Il caso della Pineta Dannunziana e le aree protette

Il caso della Pineta Dannunziana e le aree protette

di Giovanni Damiani


Gentili Renzo Motta, Davide Ascoli, Marco Marchetti e Giorgio Vacchiano,

faccio riferimento a quanto pubblicato a Vs firma sulla Rivista SISEF il 04/08/2021 dal titolo Prevenzione antincendio e la conservazione dell’ambiente: il caso della Pineta Dannunziana di Pescara.

L’articolo ha suscitato diffuso stupore per il contenuto di affermazioni assolutamente non veritiere su cui sono impiantate conclusioni altrettanto non accettabili. Esse sono riprese e rimbalzate evidentemente dalle posizioni assunte dal Presidente dell’Ordine Provinciale dei dottori Agronomi e dei dottori Forestali, dr. Matteo Colarossi, autentiche “rivelazioni” inedite che sono poste come basi alla richiesta di togliere lo status di “Riserva Naturale “alla Pineta per applicarvi la selvicoltura a scopo di prevenzione AIB.   

Queste in sintesi le palesi notizie false che anche Voi, evidentemente male informati e senza operare verifiche, incredibilmente rilanciate.

NOTIZIE INFONDATE SULLA GENESI DELLA PINETA

È stato sostenuto che “La pineta, localizzata all’interno della città di Pescara, è l’eredità di un rimboschimento fatto dal Marchese D’Avalos nel ‘500. “  Si tiene a riferire che questa affermazione emerge per la prima volta in un’intervista resa alla RAI – TG3 regionale il 7 maggio 2021 dal dr Colarossi : “La pineta è coltivata dal 1500” dice Colarossi “e non esisteva al tempo dei romani. Non si tratta di foresta vergine“ [1]

Dal momento che tale affermazione contrasta con quanto finora emerso da tutti gli studi storici, dalle ricerche archivistiche e le conseguenti valutazioni logico-deduttive, da più parti c’è stata la richiesta all’Ordine Professionale presieduto dal dr.  Colarossi di fornire gli elementi documentali posti alla base della rivelazione.    Tali richieste sono state pubbliche, sono tutt’ora reiterate anche con insistenza, ma sono rimaste, ad oggi, senza risposta. Ma il Presidente Provinciale dell’Ordine ha cambiato successivamente versione e ha sostenuto in sintesi che la Pineta “c’era all’epoca dei romani e anzi è lì prima della comparsa dell’uomo…”  ma è stata tagliata, ha riconfermato essere stata successivamente ripiantata dal Marchese D’Avalos nel 1500, ma tagliata di nuovo e… quello che vediamo oggi sarebbe opera dell’impianto artificiale fatto dal Corpo Forestale dai primi del secolo scorso addirittura fino negli anni ’80. Tuttavia anche queste sono tutte notizie nuovissime, sfuggite anche agli studiosi più attenti e a tutti i ricercatori e archivisti, notizie che cambiano la storia e non solo del territorio abruzzese … ma si continua a non rivelare quali siano le fonti archivistiche o bibliografiche di tanta rivoluzionaria novità. E anche in questo caso vi sono state richieste reiterate e pubbliche di spiegazioni, citando il contrasto con le numerose fonti documentali esistenti, con le cartografie storiche che riportano la “Silva Lentisci” talvolta chiamata “Selva dei Chiappini” e con fatti oggettivi sulla storia dei D’Avalos che erano Marchesi di Pescara e non avrebbero potuto impiantare pinete a Pino d’Aleppo su quasi l’intera costa adriatica, in aree vastissime al di fuori delle loro limite proprietà. La fonte più antica dell’esistenza della foresta risale in realtà al 1114 ad opera del grande geografo arabo Eldrisi (o Al- Idrisi) incaricato di redigere cartografie da Re Ruggero II di Palermo, che riporta che da Campomarino ad Ancona, per circa 300 miglia di costa adriatica: “in queste solitudini vive gente che s’annida nelle foreste e vi ha luoghi di caccia e in questi deserti va in cerca di miele”. In archivio di Stato si trovano documenti circa l’entità dei tagli effettuati storicamente su tale foresta ed anche le date ed entità e specie utilizzate nei rimboschimenti, sempre parziali, effettuati nel tempo. Esistono anche studi storici sulla Pineta effettuati all’inizio del 1800 e parlano ancora i toponimi “Montesilvano”, “Silvi” … Una fotografia d’epoca dannunziana datata 1927, inoltre, mostra dei tronchi di Pino d’Aleppo di dimensioni imponenti che sicuramente non potevano essere stati piantati da poco tempo.  Prendo atto che qualche dubbio è venuto anche a Voi, se alle posizioni del Dr Colarossi avete aggiunto “in massima parte” frutto di rimboschimento …

