Osservazioni alla bozza preliminare della Strategia Forestale Nazionale

2 Giu, 2020Foreste, TUFF e SFN1 commento

Hanno aderito alle presenti osservazioni e considerazioni generali del GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane le associazioni: Unione Sindacale di Base – USB Nazionale;  Grig -Gruppo Intervento Giuridico; ISDE Italia – Medici per l’ambiente; Italia Nostra Toscana; Italia Nostra Abruzzo; Italia Nostra Friuli Venezia Giulia;  Italia Nostra Marche; Italia Nostra ABC Alleanza Bene Comune– La Rete;  ALTURA – Associazione per La Tutela degli Uccelli Rapaci e dei loro habitat; Codacons; Atto Primo: salute, ambiente e cultura; Comitato Tutela Alberi Bologna e Provincia; European Consumers; Forum Ambiente e Salute Lecce; Lipu Grosseto; Lupus in Fabula; Liberi Pensatori a Difesa della Natura; STAI-Stop Taglio Alberi Italia – Comitato Coordinamento Nazionale,; CISDAM (Centro Italiano Studi e Documentazione per gli Abeti Mediterranei); Ecoistituto Abruzzo; Mila Donnambiente; Le Majellane; Centro Parchi Internazionale.

  1. Prevale un indirizzo economico di sfruttamento estrattivo delle risorse primarie (particolarmente sensibile alla fornitura di biomassa per il settore energetico e di scarti per l’industria di derivati del legno), intendendo i sistemi forestali come infrastrutture produttive da mettere in rete per incrementare la produttività e la contabilizzazione di ricchezze pubbliche e collettive tramite la terziarizzazione del settore.

  2.  L’approccio ecologico dichiarato in realtà è riduzionista ed utilitarista, omette un’analisi sistemica naturalistica e rinuncia ad una visione sintropica secondo un inquadramento spazio temporale dei fenomeni, la cui realtà non è stata oggettivizzata in un contesto adeguatamente rappresentato, ma solo immaginata.

  3.  L’assimilazione della Gestione Forestale Sostenibile con la Gestione Attiva è impropria, viola la normativa internazionale. Essa è inoltre imprudente non essendo stata contemperata con l’introduzione di criteri di precauzione e di adeguate norme di salvaguardia che, specie nella prima fase, evitino applicazioni abnormi in danno dell’ambiente e degli ecosistemi con esposizione a rischio delle funzioni più nobili svolte dai sistemi forestali.

  4.  La effettiva partecipazione è impedita in quanto la proposta di SFN non indica in modo chiaro, trasparente e accessibile i presupposti e le reali priorità della medesima. In particolare mancano:
    a) dati certi di riferimento sulla reale consistenza del patrimonio forestale nazionale e sull’entità delle utilizzazioni e  sul loro andamento  nell’ultimo decennio;
    b) criteri distintivi tra sistemi artificiali e naturali ed i relativi fattori limitanti;
    c) metodologie e modelli di analisi  su cui valutare le ipotesi evolutive dei sistemi forestali;
    d) criteri e modalità qualitative e quantitative su cui bilanciare la composizione tra interessi contrapposti: di natura produttiva (estrattiva ovvero di sfruttamento delle risorse primarie) e di conservazione e tutela (fondamentali e garantiti dalla Costituzione e da normativa europea e internazionale);
    e) un ordine delle priorità di intervento tra le azioni e le modalità di ripartizione delle risorse in caso di carenza finanziaria;
    f) indicatori e  modalità di monitoraggio e valutazione per la verificare dell’andamento delle azioni e del raggiungimento degli obiettivi prefissati;
    g) apporti attribuibili a ciascun dicastero di un coordinamento preliminare in vista del concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e il Ministro dello Sviluppo Economico e dell’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano

  5.  Il Green Deal Europeo (GDE) è nella sostanza ignorato, la SFN è stata proposta senza  attendere le nuove strategie europee ivi preannunciate ed in particolare:
    a) la nuova strategia europea sulla Biodiversità, pubblicata in data 20 maggio 2020 che ha individuato gli obiettivi di ridurre l’impiego delle biomasse e di ampliare le aree protette;
    b) la nuova strategia forestale europea, prevista per il 2020; tutta la proposta di SFN è sviluppata sulla base della vecchia strategia forestale europea con evidente inefficienza e duplicazione di costi.

