Le piante delle sponde: la vegetazione ripariale

Le piante delle sponde: la vegetazione ripariale

di Giovanni Damiani – pubblicato sul Volume 2 di Simbiosi Magazine (https://www.simbiosimagazine.it/)

La vegetazione spontanea che si insedia lungo le rive dei fiumi, torrenti e ruscelli, viene chiamata “ripariale”.  La sua struttura forestale è condizionata principalmente dalla vicinanza all’acqua. La troviamo pertanto anche sulle rive dei laghi, degli stagni e in zone umide o soggette ad allagamento e dove la falda freatica è raggiungibile dalle radici delle piante. La componente arborea è costituita, in Italia, soprattutto dalle Salicaceae, una grande famiglia che include tutti i pioppi e i salici. Essa è una componente fondamentale degli ecosistemi fluviali e ha caratteristiche molto particolari, acquisite nel corso dell’evoluzione naturale in prossimità all’acqua, del flusso della corrente, del regime idrologico e, non ultimo, dal clima.

Parliamo infatti di piante che hanno la capacità di avere il proprio apparato radicale in immersione perenne o per lunghi periodi nell’acqua, senza che le radici marciscano, e per questo vengono chiamate “freatofite”. Questa è una caratteristica importante, perché la falda freatica in prossimità di un corso d’acqua o di un lago è quasi sempre affiorante o giacente a poche decine di centimetri di profondità.  Gli ambienti di acque correnti poi sono soggetti a scariche di piene e a esondazioni, con energie fortissime che tendono a trascinare via ogni cosa.  Vicino a essi nessuna specie arborea a legname duro e rigido e che non abbia un solido ancoraggio nel terreno potrebbe sopravvivere e prosperare: a ogni piena le piante verrebbero spezzate ed eliminate fin dalla giovane età.  

L’energia cinetica delle acque nel corso dell’evoluzione ha quindi avvantaggiato il tipo di vegetazione particolare adatta a vivere in un ambiente tanto ostile grazie alla flessibilità estrema dei rami e dei giovani tronchi, alla loro resistenza eccezionale alla trazione (vale a dire allo strappo), con solido ancoraggio a terra garantito da apparati radicali assai sviluppati, con diverse ed efficienti modalità di riproduzione e ad accrescimento rapidissimo adatto a fronteggiare i diversi regimi stagionali delle acque. 

Salici e pioppi si riproducono infatti facilmente per polloni e per talea (riproduzione agamica, che praticamente è una clonazione). Attecchiscono con questa modalità anche in luoghi lontani da quello d’origine, perché un tronco sradicato da una piena o dal vento o un ramo verde spezzato e caduto in acqua può dare vita a un nuovo albero anche a molti chilometri di distanza dove sarà stato portato e depositato dalla corrente, in genere presso un’ansa.

Anche la riproduzione sessuata è molto particolare rispetto ad altre essenze forestali. I semi dei pioppi e dei salici, infatti, sono assai minuscoli e leggerissimi. Il frutto è una capsula che contiene semi a forma di bastoncino, in genere in numero di 8 – 10, esili, lunghi uno o due millimetri, privi di albume e quindi  praticamente pressoché privi sostanze nutritive di riserva a differenza, ad esempio, dei frutti dei faggi (fagìole) o delle ghiande delle querce. Essi sono in grado di germinare immediatamente dopo essere stati emessi ma possono restare vitali, in quiescenza,  per un periodo limitato, in genere solo di qualche mese, trascorsi i quali muoiono. I piccolissimi embrioni possono germinare poi solo in condizioni di suoli con elevata umidità. I generi Salix e Populu sono dotati tuttavia di semi non molto longevi.