In definitiva le notizie – peraltro contraddittorie – sull’origine non naturale della Pineta di Pescara rivelate dal dr Colarossi restano, ad oggi, totalmente infondate e l’area va considerata un relitto, prezioso, di un’antichissima foresta che copriva la quasi totalità del litorale adriatico. Relitto sicuramente non qualificabile come “foresta vergine” ma sicuramente molto particolare perché le condizioni geologiche -idriche (con riferimento alla falda ivi assai superficiale che crea sacche limitate di umidità frammiste a mosaico in diverse  aree xeriche)  dànno  luogo a un corrispondente mosaico di vegetazione xerica associata al Pino d’Aleppo o addirittura a flora dunale su residui di dune fossili, accanto a vegetazione tipica di zone umide, risultandone una straordinaria biodiversità.

SE IL Dr COLAROSSI, appoggiato dal CONAF e ripreso dalla SISEF, AVESSERO RAGIONE SULL’ORIGINE ARTIFICIALE DELLA PINETA DANNUNZIANA?

È oramai chiaro che la richiesta di dequalificazione della PINETA dallo status di Riserva Naturale perché la stessa sarebbe di recente impianto artificiale è una grave sciocchezza.  Ma se, per assurdo, effettivamente la Pineta fosse artificiale, avremmo grandissimi e validissimi MOTIVI IN PIÙ più per mantenerla RISERVA NATURALE. Anzi sarebbe un obbligo. Infatti la straordinaria biodiversità presente, le specie arboree, arbustive ed erbacee collocate al posto giusto rispetto alle condizioni e alla natura del suolo, alla distanza dal piano della falda, la distribuzione spaziale delle stesse, la disetaneità, insomma le tantissime specie “giuste” messe al posto “giusto”, renderebbero questo ecosistema una delle più mirabili produzioni intellettuali dell’Uomo. Rappresenterebbe probabilmente una realizzazione del più elevato sapere botanico-forestale e delle discipline delle scienze naturali prodotte in Italia, meritevole di ATTENZIONE E VANTO NONCHÉ DI TUTELA AGGIUNTIVA ALLE MOTIVAZIONI NATURALISTICHE e non la squalifica che chiede l’Ordine Professionale.

NOTIZIE FALSE SUL PRESUNTO IMPEDIMENTO DEL PIANO DI ASSETTO NATURALISTICO AD EFFETTUARE INTERVENTI AIB

Nell’articolo a Vs firma è detto: “Prima dell’istituzione della Riserva venivano regolarmente effettuate operazioni colturali come i diradamenti forestali, lo sfalcio delle invasive erbacee ed arbustive e la rimozione della necromassa, proprio per ridurre il pericolo di incendi tenendo conto della particolare localizzazione del bosco. Con l’istituzione della Riserva, tuttavia, è stato adottato un Piano di assetto naturalistico che ha imposto di non effettuare interventi colturali ed assecondare lo sviluppo della vegetazione secondo la sua dinamica naturale.

Non è vero che siano mai esistite nella Pineta di Pescara le citate “operazioni colturali”, diradamenti ecc… in funzione AIB e che poi queste sarebbero cessate perché impedite dalle norme di tutela. 