  6. Il quadro normativo di riferimento e le azioni ignorano la Legge n. 168 del 20 novembre 2017 “ Norme in materia di domini collettivi”.

  7.  La strategia nazionale per le aree interne (SNAI) non è considerata nelle valutazioni di coerenza e cordinamento.

  8.  Le Azioni tralasciano di evidenziare e valorizzare il ruolo fondamentale nel contesto attuale di crisi climatica:
    a) della silvicoltura intesa come ecologia applicata di ispirazione naturalistica e sistemica;
    b) del restauro forestale
    c) di aree di monitoraggio permanenti e costanti (rappresentative della diversità degli ecosistemi forestali e dei rispettivi stadi evolutivi per natura, origine e cause di disturbo, compresi quelli di neoformazione nelle aree incolte e abbandonate);
    d) di aree ad accrescimento naturale e indefinito;
    e) della necessità di distinguere tra aree produttive ed aree conservative, tra ecoservizi ed ecobenefici (non passibili di effettiva valutazione economica equivalente in quanto diretta emanazione biologica condizionante la vita sul pianeta Terra: assorbimento CO2, depurazione aria e acqua, mitigazione climatica, prevenzione dissesto idrogeologico, biodiversità e ciclo nutrienti). Gli ecobenefici dovrebbero pertanto essere:
    – destinatari della massima possibile protezione e tutela, di aiuti e incentivazione ai soggetti che ne curano la conservazione e rinnovazione;
    – sottratti alla disponibilità economica e finanziaria;
    –  inquadrati in una programmazione secondo una pianificazione per bacini idrografici (zonizzata e con riserva della metà dello spazio) su cui sviluppare gli ulteriori livelli; 
    f) del ruolo nel presidio del territorio della dimensione mesolocale, delle comunità intermedie naturali capaci di autorganizzazione dei domini collettivi e degli usi civici, specie nell’ambito agrosilvopastorale delle aree interne.
    g) Quanto precede dovrebbe essere inserito tra le priorità più urgenti da realizzare mediante azioni e sottoazioni specifiche e strumentali con accesso preferenziale alle fonti finanziarie.

  9. Appaiono travisate le competenze in materia di AIB ed il ruolo della Legge n. 353 del 30 novembre 2000,  Legge quadro in materia di incendi boschivi; non risulta alcun coordinamento con il Ministero degli Interni, il Ministero della Difesa e la Protezione Civile nella predisposizione della relativa azione specifica.

  10. Manca una reale analisi di copertura finanziaria (forse per la omessa sottoposizione della proposta ai competenti uffici di programmazione e pianificazione), le azioni sono pertanto un mero elenco irrealistico che mal cela istanze assistenzialistiche del settore industriale e la relativa  questua di Aiuti di Stato con sottovalutazione dei bisogni derivanti dalle priorità di natura conservazionistica.

  11. La proposta di SFN appare nella migliore delle ipotesi prematura,  la partecipazione mediante osservazioni dovrà essere rinnovata, per renderla effettiva e possibile, all’esito del concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e il Ministro dello Sviluppo Economico e dell’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, allorchè, si auspica, saranno state risolte le problematiche osservate.

CONSIDERAZIONI SUL DOCUMENTO “STRATEGIA FORESTALE NAZIONALE”

Documento superficiale, generico, inconcludente, a tratti contraddittorio, che contiene una elencazione, nella forma di buoni propositi, di tutti gli aspetti e delle tematiche di interesse del settore, per le quali vengono indicate le possibili azioni di miglioramento, avendo come riferimento a sostegno delle argomentazioni sviluppate, gli assunti del nuovo TUF. Non vengono individuati gli elementi concreti, lo stato di fatto in cui versa il settore forestale nazionale oggetto dell’analisi, quali sono i fattori che ne limitano lo sviluppo, le criticità e le minacce che lo insidiano, con i relativi livelli ponderali e i “possibili obiettivi” da raggiungere.

In allegato si riporta una scheda contenente un primo elenco delle osservazioni e delle contraddizioni più evidenti riscontrate.