Le Salicacee sono soggette, in generale, a facile ibridazione. Non è un limite al successo della loro riproduzione sessuale…anzi.  Queste piante infatti impiegano la propria energia vitale per produrre una straordinaria quantità di semi, come possiamo vedere comunemente nei pioppi. Questi sono piante a sessi separati e gli esemplari femminili producono i propri embrioni leggerissimi, circondati da un arillo cotonoso espanso (comunemente chiamati “pappi”), in quantità straordinarie; questi si disperdono “veleggiando” nell’aria e possono essere trasportati dal vento a distanze incredibili; tuttavia per queste piante la modalità di propagazione aerea non è la sola a disposizione, perché ve ne è un’altra che potremmo definire di  “microfluitazione” o di “drift”. Parliamo dei pappi depositatisi sull’acqua dei fiumi, galleggiando sulla superficie, che vengono trasportati a valle e in buona parte terminano il loro viaggio col posarsi su qualche parte del greto ove i semi possono germinare.  Stocasticamente con questa strategia saranno molti i semi “fortunati” che troveranno condizioni idonee di sviluppo, iniziando ad emettere immediatamente una radichetta embrionale che diviene poi un fittone che si accresce in pochi giorni. Così, quando nel nostro clima mediterraneo arrivano le piogge e le piene autunnali-invernali, le plantule che hanno germinato per prima, flessibilissime, e che hanno già acquisito un ancoraggio radicale di 30 – 40 cm o più, piegandosi nella corrente divenuta forte minimizzano la propria esposizione all’acqua, riuscendo a non essere estirpate. 

Tutta la struttura dell’albero sembra adattata allo scopo di una grande produzione di semi e a un accrescimento veloce. Il polline ad esempio è molto piccolo (25-30 millesimi di millimetro) ma molto abbondante e l’impollinazione può essere sia anemofila che entomofila. Osserviamo la foglia di un pioppo: ha un picciolo ben allungato, schiacciato lateralmente, con elasticità “giusta” perché possa oscillare su un piano sub-orizzontale al minimo spirare del vento. L’albero così può permettersi di avere tante foglie a lamine larghe che, come ogni altro albero, sono disposte per captare quanta più luce ma, nel nostro caso, c’è un vantaggio in più dovuto alla facilità e al “tipo” di movimento che fanno sì che  molta luce solare possa filtrare anche negli strati di fogliame inferiori che viceversa rimarrebbero in semi-ombra. Questa particolarità fornisce all’albero maggiore capacità fotosintetica, un “motore biologico turbo” che è alla base della notevole velocità di accrescimento. Vista da lontano la massa delle foglie di un pioppo che oscillano al vento richiama alla mente il brulichio di una folla umana in un mercato o una festa padronale di paese: viene attribuito a questa similitudine il termine  del genere , “Populus” (popolo).  La flessibilità dei rami dei salici è tale che viene sfruttata fin dall’antichità per realizzare, intrecciati finemente, cesti assai leggeri e resistenti, nasse per la pesca fluviale e, in passato, persino per ponti per l’attraversamento dei corsi d’acqua, chiamati “ponti di fascine”. 

In definitiva queste piante assommano in sé una molteplicità di strategie di riproduzione, di crescita e di adattamento che ne determina il successo evolutivo. Se è vero che la presenza del fiume con i suoi episodi di violenza ha determinato la selezione delle caratteristiche uniche di questa vegetazione, è altrettanto vero che essa ha determinato l’aspetto fisico e morfologico dell’ambiente fluviale e del paesaggio. Se non ci fosse questa vegetazione (unitamente a quella erbacea come Fragmites, Tipha, Carex, Scirpus che hanno le medesime caratteristiche di ancoraggio radicale, flessibilità e di resistenza allo strappo), i nostri corsi d’acqua apparirebbero come desolati canali con le ripe franose simili ai canyon del Rio Grande: la violenza delle acque avrebbe eroso, scavato e desertificato tutto l’immediato intorno. 

La vegetazione riparia svolge diverse funzioni essenziali negli ecosistemi acquatici.  Innanzitutto è un efficace filtro -tampone protettivo della qualità dell’acqua. La lettiera riparia è assai spessa, soffice e umificata, in grado di bloccare quasi tutto quello che le acque meteoriche, ruscellando superficialmente, erodono dai terreni circostanti, inclusi gli inquinanti diffusi che vengono trappolati, degradati o, per gli inquinanti persistenti come i metalli pesanti, resi non biodisponibili. Il pabulum microbico della lettiera e dell’humus riesce a scomporre in tempi bevi anche sostanze organiche xenobiotiche normalmente resistenti alla biodegradazione. Un fiume che ha la sua vegetazione integra, inoltre, presenta generalmente acque limpide perché è ridotta o completamente bloccata l’erosione meteorica superficiale dei terreni circostanti.  .  