La Pineta è stata acquistata dal Comune di Pescara, dai discendenti dei Marchesi D’Avalos nel 1975. Una nutrita commissione multidisciplinare istituita da esperti in varie discipline e da amministratori comunali indicò una porzione di essa (comparto n. 5) meritevole di tutela integrale per le preziosità botaniche e per la pregevole composizione ecosistemica, che ne portò alla recinzione e alla chiusura alla frequentazione pubblica, destinandola a frequentazione a scopi didattico-scientifico controllata ai fini della conservazione.   Proprio quel comparto 5 è quello preso di mira dagli incendiari: lì sono stati messi gli inneschi.  La Riserva è stata istituita nel 2000 ed il Piano di Assetto Naturalistico (di seguito PAN) è stato approvato nel corrente 2021, con circa 20 anni di ritardo rispetto al provvedimento di protezione.  Pertanto è falso che sia stato il PAN ad “imporre di non effettuare interventi colturali” ecc: quell’area era a tutela integrale continuativamente da 46 anni mentre la Riserva esiste sulla carta da 20 e il PAN è adottato da pochi mesi.   È falso pertanto che la tutela abbia favorito il propagarsi dell’incendio, mentre è vero il contrario: è l’assenza di tutela, prevista nel PAN e ancora di più nel Piano Comunale di Protezione Civile totalmente inapplicato a dover essere chiamato in causa.  La Riserva a gestione comunale ha ricevuto per venti anni fondi dalla Regione per la sua gestione ma ciò non ostante non ha mai avuto un direttore, personale dedicato, alcuna vigilanza, neppure quando i bollettini della Protezione Civile indicavano – come nel caso in questione – alto rischio d’incendio; è largamente sprovvista di prese idriche antiincendio per la maggior parte della sua estensione e persino lungo il perimetro d’interfaccia fra abitazioni e bosco, ove è presente una sola manichetta antincendio di realizzazione privata, sita in ambito privato dell’Istituto delle Suore e con possibile raggio d’azione di pochi metri entro la Pineta. È falso anche che interventi silvoculturali erano effettuati e sarebbero cessati con il PAN.  Riporto a riprova, di seguito, quanto stabilito dal PAN stesso: Pag. 46

Problematiche relative al comparto 5

Il comparto 5 presenta caratteristiche peculiari che lo differenziano sostanzialmente dagli altri settori della Riserva Dannunziana; infatti la chiusura al pubblico (seppure il comparto risulti frequentato abusivamente da alcune persone, che ne hanno causato lo stato di degrado e di rischio in cui attualmente si trova), ha permesso di preservare lo sviluppo di alcune specie vegetali e di migliorare le caratteristiche chimico-fisiche del suolo.      Si propone che il PAN preveda per questo comparto una destinazione di conservazione con finalità scientifiche e didattiche e si limiti la frequentazione antropica a visite guidate e controllate.

È il nucleo meglio strutturato e con caratteri di maggiore naturalità di tutta la Pineta. Esso ricorda una componente del modello dell’antico mosaico forestale, nel quale la successione di dossi dunali e depressioni interdunali davano origine ad una serie di tessere vegetazionali in cui gli elementi portanti erano rappresentati dalla macchia mediterranea e dal bosco igrofilo. Tale sistema è stato, nel tempo, cancellato quasi del tutto, in quanto i diversi elementi sono compenetrati e resi poco riconoscibili dai reiterati interventi antropici.

Il comparto è stato da molto tempo chiuso al pubblico, anche se, purtroppo, è stato sempre frequentato abusivamente ed è cosparso di rifiuti. Gli impatti antropici, quindi, anche qui sono stati pesanti ed hanno condizionato la sua funzionalità ecologica.

Nella porzione più meridionale del comparto l’antica presenza di un vivaio, dismesso da molto tempo, ha favorito l’affermazione di numerose specie esotiche invasive (Ligustrum lucidum, Phoenix canariensis, Acer negundo, Cortaderia selloana), sfuggite a coltura, che andrebbero estirpate.

La vegetazione del comparto, rappresentata da un bosco a dominanza di Olmo campestre, Pino d’Aleppo e Roverella, è in evoluzione verso condizioni di maggiore maturità ed equilibrio. Per tale motivo, e per favorire il dinamismo, si ritiene inopportuno intervenire nella compagine forestale, anche se essa presenta, in alcuni stands, segni di degrado.

“Per questo comparto si propongono, pertanto, solo interventi di ripristino e razionalizzazione dei sentieri, sia per finalità scientifiche, legate allo studio della flora, della fauna, della vegetazione e del suo dinamismo, che didattiche, queste ultime da perseguire anche con una idonea etichettatura delle specie più significative e con un cartello che illustri le caratteristiche del bosco.”

ERBACCE O BIODIVERSITÀ VEGETALE?