Nel testo del documento presentato, vengono richiamati come elementi di riferimento ai fini della definizione della nuova S.F.N. leggi nazionali, regolamenti e accordi internazionali. Si riporta, come fattore di criticità, una sorta di protagonismo attivo che sarebbe manifestato dalle foreste nell’espandersi sul territorio abbandonato. Ciò è in linea con la narrazione diffusa in ogni occasione sui media dai principali portatori d’interesse del settore sull’argomento, secondo cui se nel nostro Paese manca la manutenzione del territorio e aumenta il dissesto, se i terreni abbandonati vengono colonizzati dal bosco e gli incendi boschivi imperversano, la causa viene derubricata e associata al processo ineluttabile ormai secolare di abbandono delle aree interne e all’invadenza del bosco non gestito.

D’altronde, la bozza di documento per l’elaborazione della nuova Strategia Forestale Nazionale della SFN, prodotta con il metodo dell’analisi SWAT, con queste premesse e in assenza di un esame approfondito e completo dei fattori limitanti interni al sistema, non poteva avere esito diverso.

Evidentemente, la soluzione dei problemi del settore forestale del nostro paese, non può essere data dalla semplice eliminazione dei boschi di neoformazione o dei rimboschimenti e rimessa a coltura del terreno con risorse pubbliche e con il ricavato della vendita del legname prodotto. Né tantomeno è una soluzione la semplice prospettazione acritica di tutte le iniziative e miglioramenti che teoricamente si potrebbero realizzare.  Occorre, in merito, l’analisi e la rimozione delle cause socio economiche ancora in atto che non solo non hanno contrastato il processo di abbandono dei territori marginali e montani, ma anzi l’hanno aggravato ulteriormente, e questo è un tema molto più serio e difficile da affrontare. 

In realtà, il vero fattore di criticità del settore forestale in Italia, è costituito dalle politiche e dalla gestione adottate dal sistema Paese negli ultimi 50 anni, appannaggio praticamente esclusivo delle Regioni dagli inizi degli anni settanta del secolo scorso, con le competenze statali dirette residuali, di controllo e coordinamento nel campo produttivo, pressoché nulle, in capo ad un dipartimento del MIPAAF. Nell’ultimo governo tale materia era addirittura stata collocata presso la Direzione Turismo del Ministero, a riprova della sua scarsa importanza, mentre, per la restante parte, competenze sono ripartite fra Ministero dell’Ambiente (natura, ambiente, dissesto idrogeologico) e MIBACT (paesaggio).

Di certo, questa grave lacuna nell’analisi, non può essere imputata ad un’improvvisa amnesia che ha pervaso le menti degli estensori del documento, ma è una patologia persistente, dal momento che si ritrova anche nel nuovo Testo Unico Forestale.  Tale lacuna peraltro è di origine non “recente”, se si considera che anche la precedente SFN che risale all’anno 2000, non conteneva traccia alcuna delle predette criticità, a riprova del fatto che i problemi del settore sono di lunga durata, si sono incancreniti nel tempo e hanno origine nel fatto che il “sistema forestale nazionale” è pubblico per intero. Se queste criticità effettive non vengono in alcuna maniera rilevate è perché i tavoli che hanno partorito sia la bozza del nuovo SFN che quella del Testo Unico Forestale, sono organizzati e composti sempre dallo Stato e dalle Regioni, con i principali partner o stakeholder chiamati alla concertazione, legati in maniera più o meno diretta agli attori che governano il settore, attraverso consulenze, commesse, affidamento di studi e indagini, nomine, partecipazione a commissioni, ecc.. o, come nel caso delle organizzazioni di categoria, per legittimi interessi lobbystici (trattamenti di favore per il consumo delle biomasse, nel settore di stufe, caldaie e impianti di medie e grandi dimensioni, riduzione di vincoli per il taglio dei boschi, gestione diretta per conto della proprietà pubblica dei demani regionali o per conto delle Regioni di attività istituzionali, ecc.).

Ma entriamo nel merito della questione: ogni regione ha una sua legge forestale, che stabilisce turni e periodi di taglio dei boschi, modalità e regole di gestione, dispone di un proprio servizio forestale interno che sovrintende alle autorizzazioni, elabora in autonomia un proprio piano forestale regionale e misure di finanziamento e miglioramento del settore forestale attraverso il PSR;  organizza e gestisce altresì in esclusiva la lotta attiva agli incendi boschivi, le attività vivaistiche e di produzione certificata di seme e delle piantine. Le stesse Regioni normano e gestiscono il settore della protezione della natura, la rete naturalistica e di protezione ambientale europea (VIA, VINCA e VAS) nel territorio e la gestione della fauna selvatica, tutti aspetti che hanno forti correlazioni con le foreste.