Inoltre le foglie che in autunno cadono in acqua hanno un ruolo ecologico importantissimo per la vita fluviale: quelle dei pioppi e dei salici sono particolari: presto si rigonfiano divenendo più tenere, poi divengono color marrone perché colonizzate al loro interno da microfunghi che le arricchiscono di elementi nutritivi, e infine costituiscono una dieta ottimale per l’intera copiosa comunità degli organismi invertebrati acquatici detritivori che sono a loro volta alla base, ad esempio, dell’alimentazione dei pesci, del merlo acquaiolo, dell’avifauna limicola e degli anfibi. Gran parte degli apporti trofici negli ecosistemi fluviali deriva dalla vegetazione di sponda, piuttosto che dagli organismi fotosintetici che vivono immersi nella corrente. 

Le funzioni importantissime della vegetazione riparia nell’ecologia fluviale sono ancora tante. Ne fornisco un rapido accenno. Essa fornisce ombreggiamento limitando, nei tratti di alveo fotosintetici, l’eccesso di proliferazione algale e l’abbagliamento delle specie animali che non amano la luce diretta come molti invertebrati e le trote (che sono sprovviste di palpebre) e che predano gli invertebrati.  Protegge inoltre l’acqua dal riscaldamento, sia con la propria ombra e sia per l’evapotraspirazione che è piuttosto elevata; bisogna richiamare il fenomeno fisico per cui il cambiamento di stato dell’acqua da liquida a vapore avviene a spese dell’energia sottratta all’ambiente esterno, cosicchè l’evapotraspirazione funziona come un condizionatore che riduce la temperatura ambientale. Le basse temperature favoriscono un adeguato tenore di ossigeno disciolto a tutto vantaggio per la vita acquatica. La vegetazione dei corsi d’acqua realizza microhabitat per una moltitudine di organismi e favorisce un’elevatissima biodiversità entro l’acqua e sulle sponde; le radici flottanti degli alberi sono microhabitat per molte specie e zone di rifugio per i pesci. È una vegetazione che consolida e stabilizza le sponde, contrastandone l’erosione e il franamento che causano l’interrimento accelerato di zone fluviali di pianura.  Con la sua “rugosità”, unitamente alla vegetazione erbacea e ai salici arbustivi, frena l’impeto della corrente, trattiene più a lungo l’acqua sul territorio mitigando le piene, aumentando i “i tempi di corrivazione” e in definitiva svolgendo un’imponente azione di regimazione che contrasta il rischio idrogeologico. Il permanere dell’acqua rallentata sul territorio inoltre ne favorisce l’infiltrazione laterale e la diffusione all’interno i ghiaioni permeabili delle sponde e quindi la ricarica delle falde.  

La vegetazione riparia intrappola i nutrienti il cui eccesso è assai nocivo per le acque e, per quanto riguarda quelli azotati, attraverso le reazioni nitro-denitro li scompone fino al livello di azoto elementare che viene restituito all’atmosfera. Favorisce inoltre la transizione acqua – terra di specie animali: insetti come le libellule, le effimere, svariate famiglie di ditteri, ma anche vertebrati come tutti gli anfibi, molti rettili… Lo svolgersi del ciclo della materia, tanto più efficace quando maggiore è la biodiversità nell’ecosistema, aumenta l’efficienza dell’autodepurazione biologica tipica delle acque correnti e la cui “funzionalità” è oggi alla base delle finalità della normativa introdotta dalla Direttiva Quadro sulle Acqua (Framework Water Directive 60/2000/CE e della normativa italiana D.Lsl 152/2006 e s.m.i.). 

La fascia ecotonale acqua-terra perennemente umida o di acque bassissime o a inondazione periodica, ricca anche di vegetazione erbacea che ha le radici o i rizomi immersi nell’acqua e la parte restante aerea, come la cannuccia d’acqua, le tife e i carici (chiamata “elofitica”) è quella a più alta efficienza autodepurativa. Questi ambienti infatti vengono oggi “copiati” e riprodotti artificialmente, come veri e propri impianti di depurazione degli scarichi fognari che in Italia sono noti come “fitodepuratori”, raccomandati peraltro dalla normativa per le caratteristiche di basso impatto ambientale e alta efficienza, economicità di gestione e perfetto inserimento nel paesaggio in cui risultano non percepiti alla vista. 