Riguardo alla rimozione delle specie erbacee c’è da dire che la Pineta di Pescara è probabilmente una delle aree più studiate l’Italia. Studi pubblicati su riviste scientifiche, condotti da insigni botanici, biologi e naturalisti sono stati condotti nei decenni.  Sul Pinus helepensis è stata condotta anche la caratterizzazione del DNA ribosomale, il cui pattern è stato confrontato con quello dei pini della stessa specie italiani e della costa est dell’Adriatico. La Pineta include 345 specie vegetali (cosa notevole per un’area di modeste dimensioni, stimabili in effettivi 37 ettari), di cui 26 rare, 4 endemiche (Salix Apennina; Verbascum niveum subsp. Garganicum; Centaurea nigrescens subsp neapolitana, l’orchidea Ophrys promontorii) e due esclusive per l’Abruzzo.  Nulla e nessuno ha impedito lo sfalcio delle erbacee invasive che, anzi, il PAN prevede di eradicare in maniera selettiva, mirata e scientificamente fondata ma questo non è stato fatto per incuria benché se ne parli da anni.  Si tiene qui a sottolineare che la “pulizia” del sottobosco se effettuata come si vorrebbe con sfalci generalizzati, senza tener conto delle preziosità botaniche, costituirebbe un delitto contro la biodiversità!  Un ecosistema del genere, peraltro relittuale e rifugiale per molte specie, non può essere trattato come un giardinetto pubblico né tantomeno come un lotto di bosco coltivato con criteri silvocolturali.

DIRADAMENTI E FASCE TAGLIAFUOCO AVREBBERO FERMATO LE FIAMME?

Nell’articolo SISEF viene lamentata la “mancanza previsionale di opere antincendio quali piste, fasce tagliafuoco e ripulitura del sottobosco a prevenzione sia della pineta ma soprattutto della città…” e di “opere selvicolturali preventive atte a scongiurare che il fuoco possa passare da radente a quello di chioma”.

L’incendio del primo di Agosto è avvenuto col corollario di un lungo periodo di siccità con temperature elevatissime, di domenica, con una temperatura di 40°C e con un vento caldo fortissimo, tanto che il Sindaco che evidentemente non ha dimestichezza con le misure fisiche, ha dichiarato essere di “150 km/h”, tanto per dare l’idea della sensazione percepita. Le fiamme si sono propagate liberamente e senza contrasto di sorta per oltre un’ora (!) da quando tempestivamente cittadini residenti hanno dato l’allarme a Comune, VVFF, Carabinieri Forestali, Protezione Civile, FFSS, ANAS.  A fronte di  una sola unità di VVFF finalmente arrivata[1], i cittadini residenti senza alcuna esperienza e senza dispositivi di protezione individuale, fronteggiavano le fiamme con tubi di irrigazione dei giardini e con tappeti inzuppati di acqua usati come batti-fuoco. I mezzi aerei sono arrivati, finalmente, dopo oltre 4 ore. L’incendio ha preso vigore, tra l’altro, entro un attiguo grande impianto di autodemolizione in cui si sono verificati scoppi dei serbatoi di carburante e delle bombole del gas GpL delle autovetture ed ha trovato ulteriore alimento nei rifiuti infiammabili mai rimossi (la cui presenza è stigmatizzata persino nel PAN che ne indica la rimozione) nell’area a maggiore protezione -sulla carta – : numerosi materassi, bottiglie di plastica, gomme d’auto, sedie e tavolini di plastica, cartoni.

L’aria surriscaldata provocava violenti turbini ascensionali che hanno sollevato fino all’altezza di 25 metri, tizzoni ardenti che, con la componente del vento laterale, hanno scavalcato palazzi di 4 o 5 piani, alcune file di abitazioni, strade, ricadendo a 250-300 metri di distanza in mare e lungo l’arenile ove hanno incendiato ombrelloni e strutture balneari notoriamente prive sia di arbusti che di erbe secche in soprassuolo arenoso.  L’incendio ha viaggiato quindi anche largamente al livello delle chiome. In quelle condizioni le operazioni silvo-culturali preventive citate dal dr Colarossi e prese come “caso Pescara” nell’articolo a Vs firma:

  1. sarebbero state impossibili a realizzarsi perché per impedire quanto è successo sarebbero occorse fasce tagliafuoco larghe 200 – 250 m, che avrebbero richiesto di lasciare in Pineta meno di 10 esemplari di Pino d’Aleppo;
  2. avrebbero richiesto l’eliminazione della biodiversità erbacea ed arbustiva della macchia mediterranea (Cisti, Mirto, Lentisco, Smilace, ecc..) distruggendo un patrimonio naturale unico, identitario;
  3. in ogni caso, mentre avrebbe distrutto l’ecosistema boschivo, non avrebbero potuto fermare le fiamme per il complesso delle condizioni in cui la cattiveria di delinquenti le hanno innescate.