Se ci soffermiamo al solo settore forestale, le regioni presentano caratteri e situazioni a dir poco disomogenee, a tratti schizofreniche al loro interno: se tralasciamo gli aspetti squisitamente selvicolturali (difformità fra turni per le stesse specie e tipi di bosco, rilascio di matricine, ecc.) di per sé per certi versi paradossali, in alcune Regioni si taglia solo se c’è un piano di gestione forestale approvato, in altre i piani di  gestione non ci sono proprio e si taglia senza remora alcuna (in Abruzzo ce ne sono solo 4 approvati su 325 comuni).

In alcune Regioni il servizio autorizzativo è gestito direttamente a livello provinciale, in altre il ruolo è affidato alle CM o alle UCM, in altre ancora il servizio è stato soppresso e affidato ad entità autonome fra loro, che si occupano contestualmente della monta bovina o delle domande di contributo per i seminativi. In alcune regioni il servizio forestale è costituito in gran parte da diverse decine di laureati in scienze forestali, in altre nell’intero organigramma regionale c’è un solo laureato in scienze forestali e le istruttorie per l’autorizzazione dei progetti di taglio vengono eseguite da geometri, periti agrari o agronomi che non hanno nessuna competenza in materia, con dirigenti laureati in economia e commercio. In alcune Regioni, fino a 10 ha per il ceduo e 5 ha per la fustaia, si possono fare tagli previa dichiarazione, senza un progetto, una direzione dei lavori e senza alcuna segnatura o “martellata” delle piante che cadono al taglio, mentre in altre a partire da 1 ha, c’è bisogno obbligatoriamente di un progetto firmato da un tecnico abilitato, che deve curare la direzione lavori e deve segnare preventivamente le piante o allegare il piè di lista di martellata al progetto, anche se poi a istruire il progetto è un geometra o un agronomo senza competenza alcuna del settore. I sopralluoghi in bosco per l’istruttoria dei progetti di taglio, sono quasi inesistenti, a causa della cronica penuria di risorse per il carburante o per mancanza o obsolescenza dei mezzi. I controlli durante e dopo la realizzazione degli interventi sono praticamente inesistenti. Non è nemmeno il caso di parlare della verifica delle produzioni effettivamente ricavate o dell’esito dei lavori, con i danni ai soprassuoli o alle piste causati dalle imprese di taglio, verifiche praticamente inesistenti.    Gli unici controlli sono quelli esercitati dai comandi dei Carabinieri forestali attraverso le attività di sorveglianza svolte sul territorio, i quali però quasi mai dispongono di copia dei progetti o delle comunicazioni di taglio presentati alle regioni e che quindi, ad eccezione di situazioni eclatanti, hanno scarsa incidenza.

In alcune regioni sono state costituite agenzie regionali che talvolta dispongono anche di diverse  migliaia di dipendenti, alle quali è affidata la gestione del patrimonio pubblico forestale, svolgono le attività di manutenzione del territorio direttamente, insieme alle attività di antincendio boschivo, per le quali magari hanno anche una dotazione di mezzi aerei antincendio, gestiscono la produzione certificata di seme e l’attività vivaistica, il tutto magari con un indice di boscosità del territorio ridotto, mentre altre regioni, con un indice di boscosità elevato, affidano in gestione il patrimonio forestale regionale alle Unioni dei Comuni o ai singoli Comuni che li affidano a consorzi o cooperative private del territorio. Altre regioni ancora affidano invece la gestione del demanio forestale ai Carabinieri, non hanno personale che svolge attività di manutenzione forestale, non producono piantine per i rimboschimenti, hanno i vivai regionali chiusi, a dispetto della stessa legge regionale che obbliga per i nuovi impianti di rimboschimento ad utilizzare solo materiale di provenienza regionale certificato dalla stessa regione, gestiscono le attività antincendio esclusivamente attraverso volontari e non hanno uno straccio di mezzo aereo antincendio. Sempre riguardo agli aspetti di antincendio boschivo, ci sono alcune regioni che per i sette anni dell’ultimo PSR hanno investito per la sola misura relativa alla prevenzione degli incendi boschivi la miseria di 3 milioni di euro per l’intero territorio, senza spenderne ad oggi nemmeno uno, mentre altre per la stessa misura ne hanno investiti quasi venti volte di più e li hanno anche in gran parte spesi.