Le fasce ripariali costituiscono i principali habitat di rifugio per la fauna e sono “corridoi ecologici” naturali del territorio per i mammiferi lungo le sponde, per l’avifauna migratrice che memorizza, per orientarsi, le linee dei corsi d’acqua come riferimenti geografici, mentre all’interno delle acque il corridoio fluviale consente le migrazioni interne dei pesci. 

Alcuni ricercatori che studiano gli ambienti fluviali e le zone umide (wetlands) hanno definito questi ambienti “supermarkets of biodiversity”: ambienti ricchissimi di specie. Essi, per gli aspetti della biodiversità,  sono la nostra “Amazzonia”.  Quanto conta la vegetazione riparia sulla buona dotazione di biodiversità, sulla stabilità ecosistemica, sulla resilienza e sulla “funzionalità”, aspetti che garantiscono insieme anche benefici ecosistemici, è cosa che sfugge alla normale comprensione. Cito un esempio illuminante. In Abruzzo fiumi di acque sorgive oligominerali, purissime, come il Vera (Paganica-L’Aquila), il Tirino superiore (Bussi e Capestrano- Pescara) hanno livelli naturalità elevati e di biodiversità straordinari, con presenza di specie rare, come plecotteri, estinti altrove per la loro sensibilità ai disturbi ambientali, ed endemismi. A pochi chilometri nello stesso areale il fiume Giardino (la cui portata è ridotta a causa di captazione della sorgente ad uso acquedottistico), con acque oligomineali e perenni, è privo della quasi totalità delle specie rispetto ai predetti fiumi. 
La differenza sta nel fatto che il Vera e il Tirino superiore hanno ripe vegetate ed alveo naturali, mentre il Giardino ha sponde prive di qualsiasi vegetazione arborea e sponde ed alveo sistemati con il cemento. Quanti danni fanno le sistemazioni degli alvei e delle sponde con il cemento e con  le gabbionate, le cosiddette “regolarizzazioni” di corsi d’acqua, i tagli indiscriminati della vegetazione riparia, che ancora oggi vengono effettuate, per giunta con denaro pubblico! 

Mentre scrivo un albericidio è in atto nel Parco Naturale Regionale Sirente-Velino, in provincia dell’Aquila, e stragi simili mi vengono segnalate in Romagna e in altre parti d’Italia. Alla base di queste azioni riprovevoli c’è la frammentazione delle competenze, l’interesse a lucrare sul legname, spesso l’ignoranza spinta di funzionari pubblici che rivestono ruoli-chiave nei processi amministrativi, l’assenza di controlli, autorizzazioni date con leggerezza stravagante, errate convinzioni idrauliche (velocizzare le acque perché non esondino localmente, ma aggravando il rischio idraulico a valle), incapacità di cogliere lo spirito e il dettato della Direttiva Quadro Europea delle acque, che ha come obiettivo il ripristino di flora e fauna a un buon livello di integrità ecologica e idromorfologica per garantire il potere autodepurativo degli ambienti acquatici.

La normativa vigente imporrebbe l’esatto contrario di quanto è in atto: la riqualificazione ecologica dei corsi d’acqua, e la restituzione ai fiumi del proprio spazio vitale. Ma questa è materia per un altro articolo. Ovviamente lungo i nostri corsi d’acqua non troviamo solo Salicaceae: importante è la presenza, ad esempio, dell’Ontano nero (Alnus glutinosa), del Sambuco (Sambucus nigra) e diverse altre specie tra cui poco noto è probabilmente l’Oleandro (Nerium oleander) che in fiumi della Sardegna dà luogo a fioriture spettacolari. Man mano che ci allontaniamo dall’acqua troviamo alberi a legname sempre più duro, passando per i frassini (Fraxinus excelsior e F. oxycarpa), olmi (Ulmus minor) ma anche aceri campestri, fino ad arrivare, nelle zone oramai abbastanza asciutte, alle querce, ai faggi e altre specie di habitat completamente diverso.  

Che fare per la riqualificazione dei fiumi e il restauro del paesaggio? Tra le tante cose basterebbe solo un provvedimento di effettiva tutela delle sponde per una fascia spessa circa 150 metri, o per quanto possibile, per vedere rinascere o comunque migliorare di molto la qualità dei nostri fiumi e il paesaggio senza spendere un solo euro. La vegetazione riparia infatti è talmente rapida nel ri-colonizzare spontaneamente i suoi spazi e ad accrescersi che in pochissimi anni con la sola tutela avremmo già risultati sorprendenti. 

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