Ne deriva che quando c’è intenzione di dolo e organizzazione del crimine, i piani antincendio basati sugli interventi a carico della foresta (giusti o sbagliati che siano) servono a ben poco.

La protezione AIB deve seguire, soprattutto per situazioni come il “caso della Pineta di Pescara” altre e diverse strategie da quelle indicate semplicisticamente dal dr Colarossi (anche al netto delle notizie false che ha reiterato) ed essere basata su altri criteri: sorveglianza, avvistamento precoce, intervento immediato a terra con personale addestrato ed opportunamente equipaggiato, informazione e indicazioni comportamentali alla popolazione nelle zone d’interfaccia, numerose ed accessibili prese d’acqua, cose tutte previste e non attuate. 

In definitiva, se esiste un “Caso Pineta di Pescara” esso si compone di tre fattispecie concrete. La prima è data dalle esternazioni stravaganti dell’Ordine Provinciale degli Agronomi e Forestali; la seconda è che queste vengano sposate acriticamente e rilanciate da esponenti nazionali e della SISEF in articoli pubblicati, in RAI3 Scienza; la terza è il non considerare “cosucce” come la biodiversità e il necessario approccio multidisciplinare a situazioni complesse e meritevoli di conservazione.

Infine: invito a riflettere sulle possibili conseguenze connesse con la richiesta di squalifica della Pineta di Pescara dallo status di Riserva Naturale. Se l’intento dei criminali che hanno appiccato i 7 (certi, ma forse furono 13) inneschi era quello di eliminare i vincoli esistenti su quelle aree, passerebbe il messaggio che ovunque si voglia eliminare l’esistenza di un’area naturale protetta si può tentare di conseguire il risultato incendiandola. E questo precedente non è ammissibile, oltre ad essere vietato dall’art. 10 della legge 353/2000 che vieta per 15 anni il cambio di destinazione d’uso delle aree boschive che hanno subito un incendio.

Cordiali saluti

dr Giovanni Damiani

NOTE

[1] Nella medesima intervista affermava, a sostegno del previsto abbattimento di alberi adulti (Quercus pubescens e Pinus halepensis di notevoli dimensioni) per la realizzazione di una strada che possiede a pochi metri un tracciato alternativo che non richiede abbattimenti, che “La ripiantagione, in questo caso, di 173 alberi viene condivisa”.Non è vero che le piante piccole stoccano meno CO2 di quelle adulte”. Le piante piccole in fase di crescita tolgono più CO2 e l’ossigeno (!) e quindi è benefico l’effetto.  Evidentemente viene confuso il “tasso di crescita” che misura l’incremento di biomassa nel tempo (Crop Growth Rate, C.G.R., g m-2d-1) con i valori assoluti di fissazione del carbonio nella biomassa (Absolute Growth Rate – AGR.   Sul tema “dell’assorbimento dell’ossigeno” non ci sono commenti da fare: è talmente clamoroso da doverlo ritenere una svista involontaria, un errore marchiano che tuttavia è stato lanciato via etere senza essere stato mai corretto.  

[2] Ritardo comprensibile perché erano in atto contemporaneamente 11 altri incendi boschivi importanti:  nella pineta di Vallevò a Punta Cavalluccio, andata tutta distrutta in territorio di Rocca San Giovanni, nella Riserva Naturale dell’Acquabella a Ortona cuore della Costa dei Trabocchi, a Farindola nel Parco Nazionale  del Gran Sasso-Monti della Laga, a Penne, a Bolognano, a Caramanico Terme, a S.Valentino in Abruzzo Citeriore e a Bolognano  (quattro località, queste,  nel Parco Nazionale della Majella-Morrone), a Città S.Angelo, a Montorio a Vomano, a Sant’Omero, a Mosciano S. Angelo).Inoltre, la Regione Abruzzo proprio quest’anno ha ridotto di 180 mila € lo stanziamento in convenzione al VVFF, rimasti unico fragile Soggetto chiamato ad intervenire dopo lo scioglimento del Corpo Forestale dello Stato che aveva storicamente avuto delega a tutte le operazioni AIB in Abruzzo.