La stessa pianificazione forestale regionale in alcune regioni ad oggi non è mai stata realizzata, preferendo, forse a motivo della maggiore discrezionalità che questa condizione consente, autorizzare volta per volta gli interventi a carico dei boschi. La pianificazione in generale nelle regioni suscita allergia: si pensi alla pianificazione e programmazione annuale delle attività di manutenzione e prevenzione delle alluvioni e del dissesto idrogeologico in capo alle regioni, che il governo ha dovuto commissariare a causa della cronica incapacità delle stesse ad assolvere per tempo ai loro obblighi. Tanto per cambiare, il Commissario individuato dal governo è lo stesso presidente della regione chiamato a risolvere le inadempienze prodotte dalla regione da lui stesso amministrata.

Come si è già detto, di questa situazione e di questi problemi, nella bozza della nuova Strategia Forestale Nazionale, come anche nel Testo Unico Forestale non c’è traccia; anzi, nella norma introdotta di recente l’intero sistema di programmazione e pianificazione forestale resta uguale a quello preesistente, dove è previsto che le Regioni “..adottano Programmi forestali regionali. .. possono predisporrepiani forestali di indirizzo territoriale, finalizzati all’individuazione, al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse silvo-pastorali e al coordinamento delle attività necessarie alla loro tutela e gestione attiva, nonché al coordinamento degli strumenti di pianificazione forestale”. Praticamente, a fronte di obblighi e regole stringenti per i proprietari di boschi rispetto alla gestione della proprietà, le Regioni “possono predisporre..”, non hanno obblighi, anche se detengono il potere di “sostituzione diretta o di affidamento della gestione forestaledei privati, e di “conferimento delle superfici forestali ad altri soggetti qualificati.

Fra le storture e le criticità ulteriori, generate dalle “politiche di settore” fin qui adottate, sono da aggiungere: la situazione in cui versa il sistema delle imprese di utilizzazione forestale, la cronica mancanza di informazioni e di dati affidabili sulle reali caratteristiche e performance del settore e della filiera, la persistente e generalizzata crisi occupazionale delle aree interne e, da ultimo, la condizione del laureato in scienze forestali.

Nella gran parte delle regioni, forse con la sola esclusione di quelle dell’arco alpino, le imprese forestali sono caratterizzate da una sostanziale ridotta dimensione aziendale, operano in un sistema economico strutturalmente marginale, caratterizzato da scarsa formazione professionale, cronica carenza di manodopera qualificata nazionale, in larga parte rimpiazzata da operai extracomunitari, e si trovano a competere in un mercato che si regge in larga parte sugli interventi finanziati con risorse pubbliche, appannaggio preferenziale del sistema delle cooperative e dei consorzi privati che fungono da intermediari a titolo oneroso, nell’affidamento dei lavori alle imprese associate.

Al contempo, le attività selvicolturali e di cura del bosco non sono riconosciute fra le categorie di opere pubbliche previste dal sistema di qualificazione dei soggetti esecutori di lavori pubblici predisposto dalle camere di Commercio, che in questo caso prevede come sola categorie di opere, quella relativa alle “opere di ingegneria naturalistica” (OG13). A causa di ciò si assiste al paradosso per cui, solo alcune delle ditte che partecipano alle gare per i lavori forestali svolgono propriamente tale attività, rientrano nella “classificazione ATECO 2007” e nel contempo sono iscritte alla camera di commercio nella sezione “Silvicoltura e utilizzazioni aree forestali”, la gran parte di ditte che si occupano di altro, penalizzando fortemente le prime.

Questa situazione, di per sé critica, e della quale non c’è traccia nella bozza della nuova SFN, per le scelte previste dal nuovo TUF, che ha inserito come “titolo preferenziale ai fini della concessione in gestione … la partecipazione di imprese… aventi centro aziendale entro un raggio di 70 chilometri dalla superficie forestale oggetto di concessione” e il fatto che “le cooperative forestali e i loro consorzi sono equiparati agli imprenditori agricoli” , è destinata a peggiorare ulteriormente.

