneschi, verosimilmente proprio allo scopo di declassare lo status conservazionistico dell’area, aprendola alla speculazione.
Per quanto riguardo l’origine della Pineta, questa è il relitto di una antica presenza di pino d’Aleppo, diffusa dal Gargano fino al Conero e probabilmente oltre, inclusi i Balcani, risalente ad una colonizzazione spontanea della costa adriadriatica verificatasi in epoca glaciale terminata circa 12.000 anni fa. Diverse argomentazioni scientifiche sostengono questa teoria, condivisa da vari autori. Se fosse vero quanto dichiarato dal Dott. Colarossi – e attendiamo con interesse di sapere quali sono le sue fonti – e la Pineta fosse di natura artificiale, si tratterebbe di una notizia di clamoroso interesse naturalistico, ecologico e documentario, perché si tratterebbe di un rarissimo, forse unico, esempio documentato di rimboschimento cinquecentesco eseguito con pino d’Aleppo”. Ma anche in questo caso, la Pineta testimonierebbe il suo enorme valore storico che andrebbe ad arricchire il già importante patrimonio culturale della città.
Dal punto di vista naturalistico, invece, la Pineta ospita in alcune decine di ettari ben 345 differenti specie vegetali, di cui 4 endemiche (vale a dire che vivono in un areale strettissimo e in nessun’altra parte del mondo), 2 esclusive per l’Abruzzo e 26 classificate come rare. Andrebbe quindi, a maggior ragione, protetta e non trattata come un banale giardino pubblico, con tagli e pulizia del sottobosco.
Per quanto riguarda la prevenzione degli incendi, qualsiasi intervento a carico del soprassuolo forestale non evita l’incendio se questo è di origine dolosa. L’incendiario trova sempre il modo di appiccare il fuoco e va perciò fermato con altri mezzi, peraltro più economici, che includono una sorveglianza costante del territorio attiva h 24 con squadre in “continuo movimento” lungo i punti critici, azione immediata e con mezzi capaci di avvicinarsi agli incendi. Ricordiamo che, con la tragica soppressione del Corpo Forestale dello Stato, a combattere le fiamme sono rimasti ormai solo i Vigili del fuoco e i pochi volontari. Il Piano Comunale di Protezione Civile del Comune è rimasto largamente inapplicato, il servizio di pattugliamento e avvistamento incendi previsto non è mai stato reso operativo.
Buona parte della Riserva non possiede colonnine per l’attacco di idranti e c’è da chiedersi come mai, in 20 anni di erogazioni di fondi alla Riserva, non sia stata realizzata rete idrica antiincendio completa ed efficace, con una presa d’acqua, ad esempio, ogni 100 metri. Acqua che è presente, nella Pineta, ed è prelevabile da tre fonti escludendo quella potabile. Inoltre non è stata rimossa la presenza dei rifiuti infiammabili, presenti nel lotto a protezione integrale, il più danneggiato dalle fiamme. La triste presenza di rifiuti è nota e scritta persino da oltre 10 anni nel Piano di Assetto Naturalistico.
I diradamenti (riduzione del numero di alberi) non servono a fermare le fiamme se queste si propagano attraverso le chiome a causa del forte vento e dei tizzoni ardenti lanciati lontano dagli alberi, come è avvenuto, fino a 200 metri e più, sulla spiaggia incendiando strutture balneari. L’eliminazione del sottobosco, per essere efficace contro la diffusione delle fiamme radenti, deve essere totale e continua perché basta un po’ di erba secca per fungere da innesco e veicolo di propagazione del fuoco. L’eliminazione totale del sottobosco equivarrebbe, d’altra parte, alla distruzione della biodiversità vegetale (ma anche animale) della pineta, della sua ecologia e anche della sua rinnovazione. La selvicoltura che si insegna nelle università non annovera forme di trattamento del bosco che, allo stesso tempo, prevengano gli incendi e proteggano e migliorino la biodiversità e ne assicurino la rinnovazione naturale.
Quanto al rimboschimento, c’è un motivo preciso per il quale la legge prevede un’attesa di cinque anni prima che si possa mettere a dimora nuove piante. La flora mediterranea ha una grande capacità di ripresa dopo un incendio boschivo. Diverse piante potrebbero essere ancora vive e riprendersi e talune specie produrre nuovi getti: occorrerà attendere il periodo successivo alle piogge autunnali per fare valutazioni attendibili e l’entità della ripresa si potrà vedere solo a primavera.
Il Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) che è caratteristico ed elemento costitutivo dominante della Pineta di Pescara, ha una notevole capacità di resistere al passaggio delle fiamme, grazie alla sua scorza che è una buona corazza isolante. Si tratta di pini adulti, la cui notevole altezza li ha difesi in buona parte dal fuoco perché avevano le chiome più lontano dalle fiamme; certo che tizzoni sollevati dai turbini di calore e trasportati dal vento forte hanno colpito parecchie chiome, ma il risultato sarebbe stato peggiore se il fuoco avesse interessato esemplari giovani, bassi, con la chioma più vicina al suolo. Questo deve far riflettere quando si dice di tagliare gli alberi adulti “tanto ne ripianteremo altri giovani”.
È quindi probabile che molti esemplari adulti evoluti che oggi appaiono in estrema sofferenza, possano invece riprendersi e tornare a vegetare splendidamente: anche qui occorre attendere fino alla primavera prossima per vedere come evolverà la situazione ed evitare un intervento in cui le motoseghe potrebbero produrre danni aggiuntivi o persino peggiori rispetto a quelli prodotti dal fuoco. Sempre il Pino d’Aleppo, inoltre, ha evolutivamente acquisito strategie di sopravvivenza agli incendi molto speciali. I suoi strobili (pigne) sono normalmente chiusi, cementati, ma col calore si aprono ed emettono diffusamente nell’ambiente circostante tantissimi semi. È quindi possibile che a primavera vedremo spuntare e crescere numerosissime nuove piantine, autoctone, che saranno il “giacimento vivaistico” da cui poter attingere correttamente per il restauro ecologico-forestale della Pineta. Va in ogni caso evitato di piantare alberi acquistati nel circuito commerciale, che alla fine potrebbero rivelarsi fragili, non adatti alla nostra specificità, soggetti a malattie e a produrre alla lunga anche indebolimento genetico del bosco.
Il GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane e la SIRF – Società Italiana per il Restauro Forestale si mettono quindi gratuitamente a disposizione del Comune, nella speranza che ogni eventuale decisione sulla Pineta sia basata su rigorosi criteri scientifici, non arretri di un passo sui vincoli ambientali che la proteggono, e non la diano vinta agli incendiari aprendo l’area ai portatori di interessi.
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