La stragrande maggioranza delle regioni non dispongono né tanto meno rilevano i dati sulle ditte che operano sul territorio, sui cantieri che vengono aperti, sui prezzi di mercato, sugli operai impiegati, sulla dimensione delle aziende, non esistono statistiche regionali su infortuni e morti, sul materiale legnoso realmente utilizzato e sul tipo di assortimenti lavorati, sulla domanda di materiale legnoso in quantità e qualità. È tutto un gran buco nero.

Un caso a parte è costituito dai laureati in scienze forestali, che a causa del sempre più basso livello di investimenti nel settore forestale pubblico e delle politiche regionali di deregulation della procedure autorizzative e della progettazione, vedono sempre più ridursi gli spazi esclusivi e le prerogative professionali nella progettazione e direzione lavori degli interventi di manutenzione e gestione di boschi, derubricati a semplici pratiche amministrative routinarie, a tutto vantaggio delle ditte boschive, degli agrotecnici e degli stessi consorzi di cooperative. Il tutto nella più assoluta indifferenza e miopia dei vertici degli ordini professionali di categoria.

A nostro avviso è indispensabile e non più procrastinabile armonizzare le normative e le strutture regionali fra loro, secondo una logica unitaria per uscire dalla più assoluta anarchia nella quale il settore versa.  Riteniamo altresì che, contestualmente, si debbano riorganizzare i servizi e gli uffici pubblici regionali del settore forestale sul territorio, che devono essere affidati a dirigenti e tecnici qualificati, sulla base di livelli omogenei e garantiti di gestione. La gestione del patrimonio forestale pubblico e dei boschi privati abbandonati di ogni tipo, beni collettivi di primaria rilevanza per la collettività, degli alvei dei fiumi, delle aree in frana e di tutti gli ambienti e aree sensibili ai fini della mitigazione del dissesto idrogeologico, delle piene dei corsi d’acqua e del contrasto agli incendi boschivi deve essere affidata ad agenzie multiservizi regionali pubbliche, dotate di strutture tecniche adeguate, che devono operare attraverso una programmazione annuale stabilita dalle Regioni.  A tali Agenzie devono essere affidati in gestione i demani silvopastorali e i vivai forestali regionali, nonchè compiti di provvedere alla manutenzione forestale e agli interventi nelle aree protette regionali, di porre in essere le attività operative antincendio di competenza delle Regioni e, ove ne ricorrano le condizioni, di gestire il patrimonio forestale costituito dai boschi privati abbandonati. Queste agenzie potrebbero provvedere alla manutenzione del verde lungo la viabilità provinciale, allo spazzamento della neve l’inverno, manutenere o realizzare le sistemazioni idraulico forestali, gestire il servizio di irrigazione agricola svolto attualmente dalla rete dei consorzi di irrigazione regionali con un contratto di servizio unitario a livello regionale che preveda la cessione dell’acqua agli agricoltori, a un prezzo politico, differenziato sulla base degli effettivi consumi e della redditività delle colture.

Solo queste entità pubbliche fornirebbero le necessarie garanzie sul corretto impiego delle risorse e beni pubblici e sulla gestione di boschi e terreni abbandonati nell’interesse esclusivo della collettività, nelle quali ricollocare e riorganizzare il personale delle soppresse comunità montane e dei consorzi di bonifica, al pari di quello attualmente impiegato per i servizi citati presso le strutture regionali e provinciali, ma nelle quali anche assumere e far lavorare stabilmente diverse centinaia di persone in ogni regione.

In questo contesto è indispensabile che la pubblica amministrazione, regioni e governo ritornino alla loro funzione istituzionale originaria, che non è quella produttiva finalizzata a massimizzare i ricavi immediati, magari svendendo il valore del patrimonio forestale fin qui accumulato e investito dallo Stato per migliorare la qualità del patrimonio forestale pubblico e nazionale, anche attraverso i finanziamenti erogati nei decenni.

La strategia forestale nazionale deve essere incentrata sulla massimizzazione delle diverse funzioni pubbliche assicurate dai boschi.

1 commento

  1. Michele Puxeddu

    Ottimo

    Rispondi

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *